Maria Luisa (Marisa) Bassano nacque a Torino il 31 luglio 1938.
La famiglia Bassano, di papà Piero e mamma Pina, era una grande famiglia, molto unita, con sette figli: Giovanni, Maria Teresa, Dino, Giorgio, Mario, Marisa e Mariella.
Da piccola Marisa visse in un clima di gioia, umana e spirituale.
Fino all’adolescenza, Marisa ebbe problemi di salute, oltre ad affrontare con difficoltà le malattie infantili, soffriva infatti anche di asma e di allergie, ma le superò grazie all’amore familiare e al suo atteggiamento positivo verso la vita.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale tutta la famiglia si era trasferita a Bolzano per seguire il papà che era stato nominato direttore della Lancia di quella città, e là Marisa trascorse l’adolescenza.
Negli anni della scuola media inferiore ebbe come insegnante il professor Ermes Lovera, una persona eccezionale che abituò i suoi allievi ad essere sempre in competizione con se stessi e non con gli altri. Questa persona ebbe una grande influenza sulla formazione e sulla vita di Marisa, e la spronò anche a proseguire gli studi.
Quando il papà fu promosso a un incarico che lo riportò alla sede centrale della Lancia, tutta la famiglia fece ritorno a Torino. Qui Marisa continuò gli studi magistrali fino al diploma, dopo di ché si iscrisse a un corso di specializzazione per l’insegnamento anche ai bambini portatori di handicap, sentendo un profondo interesse verso i problemi sociali. Conseguito il diploma di stato, fu assunta come maestra di una classe di ragazzi autistici. Questa preziosa esperienza influenzò indiscutibilmente Marisa, che capì che la cosa più importante è il saper educare con amore, e all’amore.
Marisa era innamorata della vita.
Durante la giovinezza nasceva in lei la curiosità di conoscere il mondo, voleva vivere internazionalmente ed ebbe poi una sensibilità speciale verso il Terzo Mondo e l’Africa in particolare.
Marisa frequentò ancora un corso estivo di tedesco a Monaco, e fu qui che conobbe un giovane giapponese, attraverso il quale entrò in contatto con la cultura di questo paese, tanto che in lei nacque un profondo interesse verso il Giappone. Finito il corso estivo e tornata a Torino si iscrisse al corso di lingua giapponese che a Torino si teneva al Centro di Cultura Orientale dell’ISMEO. In quel periodo essa esprimeva spesso il desiderio di recarsi in Giappone:
“Comunque vorrei andare a studiare in Giappone”.
Questo sogno di Marisa andava crescendo di pari passo con la sua conoscenza del giapponese. Anche il professor Takehide Yokoo, responsabile di lingua giapponese all’ISMEO e assistente all’Università di Hiroshima, la confermò in questo proposito.
Intanto al salone dell’automobile di Torino del 1960, Marisa incontrò un altro giovane giapponese, Hideyuki Miyakawa, il quale stava facendo il giro del mondo in moto come reporter per conto di una rivista di motori.
La conoscenza con Marisa e Hideyuki fu un colpo di fulmine. I due giovani si incontrarono allora in Giappone dove Marisa si recò poi per un anno. In questo periodo la loro amicizia, sentimento, stima e rispetto reciproco crebbero fino a culminare nel fidanzamento.
Mamma Pina poté verificare la ferma decisione di Marisa di sposare Hideyuki. Le rimaneva nel cuore una grande preoccupazione per la religione. Faticava a comprendere come mai questa sua amata figlia, così profondamente religiosa, volesse condividere la vita con un giovane dell’Estremo Oriente che comunque non professava la religione cattolica.
Mamma Pina, come ricevette la lettera in cui Marisa rivelava i suoi sentimenti, si recò da padre Malagola, un francescano verso cui nutriva una profonda stima, e gli chiese il suo parere.
Egli, rispose: “Marisa ormai è in tutti i sensi una persona adulta; credo che farà le scelte giuste e che si comporterà molto seriamente nelle scelte fatte”. Dopo di che aggiunse queste parole di incoraggiamento: “Avere fiducia in Marisa per Lei è la stessa cosa che avere fiducia nell’educazione che le ha impartito; in altre parole, credere in Sua figlia è credere in se stessa come madre”.
