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Beato Giovanni Havlík Seminarista vincenziano, martire

Festa: 27 dicembre (12 febbraio)

Dubovce, Slovacchia, 12 febbraio 1928 - Skalica, Slovacchia, 27 dicembre 1965

Ján Havlík nacque il 12 febbraio 1928 a Vlčkovany in Cecoslovacchia (oggi Dubovce in Slovacchia), in una famiglia di contadini. Nel 1943 entrò alla Scuola Apostolica della Congregazione della Missione a Banska Bystrica, mentre sei anni dopo iniziò il noviziato a Ladce. La sua aspirazione di partire come missionario all’estero si scontrò con la persecuzione della Chiesa da parte delle autorità comuniste al potere: prima venne chiuso il Seminario maggiore dei Vincenziani, poi quello diocesano. Infine, nella notte tra il 3 e il 4 maggio 1950, Ján fu prelevato dai Servizi di Sicurezza. Negli undici anni seguenti affrontò lavori forzati, tentativi di rieducazione da parte del potere, torture fisiche e psicologiche, cercando di vivere da missionario anche in situazioni che ledevano la sua dignità umana. Per un anno lui e altri novizi avevano anche studiato clandestinamente, ma erano stati scoperti. Terminata la pena, il 29 ottobre 1962, Ján fu riaccolto in famiglia, col fisico, già gracile, definitivamente compromesso a causa del lavoro e delle privazioni. Fu trovato morto nella cittadina di Skalica, dov’era di passaggio, il 27 dicembre 1965. Fu beatificato sul piazzale del Santuario della Beata Vergine dei Sette Dolori a Šaštin il 31 agosto 2024, sotto il pontificato di papa Francesco. I suoi resti mortali, dopo la beatificazione, sono venerati nella chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Bratislava, mentre la sua memoria liturgica ricorre il 12 febbraio, giorno del suo compleanno.


Famiglia e primi anni
Ján Havlík nacque il 12 febbraio 1928 a Vlčkovany in Cecoslovacchia (oggi Dubovce in Slovacchia), primo dei quattro figli di Karol Havlík, operaio e contadino, e di Justina Pollakova. Da piccolo era parecchio esuberante, tanto che la madre doveva spesso rimproverarlo e castigarlo. Il 27 settembre 1941 ricevette la Cresima a Radošovce.
In famiglia fu avvertita con forza la crisi economica dovuta alla seconda guerra mondiale, ma Janko (diminutivo di Jan, come a dire “Giovannino”) desiderava ugualmente studiare. Così, conclusi i cinque anni di scuola elementare a Vlčkovany, frequentò la scuola a Holíč: ogni giorno percorreva a piedi sedici chilometri. Due anni dopo divenne allievo del Ginnasio Statale di Skalica, ancora più distante: trentasei chilometri in bicicletta ogni giorno.

Vocazione vincenziana
Ad animare il suo desiderio di conoscenza era un sogno ancora più profondo: Janko voleva diventare sacerdote nella Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli. In quella decisione ebbe sicuramente peso il rapporto profondo che aveva con una zia, Angela Havlíková, che lavorava a Nitra come professoressa di slovacco e di musica: in seguito entrò tra le Figlie della Carità, col nome di suor Modesta.
Nel 1943, dunque, Ján entrò alla Scuola Apostolica dei Padri Vincenziani a Banska Bystrica, ossia la struttura per il discernimento e la formazione dei probabili futuri candidati al sacerdozio nella stessa Congregazione. Era un ragazzo alto, sportivo, sorridente, portato per il canto e con un buon eloquio. Era anche molto devoto alla Madonna e amante della preghiera.
La scuola fu spostata a Trnava nel 1944, per tornare, alla fine della guerra, nella prima sede. Nel maggio 1949 Ján sostenne gli esami di maturità, quindi iniziò il noviziato a Ladce: mentre proseguiva la formazione, continuava a sognare di andare missionario e di «insegnare il cristianesimo ai figli di Stalin», secondo quanto aveva confidato un giorno a sua madre.

