I primi anni
Maria Rita Lopes Pontes de Souza Brito nacque a Salvador de Bahia, in Brasile, il 26 maggio 1914. Era la secondogenita di Augusto Lopes Pontes, dentista e professore di Protesi Dentaria all’università della Bahia, e di Dulce de Souza Brito.
Da bambina era allegra e piena di vitalità: amava giocare con le bambole o con l’aquilone. Era anche un’accanita tifosa della squadra di calcio di Ypiranga, formata da giocatori appartenenti alla classe operaia, o comunque molto poveri. Frequentava la parrocchia di Sant’Antonio Além do Carmo, dove ricevette la Prima Comunione a otto anni, insieme ai fratelli Augusto e Dulce, detta Dulcinha.
La perdita della madre
L’anno prima, però, Mariinha, come la chiamavano in famiglia, rimase orfana di madre: la donna, infatti, era morta nel dare alla luce l’ultima nata, Regina, la quale visse pochi giorni, fino ai primi di agosto del 1921.
Il dottor Augusto si risposò: Alice, la seconda moglie, gli diede una figlia, Terezinha, ma fu molto affettuosa anche con gli altri bambini. L’educazione dei bambini fu affidata anche a due zie, Maddalena e Georginha.
L’educazione alla carità
Quando ebbe tredici anni, Mariinha cominciò a partecipare con la zia Maddalena alle riunioni dell’Apostolato della Preghiera presso la chiesa di Sant’Antonio. Alla Messa e alla riunione vera e propria seguiva la visita ai malati dei quartieri poveri. La prima reazione della ragazza fu di disgusto, ma il giorno successivo alla sua prima partecipazione si dichiarò pronta a seguire la zia.
Non solo: trasformò il sottoscala di casa in un deposito e lo scantinato in una sorta di centro d’accoglienza, dove, aiutata dalla sorella Dulcinha, lavava, rivestiva e rifocillava quanti bussavano alla loro porta. Suo padre non era del tutto contrario, ma avrebbe preferito che le figlie facessero come lui, che prestava cure odontoiatriche gratuite a domicilio.
La vocazione
Sempre insieme alla zia Maddalena, Maria Rita frequentava le Suore Francescane del Sacro Cuore di Gesù. Quando aveva circa quindici anni, le confidò quel proposito, accolto prontamente dalla superiora. Quest’ultima, però, lo rivelò a suo padre durante una visita dentistica.
Il dottor Augusto si oppose, obbligandola ad attendere altri due anni, anche per verificare con più attenzione se quella fosse vera vocazione. Passato quel periodo, la ragazza fece domanda scritta per essere ammessa, ma Gerardo, un altro dei fratelli, la scoprì.
A quel punto, venne iscritta alla Scuola Normale di Bahia, perché si diplomasse come maestra. Tuttavia, non accantonò quella scelta, alimentandola con la preghiera e la partecipazione quotidiana alla prima Messa della giornata.
Spesso, poi, pregava davanti alla statua di sant’Antonio di Padova, appartenuta al nonno Manoel. Un giorno le sembrò che il santo avesse risposto affermativamente alla sua domanda se davvero dovesse farsi religiosa. Il 20 agosto 1932 ricevette la Cresima, di nuovo con Augusto e Dulcinha, nella cappella privata di monsignor Augusto Álvaro da Silva, vescovo di Salvador de Bahia.
Tra le Suore Missionarie dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio
Una mattina, mentre aspettava che iniziasse la Messa nella chiesa della Madonna dell’Esilio (Nossa Senhora do Desterro, un titolo collegato all’episodio della fuga in Egitto), vide entrare una suora vestita di bianco e celeste. In quello stesso istante decise che sarebbe entrata nella congregazione cui quella religiosa apparteneva.
Terminata la Messa, si presentò a lei, che si chiamava madre Rosa. Conobbe quindi la congregazione delle Suore Missionarie dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio, fondata nel 1910 a Santarém per l’educazione della gioventù. I fondatori, monsignor Amando Bahlmann, religioso dei Frati Minori, e madre Maria Immacolata di Gesù, al secolo Elisabeth Tombrock, erano ancora viventi (la fondatrice però era gravemente malata e viveva negli Stati Uniti d’America).
