L’8 luglio la Chiesa ambrosiana ricorda Ampelio, dal 665 al 672 fu il trentanovesimo vescovo di Milano, che riposa in San Simpliciano, dove fu deposto l’8 febbraio 676, come fa supporre il «Codice di Beroldo», che per primo lo chiama «santo», attribuendogli innumerevoli miracoli. Essi, pare, accompagnarono la sua tenace opera di evangelizzazione. A Milano, infatti, erano ancora presenti sostenitori della teologia cosiddetta ariana, la tendenza, che forse sarà sempre presente, a cercare di «umanizzare» tanto il Figlio di Dio da indebolire la «singolarità divina» di Gesù. In quest’impegno per la verità gli fu d’aiuto Teodota, la moglie del re longobardo Grimoaldo: per fortuna che ci sono le donne! La predicazione d’Ampelio fu persuasiva anche per lo stile, che sembrava esprimesse il suo stesso nome. Si diceva, infatti, che come le parole di Ambrogio erano come l’ambrosia, il cibo degli dei, così il parlare di Ampelio richiamava l’ebbrezza del vino, e la sua gioia: «uva», in greco, si dice «ampelius». Ampelio, dunque, cercò di convincere non con le minacce, ma con la benevolenza, convinto - come diceva già Ambrogio - che «gli uomini possano essere obbligati e stimolati a fare il bene, più con la benevolenza che con la paura e, per farli emendare, l’amore è più efficace del timore».
Autore: Ennio Apeciti
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