D’altro canto questo giovane giapponese non era del tutto insensibile verso i problemi religiosi. Il discorso su Dio era stato uno degli argomenti più importanti di discussione in tutti i loro incontri. Fin dal primo giorno Hideyuki si chiedeva da dove Marisa prendesse la serenità e la fiducia con la quale affrontava la vita.
Hideyuki poneva tante domande e Marisa rispondeva senza mai scomporsi o arrendersi. Era la sua indole quella di incantare le persone con il suo imperturbabile e dolce sorriso e poi dire schiettamente il suo pensiero, ovunque e con chiunque. Questo suo comportamento affascinava sempre più Hideyuki.
Egli aveva deciso di condividere la vita con Marisa e di approfondire la conoscenza di Dio.
Nel 1961, lo studente giapponese di teologia, Shirieda, informò il rettore del Seminario Salesiano che Hideyuki aveva espresso il desiderio di studiare il Cattolicesimo. Così Franco Nakagaki, un altro studente, ricevette l’incarico di insegnare il Catechismo a Hideyuki: i fondamenti della fede cattolica, la presenza reale di Dio, la vita di Cristo, la Sacra Scrittura, la morale matrimoniale.
Immancabilmente anche Marisa prendeva parte alle lezioni della durata di un’ora e mezza. A volte l’appassionata istruzione del seminarista si protraeva oltre il tempo fissato.
Passarono le feste natalizie e arrivò il nuovo anno. Il corso di catechismo procedeva bene, così nell’Aprile 1962, Hideyuki ricevette il battesimo durante la Veglia Pasquale e gli fu dato il nome di Giuseppe.
Il rito fu celebrato da don Zigiotti, superiore generale dei Salesiani, nella basilica di Maria Ausiliatrice in Valdocco, luogo della memoria di Don Bosco. Durante il rito Marisa teneva alta e accesa la fiaccola del suo amore, come avrebbe poi fatto per tutta la vita a due.
Un mese dopo, Marisa e Hideyuki fondavano la loro sacra famiglia, con la benedizione di tutti, e davano inizio al loro cammino di sposi. Come data di nozze avevano scelto il 5 maggio, giorno di buon augurio perché in Giappone è la festa nazionale dei bambini. Il rito delle nozze fu celebrato dunque il 5 maggio 1962 nella chiesetta dedicata alla Madonna di Fatima, a San Pietro (Torino).
Verso la fine del primo anno di matrimonio nacque il primo figlio:
Mario Yukio, il 19 Aprile 1963.
Poi vennero, in ordine:
Francesco Zenjiro, nel 1964.
Antonio Masayuki, nel 1966.
Maria Shizuko, nel 1968.
Non tutto fu sempre facile nel cammino della giovane coppia italo-giapponese.
Ciascuno dei due sposi era fiero della propria nazionalità e ambedue avevano una grande fiducia nell’altro. Così è sempre stato durante tutta la loro vita a due. Il motto “due culture, doppia possibilità” caratterizzava la vita di questa famiglia numerosa e internazionale, ma ovviamente non mancarono i momenti di crisi familiare.
Nelle sue conversazioni Marisa nominava spesso la “PRO CIVITATE CHRISTIANA”, un’associazione di volontari laici fondata da don Giovanni Rossi, ad Assisi.
Perché non andiamo ad Assisi?
Nel 1967, tutta la famiglia Miyakawa partì per Assisi per partecipare a un convegno nella Cittadella Cristiana, dove aveva sede questa associazione. Il tema del convegno era “il superfluo nella famiglia di oggi” alla luce della Beatitudine Evangelica sui poveri (Mt 5, 3).
La volontaria Dottoressa Dora Ciotta richiamò l’attenzione dei partecipanti all’incontro, verso l’orizzonte del sociale.
L’interrogativo che Marisa e Hideyuki si ponevano era:
“Che cosa significa per noi essere famiglia aperta?”
Forse il preludio del loro essere famiglia aperta si trovava già nella proposta che Marisa aveva fatto a Hideyuki otto anni prima, cioè al momento di loro fidanzamento.
“Mi piacerebbe accogliere e allevare un bambino africano… Hideyuki che ne pensi?”.
L’adozione di Sara
La signorina dell’ufficio annotò qualche cosa in calce alla loro domanda. Due settimane dopo arrivò loro dal CIAI la fotografia di una graziosa bambina di due anni, nata in Corea il 25 gennaio 1969. Sul petto portava un cartellino su cui era scritto il suo nome: Jung Wol Sook 6970.