Il 9 febbraio 1933, dopo aver conseguito il diploma, Maria Rita lasciò la casa paterna e si diresse a São Cristóvão, per iniziare il postulandato. Il 13 agosto 1933 fece la vestizione religiosa: le fu cambiato nome in suor Dulce, lo stesso di sua madre e di sua sorella.
L’anno dopo, il 15 agosto 1934, emise la professione temporanea e ricevette la prima destinazione. Contrariamente all’uso, venne inviata nel suo stesso Stato d’origine, al Sanatorio Spagnolo di Salvador de Bahia.
Maestra, ma con lo sguardo ai poveri
Suor Dulce cominciò subito il suo lavoro, frequentando anche un corso d’Infermieristica. Dopo appena sei mesi, nel febbraio 1935, fu trasferita al Collegio Santa Bernadetta, che la sua congregazione si era presa in carico: servivano, infatti, suore diplomate.
Divenne insegnante di Storia Generale e Storia del Brasile alle medie, ma anche maestra elementare. Tuttavia, i suoi allievi si accorsero presto che, durante le lezioni, suor Dulce guardava fuori dalla finestra, verso la favela di Massaranduba. Suor Fausta, la sua superiora, ne parlò a madre Rosa, la superiora provinciale, la quale le permise di poter cominciare un corso serale per gli operai.
Tra gli operai e i malati
Il suo apostolato divenne ancora più effettivo quando cominciò a tenere lezioni di catechismo agli operai, durante la pausa pranzo. Iniziò ad avere qualche rimprovero, anche dal suo vescovo, ma sentiva di non dover temere nulla.
Un altro luogo dove suor Dulce esercitò la sua carità fu la favela di Alagados, costruita su palafitte. Solo un attacco di appendicite, nell’agosto 1936, la fermò per qualche mese. Già nell’ottobre successivo cominciò a essere aiutata, oltre che da alcune consorelle e dalle ragazze del Collegio, da un medico volontario.
Non ci volle molto perché capisse che gran parte delle malattie degli abitanti era dovuta alla denutrizione e, in ultima analisi, alla disoccupazione. A fatica riuscì a sistemarne qualcuno con un posto di lavoro, ma comprese che mancava anche la più semplice forma di sindacalismo.
L’Unione Operaia San Francesco
Sostenuta da padre Hildebrando Kruthaup, frate minore e suo direttore spirituale, suor Dulce avviò l’Unione Operaia San Francesco, che fu ufficialmente varato il 31 ottobre 1936: era il primo movimento operaio cristiano di Salvador. Lei si dedicava direttamente alle persone, mentre il frate seguiva la possibilità di agganciare quella realtà ai Circoli Operai cattolici che andavano sorgendo. Così, il 12 gennaio 1937, cambiò denominazione in Circolo Operaio della Bahia.
Il 15 agosto dello stesso anno, suor Dulce, con le consorelle suor Nazareth e suor Terezinha, emise la professione perpetua. Nel maggio 1939 inaugurò il Collegio Sant’Antonio, scuola pubblica per operai e figli di operai. L’8 gennaio 1941 si diplomò in Farmacia, così da essere ancora più specializzata e competente nelle visite ai malati.
In cerca di una casa per i poveri
Una sera, mentre chiudeva l’ambulatorio, suor Dulce si trovò davanti un ragazzino di dodici anni, molto denutrito, scosso dai brividi per la febbre. Al sentirlo supplicare di non lasciarlo morire per strada, cominciò a pensare dove collocarlo. Alla fine decise che l’avrebbe sistemato in una delle case disabitate dell’Isola dei Topi (Ilha dos Ratos), un quartiere molto degradato. Occupò in tutto cinque case, perché alcuni malati che raccolse successivamente erano infettivi.
Il proprietario delle abitazioni protestò e fece cacciare via gli occupanti. A quel punto, suor Dulce ebbe una nuova idea: sistemò i poveri sotto gli archi del santuario del Bonfim. I Padri Redentoristi del luogo accettarono la situazione, ma non il prefetto di Salvador de Bahia, che impose lo sgombero.
I poveri di suor Dulce traslocarono quindi in una nuova area abbandonata, che un tempo ospitava il mercato del pesce. Anche lì, però, il prefetto intervenne. Intanto fu comprato il terreno per costruire la nuova sede del Circolo Operaio.