La chiusura del seminario vincenziano nella persecuzione della Chiesa cecoslovacca
Tuttavia, proprio nel momento in cui Ján doveva passare dalla Scuola Apostolica al Seminario maggiore vincenziano a Bratislava e, di lì, alla facoltà teologica, il potere statale liquidò il Seminario vincenziano. Due anni prima, infatti, nel “vittorioso febbraio 1948”, il totalitarismo comunista aveva effettuato un colpo di Stato, avversando palesemente la Chiesa.
Al ragazzo non fu possibile nemmeno entrare nel Seminario diocesano di Bratislava, perché le autorità liquidarono anche questo. Infine, appena entrato in noviziato, insieme ad altri confratelli fu prelevato dai Servizi di Sicurezza, in quella che fu definita “notte barbara dei Vincenziani”, tra il 3 e il 4 maggio 1950 e che rientrava in Akcia K, ovvero la liquidazione degli ordini religiosi maschili.

I lavori forzati e la “rieducazione”
Ján e i connovizi furono impiegati per la costruzione di una diga nel nord del Paese, a Nosíce, vicino a Púchov, sul fiume Vah: la struttura fu ribattezzata “Diga della gioventù”, perché gli operai coatti erano tutti giovani membri degli ordini religiosi dichiarati sciolti nello stesso anno.
La loro nuova destinazione fu Kostolná, sede di un “monastero speciale per giovani religiosi”: avevano un alloggio, ma erano obbligati a studiare nella nuova Facoltà teologica di Bratislava, da cui erano destinati a uscire sacerdoti come strumenti in mano al potere, per controllare i fedeli. La maggior parte dei giovani religiosi si rifiutò di seguire il programma di rieducazione: le autorità, quindi, sciolsero il monastero, nel mese di agosto.

Il seminario clandestino
Ján non tornò a casa come gli altri: insieme a suo fratello si diresse dalla zia suor Modesta, la quale, prima di essere anch’ella prelevata e destinata ai lavori forzati, aveva fatto in tempo a trovargli un'abitazione a Nitra, presso la signora Valasekova, nella zona detta “sotto il Calvario”; allo stesso tempo, gli aveva procurato un impiego nelle Ferrovie Cecoslovacche.
Il giovane si ambientò bene: quasi subito, nel mese di settembre, scrisse ai confratelli per trovare il modo di non perdere anni di studio. Alla fine, insieme, pervennero a una soluzione: avrebbero potuto studiare clandestinamente, continuando a lavorare.
Sotto la guida di padre Štefan Kriština, che era stato direttore spirituale del Seminario Minore Vincenziano, i sei giovani (quattro seminaristi, un fratello novizio e uno studente di ginnasio non novizio) iniziarono a studiare le basi di filosofia e di teologia e continuarono la formazione, facendo vita comune.
La loro giornata iniziava con la preghiera comune al mattino e proseguiva con il lavoro. Al ritorno, trascorrevano il pomeriggio e la sera ascoltando le lezioni, studiando e seguendo i programmi di Radio Vaticana. Frequentavano le funzioni nella chiesa vicina ed erano assistiti dalle Figlie della Carità, impegnate come infermiere nell’ospedale del luogo.

Sotto osservazione
A metà maggio 1951, Ján e altri tre seminaristi lasciarono il lavoro (lui aveva trovato un altro impiego a Sitno, in una fabbrica statale) e si dedicarono pienamente allo studio. Non sapevano che, già da quel periodo, erano sotto stretta osservazione.
Alla fine, un ragazzo di sedici anni, membro della Unione Cecoslovacca della Gioventù (Organizzazione giovanile del Partito comunista, denunciò la strana associazione clandestina. Nel frattempo, Ján aveva perso i contatti con suor Modesta, deportata al confine tra Cecoslovacchia e Germania. Trovò conforto e aiuto dai Padri Vincenziani, che affinarono la sua fede e la sua spiritualità.

Una tortura “in guanti bianchi”
Superiori e seminaristi furono tutti arrestati il 29 ottobre 1951. Prima ancora che se ne rendesse conto, Ján si trovò in cella d’isolamento, sospettato di attività illegale contro lo Stato e di essere una spia del Vaticano.
Più volte fu sottoposto a interrogatori, allo scopo di farlo cedere psicologicamente. Ad esempio, gli fu ordinato: «Confessate quale doveva essere la vostra missione, poiché affermate che nel sistema popolar-democratico l'Ordine dei Lazzaristi [altro nome dei Vincenziani, ndr] è stato soppresso». Lui ribatté: «Volevo divenire sacerdote di quell'Ordine, anche se era stato soppresso, meglio, non soppresso, ma sciolto. Non ho mai riconosciuto la soppressione di quest'Ordine».
Gli interrogatori continuarono nella Procura di Stato di Bratislava: Ján continuò a dichiararsi innocente e a ribadire che non voleva diventare un sacerdote asservito al regime (fatto che l’avrebbe automaticamente scomunicato).