Dal momento in cui videro la foto, Wol Sook era già diventata una persona di famiglia. Secondo l’iter voluto dalla legge, l’assistente sociale fece il sopralluogo nella loro casa e la documentazione da loro inoltrata fu sottoposta a tutti i controlli prescritti. Arrivato il sì definitivo, Marisa e Hideyuki si dissero l’un l’altro:
“Cosa ne pensi se noi due andassimo a prenderla a Seul? Mi pare irresponsabile da parte nostra non conoscere il paese dove è nata nostra figlia”. Partirono immediatamente alla volta del Giappone e da lì raggiungessero la Corea.
Nella loro casa di Torino, in via Peano 11, Mario di sette anni, Zenjiro di sei, Antonio di quattro e Shizuko di due, erano in grande attesa della sorellina che arrivava dalla Corea. Wol Sook aveva un volto rilassato ma, come oltrepassò l’ingresso, si irrigidì tenendo gli occhi fissi lontano.
“Bisogna caricare la molla per farla muovere?”
Questo fu il primo saluto di Mario. Fino a sera però la bambina se ne stette immobile. A un certo punto, come se si fosse annoiata di fare la solitaria e vedendo gli altri quattro balzare allegramente nella vasca da bagno, anche lei da sola cominciò a togliersi i vestiti. Quindi si mise ad imitare il fratello grande: si aggrappava all’orlo della vasca e sorrideva. Orbene, il risultato fu perfetto. D’un tratto assunse un’espressione del volto assai differente, si mise a vociare e a ridere, mentre tutta allegra giocava con le bolle di sapone. Poco alla volta, la bambina si sentiva ormai di casa e si abituava ai suoi fratelli e sorelle.
A Natale di quell’anno, ci fu il battesimo amministrato da Padre Malagola. La bimba, che aveva appena compiuto due anni, indossava un bel vestitino bianco. Da quel giorno Jung Wol Sook fu chiamata Sara. Avevano affidato l’ufficio di padrino e madrina alla coppia Conti, loro amici. Sara era stato il nome della saggia moglie di Abramo, il pellegrino santo dell’antico testamento. Sembrò loro che fosse il nome adatto per Jung Wol Sook che, ancora piccolina, aveva attraversato i continenti.
Shizuko e Sara erano sempre assieme. Molti chiedevano se fossero gemelle. Shizuko aveva due anni e mezzo e Sara due anni. Quanto a statura la testolina di Shizuko era di poco più alta.
L’adozione di Nalini
Nalini arrivò dall’India il 15 agosto 1971, festa dell’Assunzione di Maria. Dal CIAI di Milano avevano saputo che era nata a Poona il 15 gennaio 1965, vicino a Bombay; la bambina aveva sei anni e mezzo ed era orfana. A sentire questo racconto Marisa aveva esclamato: “Dobbiamo fare qualcosa per lei”. Perfino Sara, dal carattere duro, cresceva bene e tutti i loro figli collaboravano volentieri all’adozione. Il clima familiare a casa loro era ottimo.
L’ingresso di Davide in famiglia
“C’è un ragazzo di quattordici anni (nato il 18 gennaio 1970), un ottimo ragazzo. Lo volete adottare?” Disse un giorno a Marisa e Hideyuki un’assistente sociale loro amica.
“Un ragazzo di quattordici anni metterebbe sottosopra tutta la casa….!” Fu la loro risposta perplessa.
Davide era il nome del ragazzo.
Ormai non era più possibile per Marisa e Hideyuki decidere di una nuova adozione da soli senza parlarne prima con tutta la famiglia. Doveva esserci l’accoglienza da parte di tutti, perché tutti avrebbero dovuto adoperarsi per il bene del nuovo arrivato. Quello stesso giorno, mentre erano a tavola per la cena, parlarono di Davide ai ragazzi.
A Natale del 1984 Davide arrivò nel paese di San Pietro, dove la famiglia si era trasferita da Torino. In casa c’era solo un fratello ad accoglierlo, Zenjiro, che gli fece conoscere tutti gli angoli.
Con l’arrivo di Davide il lavoro a casa Miyakawa aumentò e dal punto di vista dell’educazione parve come se la macchina del tempo fosse tornata indietro di cinque o sei anni. A parte questo l’arrivo di Davide fu per tutti un evento gioioso.
