La vita
Il conte Louis-Gonzague-Frédéric-Marie-Maurice de Reynold de Cressier nasce il 15 luglio 1880, a Friburgo, capitale della Repubblica e Cantone omonimi, nella Confederazione Elvetica, da Alphonse-Louis-François (1842-1921) e da Victorine-Marie-Na¬thalie de Techtermann (1842-1926), in una famiglia dell’aristocrazia, distintasi nei secoli soprattutto in campo militare per il servizio prestato ai re di Francia.
«Bambino nato troppo presto in un mondo troppo vecchio» — come dirà di sé stesso nelle sue memorie trasformando in paradosso e in metafora del suo disagio, della sia «asincronicità» rispetto ai contemporanei, il suo essere settimino —, inizia la sua formazione con lo zio, il colonnello Arthur de Techtermann (1841-1909), quindi compie i primi studi al Collège Saint-Michel, di Friburgo, dove nel 1899 consegue il baccellierato in lettere. Nell’opera della sua formazione ricava — a suo dire — dalle famiglie paterna e materna una metà di essa, mentre l’altra metà è da attribuire ai sacerdoti, e popola la propria solitudine alimentandosi alle due fonti della storia e della poesia: «[...] se la solitudine doveva segnarmi per sempre — scrive infatti di sé stesso —, fino al fondo del mio pensiero, doveva, dandomi coscienza di me stesso, risvegliare la mia vocazione.
«La risvegliò facendomi vivere nel passato, il che sviluppò in me, precocemente, la memoria. Una memoria visiva, non intellettuale. Ne è derivata una certa capacità di evocazione storica e, con la maturità, di previsione politica». Dal 1899 al 1901 prosegue gli studi alla Sorbona e all’Institut Catholique di Parigi, poi all’università di Friburgo in Brisgovia, in Germania: nel 1909 si addottora alla Sorbona con una tesi su Le Doyen Bridel et les origines de la littérature suisse romande , prima espressione della sua ricerca letteraria, che si svolgerà nel¬l’Hi¬stoire littéraire de la Suisse au XVIIIe siècle, (1912), nello studio su Charles Baudelaire, (1920), e in Le XVIIe siècle: le classique et le baroque, (1944) e poi ripreso nel 1962 con il titolo Synthèse du XVIIe siècle: la France classique et l’Europe baroque. Dal 1910 si stabilisce a Ginevra, presso la cui uni¬ver¬sità, dal 1912, è libero docente di Storia della Cultura Svizzera; quindi incaricato di Letteratura Francese, materia della quale diventa ordinario nel 1915 all’università di Berna, che lascia a causa di violente polemiche esplose in seguito alla pubblicazione, nel 1929, dell’opera La démocratie et la Suisse. Essai d’une philosophie de notre histoire nationale, il frutto più maturo della sua ininterrotta riflessione storico-politica, che uscirà in edizione definitiva nel 1934. Nel 1930 passa a insegnare Storia della Civiltà Moderna all’università di Friburgo in Svizzera, dove rimane fino al 1950 e dov’è per due volte decano di facoltà.
Non solo studioso di letteratura, ma scrittore e poeta, nel 1899 pubblica la sua prima raccolta di versi e nel 1904 fonda con altri — fra cui lo scrittore romando Charles-Ferdinand Ramuz (1878-1947) — la rivista letteraria La Voile latine.
Nel 1912 passa dalla letteratura all’azione, anzitutto nazionale, promuovendo e firmando con altri la circolare confidenziale Pro helvetica dignitate et securitate, che prefigura la Nuova Società Elvetica, poi fondata a Berna il 1° febbraio 1914: essa si concepisce come «associazione amicale al di fuori e al di sopra di qualsiasi partito, per il bene della patria» — come recita l’atto costitutivo del 1914 —, quindi intenzionata a promuovere l’educazione nazionale e a essere luogo di dialogo e di scambio d’idee fra conservatori e progressisti, perciò insieme conservazione e riproposizione dello stato d’animo settecentesco e adattamento dei suoi obiettivi alle circostanze specifiche dei primi anni del secolo XX. Nel 1914, su richiesta del generale Ulrich Wille (1848-1925), Reynold crea e dirige, con il grado di maggiore, l’Ufficio Conferenze dello Stato Maggiore dell’Esercito. Nel 1918 la sua azione si fa internazionale: infatti, svolge in Gran Bretagna una prima missione all’estero; nello stesso anno organizza per la Nuova Società Elvetica il Segretariato degli Svizzeri all’Estero, e l’anno seguente pre¬siede il comitato svizzero Pro Voralberg, che, nel dopoguerra seguente il primo conflitto mondiale (1914-1918) e dopo il crollo dell’Impero Austro-Ungarico, auspica l’unione politica alla Confederazione Elvetica di quella regione storica austriaca, che invece andrà a costituire il più piccolo degli Stati federali della Repubblica d’Austria.
