Nascita e primi anni
Luigi Anglesio nacque a Torino l’8 ottobre 1803, da Ludovico, gestore di una “spezieria” o farmacia, fornitrice ufficiale della Casa Reale, e da Maria Angela Giuseppa Nota. Terzo di sei figli sopravvissuti all’età infantile, venne battezzato il giorno dopo la nascita, semplicemente perché era venuto al mondo alle undici di sera.
La generosità cristianamente intesa, ossia la carità, era vissuta dagli Anglesio a partire dal lavoro: nessun povero, infatti, usciva dalla farmacia senza medicine, anche se non poteva pagarle. Il piccolo Luigi mise presto in pratica quanto vedeva: il giorno dell’Epifania di un anno non precisato, infatti, rinunciò alla propria parte della focaccia tradizionale per darla agli affamati ed esortò i suoi fratelli a fare altrettanto.
Non si sa con certezza quando ricevette la Prima Comunione e la Cresima, ma è plausibile che sia successo verso gli undici anni d’età, sotto la guida della madre e dello zio paterno, don Paolo, canonico della Collegiata della Santissima Trinità.
Vocazione al sacerdozio e formazione
La famiglia venne colpita, il 28 settembre 1808, dalla morte del figlio destinato ad ereditare la farmacia, Domenico Vincenzo; l’anno dopo venne seguito da sua moglie, Caterina Pagliano. Anche questi lutti, probabilmente, condussero Luigi a riflettere su come dare un senso alla propria vita. Il 19 giugno 1821, per mano dello zio, ricevette la veste clericale, ma a causa della sua malferma salute poté frequentare il Seminario solo come chierico esterno. Dovette quindi associarsi ad uno dei “cleri” (le strutture presso le quali i futuri sacerdoti affinavano la loro formazione pastorale e liturgica), precisamente a quello della Basilica torinese del Corpus Domini.
Nel 1823 il chierico Anglesio s’iscrisse alla Regia Università di Torino, per frequentare i corsi teologici. Visse in pieno i fermenti del tempo in materia di dogmi di fede, ma restò convinto dell’infallibilità del Pontefice, poi sancita dal Concilio Vaticano I.
Il 13 marzo 1824 morì il padre Ludovico e, l’11 giugno 1827, la madre. La prova vissuta da Luigi fu grande, ma il dovere prevalse: il 29 novembre 1827 venne proclamato Dottore in Teologia. Due anni prima aveva ricevuto la Tonsura e gli Ordini minori dall’Arcivescovo, monsignor Colombano Chiaverotti, dal quale fu pure ordinato suddiacono il 22 dicembre, presso la cappella interna del Palazzo Arcivescovile, nonostante il porporato soffrisse di podagra.
Sacerdote e canonico della SS. Trinità
Le condizioni di salute del giovane suddiacono costituivano un problema per la sua ordinazione sacerdotale, ma una frase di stima da parte del Vicario Generale, monsignor Emanuele Gonetti, sciolse le ultime resistenze: «C’è già un san Luigi chierico in paradiso; ve ne mandi un altro che sia prete!». L’Arcivescovo, dal canto suo, non migliorava, così il 22 marzo 1828 Luigi ricevette il Diaconato per mano del vescovo Giovanni Pietro Losana, presso la Chiesa dell’Immacolata, annessa al Palazzo Arcivescovile. Per il medesimo motivo, venne ordinato sacerdote a Pinerolo dal vescovo del luogo, monsignor Pietro Giuseppe Rey.
Poco dopo, lo zio don Paolo lo propose come Canonico onorario della Santissima Trinità. La nomina, avvenuta il 2 dicembre 1839, non incontrò alcuna critica, al punto che don Luigi venne promosso al canonicato effettivo il 1 giugno 1832 esclusivamente grazie ai suoi meriti personali.
Collaboratore e successore di san Giuseppe Benedetto Cottolengo
Le riunioni e le celebrazioni con gli altri canonici gli permisero di conoscere un confratello d’eccezione: Giuseppe Benedetto Cottolengo, che il 17 gennaio 1828 aveva dato inizio all’opera di carità che avrebbe preso il suo nome. Don Luigi lo affiancò sempre più spesso, finché non si rese conto che amministrare i sacramenti agli ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza non gli bastava più. Nel 1839, alla morte dello zio canonico, decise di andare a vivere nella struttura, ma non ruppe i ponti con i familiari, che beneficiarono a più riprese i “buoni figli” e le “buone figlie”, come don Giuseppe li chiamava.
Don Luigi trascorse circa quattro anni a fianco del futuro Santo, fino alla morte di lui, avvenuta il 30 aprile 1842. Il Cottolengo, però, aveva già pensato a lui come proprio successore, se così si può interpretare l’esortazione che gli rivolse quando, colpito da un’epidemia di tifo l’anno prima, rifiutò che offrisse la sua vita: «Il nostro canonico dunque non morrà, dovrà anzi servire la Divina Provvidenza in molte faccende».