La famiglia dell’Africa
Il tema del convegno di Assisi del 1967 fu “Il superfluo” ed era desunto dalla prima beatitudine dei poveri in spirito proclamata da Gesù nel discorso della montagna. Senza accorgercene finiamo per compiere in continuazione cose senza motivo. Dall’egocentrismo e da tante altre passioni inutili nasce la corsa al superfluo e noi, da tale corsa, molto spesso siamo dominati e condizionati.
Durante il convegno fu letta una lettera che proveniva dallo Zambia, scritta da Suor Tarcisia, una suora Battistina,. Vi si narrava la situazione dello Zambia nell’Africa centrale, poi quella del posto dove suor Tarcisia era missionaria.
Nei pressi della scuola sorgeva il lebbrosario che suor Tarcisia dirigeva insieme con Padre Giuseppe e altri francescani. La lebbra riduce sia la forza fisica che la volontà del paziente, per cui i lebbrosi non possono e non riescono più a lavorare. Ne consegue lo stato di miseria in seguito al quale i bambini vengono allontanati dalle famiglie. Una volta allontanati da casa il papà perde ogni diritto paterno sul bambino. Basta una piccola somma di denaro per garantire al bambino la frequenza alla scuola elementare e poi alle medie inferiori. Per questo suor Tarcisia faceva appello alla comprensione e alla collaborazione delle famiglie italiane.
La corrispondenza di Marisa e Hideyuki con l’Africa ebbe inizio nel 1967 e divenne sempre più intensa. La volontaria Dora Ciotta aveva comunicato per lettera la disponibilità dei convenuti ad Assisi e l’aveva inviata a suor Tarcisia. La lettera di risposta era uno scoppio di gioia e di riconoscenza e comprendeva già anche la lista dei bambini bisognosi di aiuto.
Si era intanto creata una catena di famiglie italiane , tra cui i Miyakawa, disposte ad aiutare i bimbi di Solwezi. Più di un migliaio di bambini fu poi aiutato nel corso del tempo.
Marisa e Hideyuki optarono per i bambini che avevano bisogno di una lunga assistenza. Intendevano infatti realizzare un rapporto di aiuto reciproco tra la loro coppia e le coppie africane.
Fu assegnata loro la coppia di Unchaba Andrea (40 anni) e Bernardetta (39 anni). Da questa coppia erano nati sedici figli, di cui sei erano morti subito dopo la nascita. Papà Andrea era stato colpito dalla lebbra e così non poteva più lavorare. La domanda di suor Tarcisia era che Marisa e Hideyuki aiutassero Donato, il dodicesimo figlio di 12 anni e Adriano, il quattordicesimo di 5 anni. Loro accettarono di aiutare anche un’altra famiglia, la famiglia di Zailos di 10 anni e Albertina, sua sorella appena nata. E l’elenco dei bambini africani adottati a distanza dai Miyakawa e loro amici si sarebbe allungato fino a superare i duecento, e quelle adozioni continuano a tutt’oggi!…
Nel 1969 suor Tarcisia fece un breve ritorno in Italia e portò una montagna di notizie. I suoi racconti infuocati sullo Zambia aumentarono la simpatia dei Miyakawa verso quel paese e fece loro sentire l’Africa più vicina.
“Donato, Adriano, Zailos, tutti stanno bene.
A scuola Donato è il primo della classe: ha i voti più belli”.
Era chiaro, da come parlava, che suor Tarcisia amava questi ragazzi come propri figli e ne aveva grande cura. Nacque allora in Hideyuki e Marisa il desiderio di andare in Zambia, incontrarsi con questi ragazzi e vedere con i propri occhi in quale situazione vivessero.
Nel 1969 decisero di andare in Africa e invitarono anche Dora a partire con loro… Come regalo dal viaggio di due settimane in Africa, portarono a casa il racconto dell’incontro con Donato e i bambini della missione.
Suor Tarcisia aggiornava sempre gli elenchi di bambini bisognosi di aiuto per completare gli studi fino alle superiori.
Nel 1979, finalmente Donato poté venire in Italia per 3 mesi. Aveva diciannove anni e fu ammesso al liceo di Giaveno come studente fuori corso nella stessa classe di Mario. Fu un’esperienza meravigliosa di convivenza con tutta la grande famiglia Miyakawa e dello scambio interculturale. Donato fece esperienza sulla sua pelle delle differenze della vita in Africa e nel continente europeo.