Nel 1922 è nominato rappresentante della Confederazione Elvetica nella Commissione Internazionale della Cooperazione Intellettuale della Società delle Nazioni di cui sarà relatore fino al 1939 e vicepresidente nel 1932. In questa veste, una sorta di «ambasciatore non ufficiale», svolge missioni nel 1923 presso la Santa Sede, in Belgio e in Olanda, nel 1924 in Austria e in Polonia, nel 1927 in Italia, dove viene ricevuto ufficialmente da Benito Mussolini (1883-1945), con il quale aveva avuto relazione epistolare l’anno precedente e che rivedrà, sempre in veste ufficiale, nel 1932, nel 1933, due volte nel 1934, nel 1935 e nel 1937. Nel 1934 visita il Portogallo, dove incontra Antonio de Oliveira Salazar (1889-1970) — l’incontrerà di nuovo l’anno seguente, lo reincontrerà nel 1951 in occasione di un pellegrinaggio a Fatima e avrà con lui corrispondenza fino al 1959 —, scrive un’opera intitolata Portugal , che nel 1936 gli vale il Premio Camões. Nel 1910 partecipa come osservatore al terzo congresso d’Action Française e v’incontra Charles Maurras (1868-1952), che rivede nel 1922 e con il quale ha una corrispondenza, interrotta nel 1927 e ripresa nel 1941. Presidente dal 1924 dell’Union Catholique d’Études Internationales, stringe amicizia — fra altri — anche con Jacques Maritain (1882-1973).
Nel secondo decennio d’insegnamento a Friburgo e nel primo decennio dopo il suo ritiro dall’università, cioè negli anni 1940 e 1950, realizza il suo opus magnum, La formation de l’Europe, sette tomi in otto volumi, in un certo senso anticipati e an¬nun¬ciati nel 1941 da Qu’est-ce que l’Europe?, e conclusi nel 1957 con Le toit chrétien. All’inizio degli anni 1960 dà alle stampe tre volumi di memorie — Mes Mémoires, tomo I, Documents et portraits, rêves et souvenirs, nel 1960; tomo II, Histoire d’une formation et d’une défense, nello stesso 1960; e tomo III, Les cercles concentriques. Jugements et prévisions, nel 1963 —, un’autobiografia ragionata, organizzata secondo lo schema a lui carissimo dei cerchi concentrici — uno schema teorizzato dal filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918) nel 1908, e già utilizzato da Reynold nel 1943 appunto in Cercles concentriques. Études et morceaux sur la Suisse — che parte dalla famiglia e dal cantone per giungere alla Cristianità passando attraverso l’Europa: sono poco meno di millecinquecento pagine in cui problematiche storiche cantonali e confederali e le tematiche e l’atmosfera culturale e storico-politica europee della prima metà del secolo XX sono fatte oggetto di una straordinaria riflessione e trovano un’espressione magnifica.
Nel 1965 presiede alla fondazione di Una Voce Helvetica, la sezione svizzera dell’associazione per la salvaguardia della tradizione liturgica latino-gregoriana.
Nel 1966 partecipa al II° Congrès de Lausanne (Troisième Congrès de l’Office international des oeuvres de formation civique et d’action doctrinale selon le droit naturel et chrétien, 1,2 e 3 aprile 1966 : “Laics dans la cité”) presiedendo la seduta del 2 aprile e tenendo un intervento.
Il conte Gonzague de Reynold de Cressier chiude la sua esi¬stenza terrena a novan¬t’anni, a Friburgo, il 9 aprile 1970, ricordato come membro corrispondente dell’Institut de France, cavaliere d’onore e di fedeltà del Sovrano Militare Ordine di Malta e commendatore della Legion d’Onore.
Nel 1905 aveva sposato Marie-Louise de Reding Biberegg — uscita da un’antica famiglia dell’aristocrazia di Canton Svitto, uno dei primi tre Cantoni della Confederazione Elvetica —, che gli ha dato tre figli e che, nata nel 1885, muore nel 1963.
