Nato il 13 maggio 1901 a Oloniec (oggi Olonets, nella Repubblica autonoma di Carelia della Federazione Russa) da famiglia aristocratica polacca, dal 1910 Pilecki si stabilisce a Wilno (oggi Vilnius, in Lituania) e lì si arruola nel 1918, scoppiata la Prima guerra mondale, nelle unità di difesa territoriale. Quando i bolscevichi russi sfondano, Pilecki porta la resistenza dietro il nemico. Nella guerra polacco-sovietica del 1919-1920, quando il maresciallo Józef Klemens Pilsudski sbaraglia l’Armata Rossa grazie al “miracolo della Vistola” attribuito all’intercessione della santa Vergine Maria, e mentre in URSS infuria la guerra civile fra bianchi e rossi, Pilecki entra nell’esercito regolare polacco. Il 5 agosto 1920 combatte a Varsavia e si guadagna la Croce al Valore.
Giunge poi finalmente la sospirata pace e Pilecki torna un uomo tranquillo. S’iscrive all’Università Stefan Batory di Wilno e riordina i possedimenti familiari smembrati dalla guerra.
Poi, è il 1926, entra in cavalleria, da ufficiale. Tenente. Bada alla fattoria avita di Sukurcze e dipinge. Si sposa nel 1931 con Maria Ostrowska (sopravvissutagli fino al 2002) che gli dà due figli. L’impegno sociale a favore della comunità locale in cui è perfettamente inserito gli regala, nel 1938, la Croce d’argento al merito.
Esplode però la Seconda guerra mondiale, proprio in Polonia, e Pilecki è rapido a servire nella 19a Divisione di fanteria contro i tedeschi. Riassegnato alla 41a Divisione, distrugge sette carri armati nemici, un aereo in volo e due a terra. Ma i sovietici attaccano alle spalle i polacchi, già impegnati con i nazisti. Le unità di Pilecki si arrendono. Rientrato a Varsavia, l’ufficiale fonda, il 9 novembre 1939, il Tajna Armia Polska, l’Esercito segreto polacco che si unisce poi all’Armia Krajova (AK), l’esercito patriottico clandestino, odiato e perseguitato da nazisti e sovietici.
Ciò per cui oggi, Giorno della Memoria, Pilecki viene onorato da chi non scorda la Shoà e teme il risorgere dell’antisemitismo è l’idea che balena nella mente dell’ufficiale nel 1940. Entrare nel campo di concentramento nazista di Auschwitz, nella polacca Oswiecim, per raccogliere informazioni. I suoi superiori accettano e così il 19 settembre Pilecki si fa catturare dai tedeschi per le strade della Varsavia occupata, sotto il falso nome di Tomasz Serafinski. Con lui vengono presi altri 1139 civili. Pilecki viene torturato per due giorni e poi è inviato ad Auschwitz. Sul braccio ha tatuato il numero 4859.
Fra lavoro e malattie, nel campo crea l’Unione di Organizzazioni Militari allo scopo di aiutare gl’internati e preparare la liberazione del campo da parte dell’AK e del legittimo governo polacco in esilio in Gran Bretagna. Intanto raccoglie notizie, che nel marzo 1941 arrivano a Londra. Nel frattempo, la Gestapo intercetta e giustizia diversi suoi compagni.
Per Pilecki è ora maturo il tempo della fuga, che avviene la notte tra il 26 e il 27 aprile 1943. Con sé il tenente porta documenti importanti: spera possano permettere all’AK di liberare gl’internati in quel campo di morte. Con l’aiuto di Londra. Londra però dice che non è possibile. E allora l’AK lo ripete: Auschwitz resta dov’è e i suoi prigionieri pure. Questo l’Occidente, l’Oriente non è da meno. Quando nel 1944 i sovietici passano nei pressi del campo, marciano diritti senza fermarsi un attimo. A Stalin interessa Berlino, non Auschwitz.
Il 23 febbraio 1944, promosso capitano, Pilecki s’inventa una ennesima struttura segreta, stavolta anticomunista, “Indipendenza”. Quando Varsavia insorge, il 1° agosto 1944 (resistendo fino al 2 ottobre, giorno in cui l’indifferenza dell’Occidente convince gli aggressori a chiudere la partita), Pilecki combatte con l’AK. Lo catturano e la fine della guerra lo trova internato fra Lambinowice, in Polonia, e Murnau, in Baviera.
Il 9 luglio 1945 è liberato. Infaticabile, si unisce all’Esercito polacco del generale Wladislav Anders. Soggiorna in Italia e qui scrive le proprie memorie su Auschwitz. In Polonia intanto patrioti e comunisti hanno rotto definitivamente e così per gente come Pilecki si avvicina la fine.
Ricercato dai sovietici, per tutta risposta dall’aprile 1947 il capitano si mette a raccogliere prove della crudeltà comunista nel Gulag.
L’8 maggio viene alla fine catturato. E subito torturato. Il resistente antinazista viene considerato solo una sporca spia. Il processo è fissato al 3 marzo 1948: l’accusa è impersonificata da un veterano di Auschwitz che ha fatto carriera e che è divenuto primo ministro della Polonia comunista, Józef Cyrankiewicz (1911-1989). Il 15 maggio arriva la sentenza capitale, eseguita, il 25 seguente, con un proiettile sparato nella nuca dal sergente Piotr Smietansk. Nella prigione Mokotów di Varsavia ha il nomignolo di “macellaio”; guadagna mille zloty per ogni prigioniero che ammazza.
Dove sia la tomba di Pilecki non si sa, forse vicino alla pattumiera del cimitero Powazki di Varsavia dove svetta una croce enorme e il simbolo dell’AK.
Oggi Pescara, oggi l’Italia, ricorda l’eroico capitano Pilecki, antinazista, anticomunista, cattolico e amico degli ebrei, grazie al quale la storia della Shoà avrebbe persino potuto, forse, essere diversa. Come del resto ricorda assai bene, fra mille sbeffeggiamenti, pure un altro polacco, un altro cattolico, un altro membro di spicco della Resistenza antinazista del Paese slavo, lo scrittore Jan Karski. Anche la storia scritta con i “se” ha le sue virtù.
Autore: Marco Respinti
Fonte:
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www.labussolaquotidiana.it
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