Il gruppo famiglia
Intanto negli anni ’70, con padre Franco Gioannetti, un padre Marista, e dodici coppie della zona di Giaveno e Avigliana (provincia di Torino) si costituiva il “gruppo famiglie”, un gruppo che si radunava periodicamente per discutere e riflettere sul cammino di fede.
Padre Franco propose al “gruppo famiglie” di assumersi una parte del lavoro del CPM “Corso Prematrimoniale”, obbligatorio per le coppie che volevano sposarsi in chiesa.
Il corso prematrimoniale portò frutti superiori alle loro aspettative. Alcune coppie che erano nate beneficiando dei loro corsi, in seguito inviarono lettere di apprezzamento e ringraziamento; altre coppie chiesero di entrare a far parte del gruppo famiglie. L’attenzione verso l’adozione passò poi, attraverso i legami di amicizia, dalla famiglia Miyakawa ad altre famiglie.
In quel periodo padre Franco lanciò la proposta di costituire il Centro Educazione per la Famiglia (CEPAF), un centro di ascolto e di consulenza per qualsiasi problema familiare.
La Bulichella
Nel 1983, con l’intenzione di migliorare la qualità della propria vita con l’apertura agli altri e nel rispetto della natura, la famiglia Miyakawa con altre 3 famiglie, gli Arnofi da Milano, i Genova da Ivrea (To) e i Maurelli da Bari, iniziò l’esperienza della “Bulichella”. Fu acquistato un podere nel Comune di Suvereto (Li), nell’Alta Maremma Toscana. Con un progetto assai ambizioso si voleva trasformare la Bulichella in un’azienda agricola biologica e agrituristica, ma specialmente vivere gioiosamente insieme ed educare i figli aiutandosi reciprocamente. Un altro obiettivo era la condivisione con persone problematiche o che si trovassero in qualche necessità, specialmente i giovani.
Nel 1990, alla famiglia Miyakawa si aggiunse poi una figlia in affido di nome Katiuscia, una ragazza toscana di 15 anni che divenne per Marisa e Hideyuki come la loro ottava figlia.
Negli anni ‘90, Marisa e Hideyuki sentirono la necessità di aprire un centro interculturale per promuovere scambi culturali tra il Giappone e l’Italia, Il centro prendeva il nome “Tavolino Rovesciato” e nell’arco degli anni l’attività del Tavolino influì anche sul territorio.
La Bulichella cresce e matura, gli anni passano e le varie esigenze familiari cambiano. Nel corso del tempo poi le 4 famiglie si ridussero ai soli Miyakawa, ma rimasero tra loro legami di amicizia anche se la convivenza aveva avuto le sue difficoltà.
L’ambiente della Bulichella è sempre stato internazionale; vi hanno soggiornato o lavorato persone provenienti da tutte le parti del mondo.
New Start
Una coppia di amici giapponesi, rimasti colpiti dal tipo di vita e dall’esperienza di Marisa e Hideyuki, chiesero se potevano aiutarli per il problema che in Giappone è conosciuto come “Hikikomori – Chiudersi in se stessi”. Questo fenomeno colpisce i giovani giapponesi a causa della vita stressante che la società industriale impone loro.
Nel 1993 nacque il progetto “New Start” che consisteva nell’accogliere una o due volte l’anno questi gruppi di ragazzi. Essi condividevano la vita della famiglia Miyakawa e della Bulichella per circa 45 giorni.
In 10 anni alla Bulichella passarono più di 65 giovani giapponesi.
In giapponese il progetto si chiamava “SUDACHI NO TABI” ossia “prendere il volo”, “essere svezzati”.
Ora ognuno di questi ragazzi si è inserito nella vita. Alcuni di essi torneranno alla Bulichella il prossimo settembre (2004) per ringraziare la loro “Mamma Marisa”.
Gli ultimi anni:
Marisa era molto impegnata. Spesso si recava a Torino e in Giappone per seguire altre iniziative e lavori come ad esempio la collaborazione ormai trentennale con il Gruppo Abele di don Ciotti e la sua Casa Editrice.
In Toscana Marisa collaborava con giovani coppie impegnate nel sociale, come ad esempio Cinzia e Lionello, che a Piombino hanno fondato una casa di accoglienza, chiamata “Crocevia dei Popoli”, collegata con la Caritas.