La condanna per alto tradimento
Il processo fu celebrato tra il 4 e il 5 febbraio 1953: Ján fu condannato a quattordici anni di prigionia per alto tradimento. Udita la sentenza, si rivolse alla madre: «Non piangere, mamma. Dovevamo offrire sull’altare un sacrificio a Dio, ora alzeremo verso di Lui invece dell’ostia la nostra vita e le nostre sofferenze».
La sua destinazione fu il campo di lavoro di Ostrovc: benché il certificato medico lo designasse come adatto a lavori medio-pesanti, divenne un minatore, incaricato di aiutare nello scavo delle vene di uranio, senza alcuna forma di protezione. Dalla fine di aprile fu inviato nel campo Bytíz a Příbram, come minatore e addetto alle pompe di profondità.
Le sue prestazioni erano buone, ma il fisico cominciava a risentirne: ebbe problemi cardiaci (ingrossamento dell'atrio destro del cuore) e uno strappo a un legamento della gamba destra, che lo condussero in infermeria. Appena fu in grado di tornare in piedi, venne rimesso al lavoro.

Il secondo processo
Nell’autunno 1958 fu accusato di far parte di un’associazione clandestina di detenuti. Ancora una volta, dichiarò di aver svolto solo attività di evangelizzazione e di preghiera nei confronti di alcuni prigionieri. A causa di ciò, gli fu aggiunto un altro anno di prigionia.
Il 27 maggio 1958 fu internato nel carcere di Praga, in cella d’isolamento. Sempre più ammalato, venne ricoverato in ospedale, ma tra i malati psichiatrici, con la diagnosi di “sindrome nevrastenica con disturbo depressivo”. In quel momento la sua fede vacillò, ma solo affidandosi alla Provvidenza riuscì ad affrontare quella prova.
Più di una volta chiese la grazia o almeno una riduzione di pena: puntualmente, la sua richiesta veniva respinta. Alla Corte d'Appello di Praga, all'inizio di febbraio 1959 a Praga, dichiarò: «Il mio obiettivo finale era diventare prete. Ho seguito la mia coscienza. Non ho altro da aggiungere!».

Missionario anche in carcere
In tutte le sue destinazioni, Ján cercava di mantenersi sereno e d’infondere speranza agli altri seminaristi e ai compagni di lavoro. «Mi sento come in missione. Del resto, nessun missionario potrebbe aspirare a un posto migliore o più stimolante di questo!», confidò all’amico e compagno di prigionia Anton Srholec.
La notte, anche se era sfinito dal lavoro, copiava il libro «L’Umanesimo integrale», di Jacques Maritain, tradotto direttamente dal francese, quindi lo diffondeva tra i compagni di prigionia. Non provava risentimento verso i suoi persecutori ed era consapevole che, se avesse perseverato, sarebbe andato incontro alla morte; se invece avesse dichiarato di non voler essere più sacerdote, sarebbe stato liberato.

L’ultima prigionia
Al termine dell’anno aggiuntivo, fu inviato al campo di rieducazione di Valdice, vicino a Jičin, impiegato in un lavoro infimo e sottopagato, ossia fabbricante di spille e mollette. Nemmeno l’amnistia generale indetta nel 1960 lo riguardò: continuava, infatti, a cercare di stringere relazioni con gli altri detenuti, compresi il suo superiore provinciale e due vescovi.
Dall'inizio dell'ottobre 1960 Ján fu detenuto nel complesso penitenziario di Pankrac: anche lì, se da una parte appariva un lavoratore produttivo anche a scapito delle condizioni di salute, dall’altra compiva attività definite antistatali.
Nell’autunno 1961, sempre più malato, fu portato nella prigione di Ilava; gli mancava ormai un anno per il termine della pena. Tutte le richieste di grazia erano state respinte, mentre la salute era ormai fragilissima.

Ritorno a casa
Il 29 ottobre 1962 Ján fu rimesso in libertà. Ebbe la gioia di riabbracciare la madre, la zia suor Modesta e gli altri familiari. Anche i compaesani erano felici di rivederlo, tanto avevano stima di lui. Per quel che la salute gli concedeva, tra una visita all’ospedale di Skalica e l’altra, collaborava alla vita della comunità cristiana, preparando i bambini alla Prima Comunione.
Riuscì anche a mettere per iscritto quello che aveva provato nei mesi di prigionia nel suo Diario, ricco di riflessioni, preghiere e invocazioni. Compose anche «La Via Crucis delle piccole anime», un testo in cui immaginava un bambino che accompagnava Gesù fino al Golgota. Infine, continuò a tradurre testi dal tedesco e dall’italiano.