Da pollaio a ricovero
Proprio lì nei pressi c’era una zona adibita a pollaio, che suor Dulce trovò perfetta. Ottenuto l’assenso della superiora, chiese a suo padre di rivolgersi al prefetto e di pazientare ancora tre giorni per lo sgombero. Riuscì a ricavare due ambienti distinti per uomini e donne, a cui aggiunse un’altra sezione per i ragazzi di strada. In tutto poté ricoverare settanta persone.
Il 16 luglio 1948 venne creata una nuova comunità delle Suore Missionarie dell’Immacolata Madre di Dio, presso il convento di Sant’Antonio, di cui suor Dulce fu nominata superiora. Il 28 novembre, qualche mese dopo, fu inaugurato almeno in parte il nuovo complesso della Beneficenza Operaia della Bahia, che comprendeva anche il Cinema Roma, a cui si aggiunsero altre due sale cinematografiche.
Le Opere Sociali Suor Dulce
Suor Dulce, intanto, non smise di andare a cercare i bambini abbandonati, i malati respinti da tutti, gli anziani rimasti soli. Per loro cercava sempre di trovare un posto in quello che era ormai diventato l’Albergo Sant’Antonio.
Il 20 maggio 1959, l’Assemblea Generale Ordinaria del Circolo Operaio decretò la nascita delle Opere Sociali Suor Dulce (Obras Sociais Irmã Dulce, in sigla OSID), la cui proprietà rimaneva delle Suore Missionarie dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. La diretta interessata suggerì di non intitolare la nuova fondazione a suo nome, ma il suo volere fu respinto a larga maggioranza.
Alla nuova sede dell’Albergo Sant’Antonio, inaugurata il 5 febbraio 1960, si aggiunse il Centro di Recupero dei Minori Abbandonati, a una ventina di chilometri da Salvador de Bahia. Così si realizzava un’altra aspirazione di suor Dulce, ovvero l’aiuto ai ragazzi e ai bambini che vivevano per strada.
Un periodo di esclaustrazione
Con l’elezione di madre Emilia Rosa da Seixas Barros come superiora provinciale, nel 1964, cominciò un periodo particolarmente duro per suor Dulce. Madre Emilia, infatti, richiamò lei e le consorelle di Sant’Antonio a una completa osservanza della Regola, specie per la preghiera e gli atti comuni, che però confliggeva col loro totale lavoro per i poveri. In caso contrario, avrebbero dovuto lasciare la congregazione.
Suor Dulce, dopo essersi consigliata con padre Hildebrando e con altri sacerdoti, pensò di dover restare dov’era. La provinciale le suggerì, a quel punto, di chiedere l’esclaustrazione, ma era praticamente un obbligo. Il nuovo amministratore apostolico della diocesi di Salvador de Bahia, monsignor Eugénio Araujo Sales, aveva promesso di occuparsi del caso appena tornato da Roma per il Concilio Vaticano II. Tuttavia, quando arrivò, trovò sulla scrivania la richiesta che madre Emilia aveva già fatto pervenire a suor Dulce, che non poté fare altro che firmare.
Le altre suore lasciarono la comunità di Sant’Antonio, dove rimasero solo due volontarie laiche a fare vita comune con suor Dulce. Dal canto suo, lei non smise mai l’abito religioso che aveva indossato trent’anni prima, né accettò di passare a un’altra congregazione, e neppure di fondarne una nuova. Di anno in anno, fino a dieci anni, le fu rinnovata l’esclaustrazione.
La reintegrazione
Le autorità ecclesiastiche e civili, insieme ai collaboratori del Direttivo, le fecero pressione perché scrivesse una Dichiarazione d’intenti, depositata il 1° ottobre 1974. In essa dichiarava di lasciare le Opere Sociali in mano a una Commissione che si sarebbe occupata di avviare la trasformazione in Fondazione.
A quel punto, suor Dulce pensò di non chiedere più la proroga per l’esclaustrazione. La nuova provinciale e il suo Consiglio scrissero quindi al Papa san Paolo VI, mentre la superiora generale e le consorelle che l’affiancavano compirono i passi necessari presso la Congregazione dei Religiosi presso la Santa Sede.