Collaborava anche con la Caritas parrocchiale di Suvereto, partecipava con il marito a uno dei gruppi di Vangelo nati con l’arrivo di un giovane sacerdote della Repubblica Democratica del Congo, don Herman, con il quale Marisa e Hideyuki avevano subito stretto una grande amicizia.
Marisa si interessava anche di Amnesty International. Era in contatto con religiosi e missionari, amici di lunga data, che operano in paesi dove non c’è rispetto per i diritti umani (come Sudan, Corea, Cina, Nigeria …).
Sempre in Toscana Marisa e Hideyuki erano diventati grandi amici di don Sebastiano, un giovane sacerdote colpito da una grave malattia. Con lui erano stati in pellegrinaggio all’isola di Pianosa, in occasione dei loro 40 anni di matrimonio. Quando la malattia di Sebastiano era già molto avanti, i Miyakawa vollero appagare un suo grande desiderio e, accompagnati da Suor Benedetta, lo portarono in pellegrinaggio a Fatima (Portogallo). L’ultimo progetto con Don Sebastiano era il pellegrinaggio in Terra Santa, purtroppo don Sebastiano li lasciò prima di poter intraprendere questo viaggio.
Marisa accompagnò don Sebastiano fino alla fine, serenamente, sapendo, comunque, che la vita continua.
In quel periodo ci fu l’incontro con Suor Benedetta, una suora congolese profuga di guerra che un incidente d’auto aveva lasciato con problemi di salute. Da due anni essa vive alla Bulichella, condividendo la vita quotidiana e diversi progetti come quello della collaborazione con il Carcere di Massa Marittima iniziata da Don Sebastiano.
Nel 2003, come tutti gli anni, per Natale Marisa e Hideyuki andarono a Torino per passare il periodo natalizio con la famiglia, i figli, le nuore e i numerosi nipoti.
Il giorno 24, dopo la cena, tutti insieme come di consuetudine andarono alla Messa di mezzanotte celebrata da don Ciotti. Fu una notte di grande felicità. Poi la mattina di Natale, Marisa fece una brutta caduta alzandosi dal letto. Il giorno 26, festa di Santo Stefano, verso le 20,30 Marisa ci ha lasciato per la Casa del Padre all’età di 65 anni vissuti sempre con un sorriso radioso, una vivacità eccezionale e una gran forza interiore.
Per tutti gli anni della sua vita matrimoniale, pur tenendo sempre rapporti affettuosi con la sua famiglia d’origine, con i parenti e gli amici, Marisa fu costantemente e prima di tutto compagna di vita per Hideyuki Miyakawa e sua insostituibile collaboratrice nel lavoro professionale, senza trascurare il suo ruolo di madre di famiglia (e poi anche di nonna), di figlia e sorella. Seguiva anche, con l’aiuto di valide collaboratrici, la gestione della casa e della cucina per la sua grande famiglia e per i sempre numerosi ospiti.
Anche quando i Miyakawa avevano raggiunto un grande benessere a causa del successo nel lavoro, e capitava loro spesso di frequentare personaggi “importanti”, Marisa continuava a trattare sempre con cordialità e affabilità le persone di condizione modesta. Marisa cercava sempre di rimanere umile e sensibile alle necessità degli altri.
Non si può dimenticare che pur avendo una vita così piena di ruoli e di impegni, Marisa trovava il tempo e il modo di seguire incontri di riflessione biblica e di fermarsi quotidianamente per momenti di preghiera, malgrado il suo fisico provato dall’impegno quotidiano (lei si addormentava spesso pregando in cappella). In particolare, dopo l’arrivo di Suor Benedetta, Marisa aveva sistemato una stanzetta della Bulichella, facendola diventare un luogo di silenzio e di raccoglimento, quasi una piccola cappella, dove lei e la sua grande amica Benedetta, in compagnia a volte anche di Hideyuki, sostavano volentieri in preghiera.
Marisa fu davvero una donna di preghiera, una dimensione alla quale teneva molto. Lei ringraziava il Signore in ogni momento della vita, chiudendo la sua giornata con la recita della “Compieta” e del “Magnificat”.
Marisa, con la sua vivacità, gioia di vivere e di condividere voleva che la Bulichella diventasse un’oasi di pace e di condivisione internazionale, quasi un piccolo paradiso. È stata una donna radiosa, la sua vita rimarrà fonte di insegnamento per tutte le persone che l’hanno conosciuta.
Autore: Suor Benedetta e Hideyuki Miyakawa
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