La «visione del mondo», di «questo mondo» e dell’altro
Reynold è autore non sistematico, il cui campo d’azione si stende dalla poesia alla storia, sia della letteratura che della cultura, senza escludere la politica — e non obbligatoriamente la grande politica —, con particolare attenzione alla politica culturale; cioè è soggetto integralmente impegnato e coinvolto nel proprio operare e nei suoi frutti, sì che l’esposizione del suo pensiero si deve legare in modo inscindibile a quella della sua vita. Perciò, la struttura di Mes Mémoirs e di Cercles concentriques. Études et morceaux sur la Suisse fornisce i parametri per ri¬co¬struire l’orizzonte della riflessione e dell’azione del pensatore elvetico, incentrato sulla casa paterna e sulla terra degli avi, e che si svolge anzitutto nella «piccola patria» e nel Cantone, quindi nel mondo erede della romanità, poi in quello della Confederazione, infine nell’Europa e nella Cristianità come riflesso della presenza geograficamente e storicamente accertata della Chiesa cattolica. Comunque, l’elemento dominante sembra costituito dalla sua opera di storico della cultura, di sociologo della civiltà, che lavora attento da un lato alla «filologia», alla dimensione documentale del dettaglio, dell’erudizione, dall’altro non trascura i grandi quadri, il «ragionare per epoche», e che non dimentica assolutamente né la filosofia della storia, cioè il «riflettere sulla storia», né la Provvidenza, quindi la rilevazione della costante presenza di Dio nella storia, e neppure l’importanza dell’espressione letteraria della ricostruzione dei fatti: da cui l’apprezzamento per lo scrittore bretone François-René de Chateaubriand (1768-1848), il suo «maestro Chateaubriand», e per la sua apologetica storica.
Le aree della sua attenzione e della sua attività — nei suoi diversi aspetti e nella sue diverse manifestazioni — sono dunque identificabili costruendo un reticolo con la Svizzera e l’Europa e con la politica e la religione: scrive di storia politica e culturale, soprattutto letteraria, della Svizzera e dell’Europa, scrive in prosa e in poesia. E alla Svizzera e all’Europa, quindi per la Svizzera e per l’Europa, pensa con trepidazione, attento al modo del loro costituirsi e ai loro drammi, alle loro tragedie, al loro entrare in crisi ed essere messe in questione e alle loro alternative, alla loro sorte, preoccupato della loro conservazione attraverso quella dei tratti identificati grazie alla ricostruzione della loro storia. Al riguardo, sono esemplari le opere L’Europe tragique, del 1934, che echeggia, con poche ma sostanziali modifiche relative ad Adolf Hitler e al movimento nazionalsocialista, nel 1935 in lingua tedesca — ma verrà ritrovata già nel 1934 sulla scrivania del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss (1892-1934), assassinato dai nazionalsocialisti in occasione di un tentato putsch — e nel 1939, ampiamente riveduta, in spagnolo; e D’où vient l’Allemagne?, pubblicata a Parigi nello stesso 1939; quindi La Suisse de toujours et les événements d’aujourd’hui, del 1941, e La Suisse est devant son destin; 1291: Être ou ne pas être; 1941: Être ou ne plus être, dello stesso anno. Ma il suo «nazionalismo» svizzero, il suo elvetismo, gode di un privilegio straordinario che lo fa contrastante con altri nazionalismi, comunque nazionalismo debole, che dice relazione alla nazione spontanea, e non nazionalismo aggressivo ed espansionistico; quindi non è assolutamente omologante, dal momento che l’unità e l’indivisibilità elvetiche sono sostanziate dalla diversità: meglio, sono proprio intese a protezione della diversità. E, oltre la Repubblica e Cantone di Friburgo e la Confederazione Elvetica da una parte e l’Europa dall’altra, trovano spazio preziose Impressions d’Amerique, redatte dopo un viaggio nel corso del quale ha toccato, nel 1948, Argentina, Uruguay e Brasile e ha colto la natura di Nuovo Mediterraneo dell’Oceano Atlantico. Né — è vero piuttosto il contrario, nel senso che godono di un primato immediatamente coglibile — gli sono estranee o indifferenti le difficoltà della Cristianità, cioè della pace, come si evince dalla meta di questa costruzione storica, dalla sua finalità, da lui stesso sintetizzata in una fondamentale affermazione che in qualche modo chiude La formation de L’Europe: «Che cosa ha amato, che cosa ha voluto, cercato l’epoca della cristianità? La pace».
La vita spirituale
Se la cultura cattolica di de Reynold dà ragione della sua opera in tutte le sue articolazioni, la sua vita spirituale ne costituisce la struttura portante, meglio — per usare un’espressione ampiamente ricorrente nei suoi scritti — la «linea di forza» spirituale. E «il culto della Vergine — scrive nelle memorie — fu la prima, la grande linea di forza spirituale che ha attraversato tutta la mia esistenza». Si tratta di una linea di forza situata puntualmente, geograficamente, «elve¬ticamente»: «Se penso alla mia vita religiosa — sono sempre parole sue —, scopro fra essa e il paesaggio una corrispondenza.
«[...] La veduta di Cressier non fu mai per me un panorama per escursionisti; fu sempre un paesaggio che conduce alla porta del Cielo.
«Durante la mia infanzia dedicata alla Vergine ho avuto questo desiderio, di cui la mia maturità ha fatto un voto e la mia vecchiaia fa una preghiera.
«Morire una sera di giugno; morire all’aperto, quando cala la notte, guardando sui ghiacciai scintillare la prima stella.
«Mentre i fanciulli del villaggio cantano attorno a me l’Ave maris stella!».
Autore: Giovanni Cantoni
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