La morte
«Oggi, altare del mio sacrificio è il mio letto di invalido e il mio corpo in disfacimento», aveva annotato nei suoi scritti personali. Oltre a questo, era continuamente spiato dalla polizia segreta, perché sembrava che la pena che gli era stata inflitta non avesse raggiunto il proprio scopo.
La vigilia di Natale del 1965, Ján fu mandato a casa dall’ospedale, affinché potesse trascorrere le feste con i familiari. La mattina del 27 dicembre 1965, festa di san Giovanni Evangelista e giorno del suo onomastico, decise di andare a farsi visitare da un medico nel vicino villaggio di Popudiny e portò con sé una radio, che sua madre gli aveva chiesto di portare a riparare.
Mentre camminava per le vie di Skalica, si sentiva sempre peggio: si fermò accanto a un contenitore della spazzatura e della cenere, posto fuori da una casa. Il padrone, che era un medico, lo vide: provò a parlargli, ma non ricevette risposta. Con l’aiuto di un passante, lo portò in casa propria, ma non poté fare altro che constatare il decesso.
Il medico non sapeva chi fosse, ma sua moglie lo riconobbe: l’aveva assistito in uno dei suoi ricoveri, ammirando la sua bontà e la sua gentilezza. Ján aveva trentasette anni, undici dei quali trascorsi in prigionia.

La prima parte della causa di beatificazione e canonizzazione
Il suo ricordo fu costantemente accompagnato da fama di martirio, anche negli anni in cui, durante il regime comunista, non era possibile dichiararlo apertamente. Col ristabilimento della democrazia, fu possibile far riemergere la sua testimonianza attraverso iniziative e pubblicazioni, così da farla conoscere anche ai più giovani.
Dopo molto tempo, dunque, i Padri Vincenziani cecoslovacchi, incoraggiati dai compagni di prigionia di Ján, decisero di avviare la sua causa di beatificazione e canonizzazione, per verificare il martirio in odio alla fede. L’arcivescovo di Bratislava, monsignor Stanislav Zvolenský, aprì la fase diocesana domenica 9 giugno 2013, nella chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo a Skalica.
Nell’inchiesta furono esaminati documenti, testimonianze e l'intero contesto storico. Della commissione storica faceva parte anche una dottoressa, che analizzò la documentazione medica e affermò che effettivamente il Servo di Dio stava morendo a causa del trattamento disumano subito nelle carceri. L’ultima sessione fu celebrata il 24 febbraio 2018 nella chiesa di San Vincenzo a Bratislava.
Il 27 febbraio 2018 fu consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi la documentazione relativa alla conclusione della fase diocesana, ma il 21 giugno 2018 la Congregazione notificò che era necessario integrare la parte testimoniale interpellando almeno cinque testimoni, o preferibilmente dieci, sulla fama di santità e di martirio del Servo di Dio.
Furono raccolte le testimonianze di dodici testimoni in un processo suppletivo, concluso il 27 febbraio 2020. Il decreto sulla validità dell’intera inchiesta diocesana fu emanato il 26 giugno 2020.

Il decreto sul martirio
Il 23 ottobre venne nominato il Relatore con il compito di redigere la “Positio super martirio”, la quale fu consegnata ai Consultori Teologi che, il 30 marzo 2023, si pronunciarono a favore del martirio in odio alla fede. Anche i cardinali e i vescovi del Dicastero delle Cause dei Santi, il 5 dicembre 2023, diedero parere analogo.
Il 14 dicembre 2023, ricevendo in udienza il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sul martirio di Ján Havlík.

La beatificazione
La Messa con il Rito della Beatificazione fu celebrata il 31 agosto 2024 sul piazzale del Santuario della Beata Vergine dei Sette Dolori a Šaštin, presieduta dal cardinal Semeraro come inviato del Santo Padre.
La memoria liturgica del Beato Ján Havlík venne fissata al 12 febbraio, giorno del suo compleanno. I suoi resti mortali, dopo la beatificazione, sono venerati nella chiesa di San Vincenzo de’ Paoli a Bratislava.


Autore:
Emilia Flocchini


Note:
www.janhavlik.sk

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Aggiunto/modificato il 2024-09-28

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