Fonda nuove famiglie religiose nei reparti
Pur nelle differenze caratteriali col predecessore, padre Anglesio – ormai tutti lo chiamavano così – regolò attentamente la vita della Piccola Casa. Fidando nella Provvidenza, gestì gli inevitabili oneri economici e fondò nuove “famiglie” all’interno dei vari reparti, ciascuna col suo compito d’ordine concreto e spirituale.
La prima fu, nel 1842, quella delle Suore del Sacro Cuore di Maria, per la preparazione del materiale liturgico e la preghiera per i missionari; nel 1852, seguirono le Terziarie di San Vincenzo, poi Suore del Sacro Cuore, che rammendavano gli abiti degli ospiti e praticavano l’Adorazione Eucaristica continua.
Le fondazioni continuarono: il 3 maggio 1852 fu il turno delle Figlie di Santa Croce o Crocine, addette alla biancheria e al canto liturgico e devote alla Passione di Gesù; il 21 giugno 1856 nacquero le Figlie di Santa Eliana, lavandaie, che presero il nome da un “corpo santo” donato alla Piccola Casa nel 1845.
Amico di Santi e di Beati, devoto alla Consolata
Numerosissimi furono coloro i quali beneficiarono dei consigli di padre Anglesio: per citare i più famosi, san Luigi Guanella e i Beati Federico Albert, Clemente Marchisio, Francesco Faà di Bruno, Giuseppe Rosaz ed Enrichetta Dominici. Dal canto suo, fece ricorso all’amicizia coi santi Giuseppe Cafasso e Giovanni Bosco, il quale mandò alcuni dei suoi Salesiani ad insegnare ai Tommasini, i giovani ospiti inclini al sacerdozio.
Il 26 aprile 1852 un incendio causò l’esplosione della Regia Fabbrica delle polveri di Borgo Dora, non molto lontano dal Cottolengo. I danni materiali furono ingenti, ma nessun ospite rimase ucciso; inoltre, tutte le immagini sacre caddero, ma non vennero distrutte. Padre Anglesio interpretò il fatto come un segno della materna protezione della Vergine Maria, che era venerata in modo speciale con l’appellativo di Consolata.
Fedele al Papa e all’Arcivescovo
Nei tormentati anni che portarono all’Unità d’Italia, colui che amò definirsi “il figlio primogenito della Piccola Casa” si distinse per la fedeltà all’Arcivescovo monsignor Fransoni, esule a Lione, e tentò di convincere Federico Gioberti, che fu professore mentre lui compiva gli studi teologici, a compiere un atto di sottomissione alla Santa Sede, dopo la condanna delle sue opere. La devozione verso il Papa, invece, lo rese promotore di una raccolta di firme fra il clero torinese, da spedire in Vaticano: il Beato Pio IX lodò con una lettera l’iniziativa e, nel 1868, lo nominò suo Cameriere d’onore.
Gli ultimi anni e la morte
Il 1878 fu un anno doppiamente significativo: ricorrevano i cinquant’anni dalla fondazione della Piccola Casa e dalla Prima Messa di padre Anglesio. Per l’occasione venne fatto stampare un opuscolo con cinque intenzioni espresse da lui per tutti i suoi figli, tutte valide ancora oggi, ma soprattutto l’ultima: «Abbiano a corrispondere allo scopo e al fine propostosi dalla Divina Provvidenza […] formarsi cioè una famiglia di santi».
A settantasette anni, di ritorno da una visita alle fondazioni esterne del Cottolengo, si ammalò di polmonite. Dopo aver celebrato la sua ultima Messa, sabato 21 maggio 1881, si mise a letto. Padre Domenico Bosso, che fu uno dei Tommasini ed era destinato a succedergli, gl’impartì l’Unzione degli Infermi. Alle suore che lo piangevano in anticipo rivolse una frase umile ed ironica al tempo stesso: «È Nostro Signore che vuole cambiare la scopa».
Sabato 28 maggio, accanto al suo capezzale, c’era il suo confessore, l’oratoriano padre Felice Carpignano. Quando capì che il suo assistito stava per andarsene, gli suggerì di dire: «Veni, Domine Iesu» (in latino, «Vieni, Signore Gesù»). Lui rispose con le sue ultime parole: «Et noli tardare» («E non tardare»).
La sua tomba
I resti mortali di padre Luigi Anglesio sono custoditi, sin dalla prima inumazione, nella chiesa principale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, vicino all’ingresso, insieme a quelli di madre Marianna Nasi. Un reparto del Cottolengo porta il suo nome, come segno di una memoria che continua.
Autore: Emilia Flocchini
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