Alla fine del 1975 suor Dulce ebbe la comunicazione ufficiale della sua reintegrazione, anche se, come commentò alla superiora provinciale, sentiva di non essersene mai andata.
Lo stile di suor Dulce
Oltre le sue molteplici realizzazioni, suor Dulce viveva di fede nella Provvidenza di Dio. Sapeva catturare l’interesse dei benefattori con modi gentili, facendosi amici anche tra le massime autorità del Brasile. Per ottenere quanto serviva ai suoi poveri, pregava e faceva pregare, chiedendo l’intercessione di sant’Antonio di Padova: immancabilmente, che fossero aiuti in denaro o alimentari, arrivava tutto.
Non mancarono le critiche al suo operato. Quasi in risposta, lasciò scritto: «Molta gente crede che non si deve dare ai poveri la stessa attenzione che si dà alle altre persone. Per me il povero, l’ammalato, colui che soffre, l’abbandonato è l’immagine di Cristo [...] Se guardiamo il povero con questi occhi, intanto il suo aspetto esterno, l’essere sudicio, pieno di parassiti, con grandi piaghe, non ci darà fastidio, perché nella sua persona vi è il Cristo sofferente».
Gli ultimi anni
Nel 1979 incontrò madre Teresa di Calcutta, la fondatrice delle Missionarie e dei Missionari della Carità, con la quale aveva molti elementi in comune. Uno di questi, anche se non il principale, fu la candidatura al Premio Nobel per la Pace; a differenza di quanto avvenne a madre Teresa, non le fu conferito.
Nel 1981 fu costituita la Fondazione delle Opere Sociali Suor Dulce. In occasione del primo viaggio apostolico di papa Giovanni Paolo II in Brasile, l’anno prima, la religiosa era stata ricevuta da lui in udienza privata.
L’8 febbraio 1983, invece, l’Albergo Sant’Antonio divenne un ospedale vero e proprio. Lo stesso giorno fu celebrato, in anticipo, il cinquantesimo anniversario della professione religiosa di suor Dulce. La sua salute, minata da frequenti digiuni, era da tempo compromesso: aveva solo il trenta per cento di possibilità respiratoria.
La morte
Si aggravò nel 1990, tanto che Giovanni Paolo II, nel suo secondo viaggio in Brasile, venne personalmente a trovarla in ospedale, il 20 ottobre 1991. Suor Dulce fu poi riportata al convento di Sant’Antonio, dove morì venerdì 13 marzo 1992, alle 16.45.
Tutto il Brasile fu in lutto per lei, tanto che vennero sospesi il Carnevale e il campionato di calcio. Il suo corpo fu portato nella basilica di Nostra Signora della Concezione a Salvador de Bahia, dove per due giorni ci furono continue visite da parte dei fedeli. I solenni funerali si svolsero nella stessa basilica, alle 17 del 15 marzo, trasmessi in diretta televisiva e alla presenza delle massime autorità della Chiesa e dello Stato brasiliani.
La salma di suor Dulce non venne sepolta nel cimitero dei poveri di Quintas dos Làzaros, come lei aveva desiderato. Per disposizione delle autorità e col consenso dei suoi familiari, la sua tomba venne invece predisposta nella cappella del Santo Cristo della basilica della Concezione, precisamente ai piedi dell’altare.
La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
Suor Dulce aveva sempre goduto di fama di santità: i giornali e la gente comune parlavano di lei già in vita definendola «l’angelo buono della Bahia». In base a questo sentimento comune e alle numerose attestazioni di segni a lei attribuiti, la diocesi di Salvador de Bahia avviò i primi passi per la sua causa di beatificazione e canonizzazione.
Il nulla osta dalla Santa Sede porta la data del 19 ottobre 1999. L’inchiesta diocesana si è svolta a Salvador de Bahia dal 17 gennaio 2000 al 1° giugno 2001, ottenendo la convalida giuridica il 7 novembre 2001. I suoi resti mortali, intanto, erano stati traslati nella cappella del convento di Sant’Antonio, all’interno della sede delle Opere Sociali.
La “Positio super virtutibus”, consegnata nel 2003, è stata esaminata dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi il 15 aprile 2008 e, il 20 gennaio 2009, dai cardinali e dai vescovi della medesima Congregazione.
Il 3 aprile 2009, ricevendo in udienza monsignor Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui suor Dulce veniva dichiarata Venerabile.
Il miracolo per la beatificazione
Tra le migliaia di grazie attribuite alla sua intercessione è stata considerata, per ottenere la sua beatificazione, quella avvenuta a Cláudia Cristiane Santos, a Itabaiana nel Sergipe. Nel 2001, dopo aver partorito il secondo figlio, Gabriel, ebbe una grave emorragia, che non si fermò nemmeno dopo tre successivi interventi chirurgici.
Quando ormai i medici avevano ammesso di non poter più fare nulla, i familiari della donna chiamarono un sacerdote amico, padre José Almí de Menezes, perché le amministrasse l’Unzione degli Infermi. Il sacerdote, invece, pensò di avviare una catena di preghiera e donò alla donna una piccola reliquia di suor Dulce. L’emorragia si fermò subito.
Il riconoscimento del miracolo e la beatificazione
L’inchiesta diocesana sul presunto miracolo si svolse dal 2 gennaio al 18 gennaio 2003 e ottenne la convalida il 30 maggio 2003. La Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi, il 7 maggio 2009, si pronunciò circa l’impossibilità di spiegare, con le conoscenze scientifiche del tempo, l’asserita guarigione. Il 5 dicembre dello stesso anno, i Consultori teologi si sono pronunciati circa il legame tra l’accaduto e l’intercessione di suor Dulce. Il 26 ottobre 2010, anche i cardinali e i vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi hanno emesso il proprio parere positivo.
Il 10 dicembre 2010, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Cláudia Cristiane Santos era riconosciuta come miracolo ottenuto per intercessione di suor Dulce.
La sua beatificazione si è svolta il 22 maggio 2011 presso la sede delle Opere Sociali Suor Dulce a Salvador de Bahia, col rito presieduto dal cardinal Geraldo Majella Agnelo, arcivescovo di Salvador de Bahia, come inviato del Santo Padre. La sua memoria liturgica fu fissata al 13 agosto, giorno anniversario della sua vestizione religiosa.
I suoi resti mortali, sottoposti a ricognizione canonica, dal 9 giugno 2010 sono venerati nella cappella delle reliquie della chiesa dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio a Salvador de Bahia, sorta sull’area dell’ex cinema Roma, comunemente nota come Santuario della Beata Dulce dei Poveri.
Il miracolo per la canonizzazione
Anche dopo la beatificazione hanno continuato ad arrivare alle Opere Sociali attestazioni di grazie singolari attribuite all’intercessione di suor Dulce. Per ottenere la canonizzazione è stata selezionata quella avvenuta nel 2013 a un maestro di Salvador de Bahia, José Mauricio Bragança Moreira, colpito da glaucoma a entrambi gli occhi da quattordici anni.
In seguito a una grave congiuntivite, si mise sugli occhi un santino della Beata Dulce, che aveva incontrato tre volte quand’era ancora viva, per chiedere di essere almeno sollevato dal dolore. Alcune ore dopo, sua moglie gli tolse le garze con acqua calda che gli aveva posato sugli occhi: José Mauricio vide con chiarezza le sue mani. Dopo tre settimane, la sua vista era decisamente migliorata: il medico a cui si rivolse lo dichiarò del tutto guarito.
Il 13 maggio 2019, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione di José Mauricio Bragança Moreira veniva riconosciuta come miracolo ottenuto per intercessione di suor Dulce. Lo stesso Pontefice l’ha canonizzata il 13 ottobre 2019, in piazza San Pietro a Roma, insieme ad altri quattro Beati.
Le Opere Sociali di Suor Dulce oggi
L’eredità di santa Dulce vive oggi nelle Opere Sociali da lei istituite, che hanno come motto «Amare e servire». Assistono oltre duemila persone al giorno solo per le visite ambulatoriali. Sono disponibili novecentocinquantaquattro posti letto in venti dei ventuno nuclei operativi. L’Ospedale Sant’Antonio è uno dei più rinomati in Brasile per quanto riguarda le cure oncologiche.
L’accoglienza di malati poveri, persone che vivono in strada e alcolisti è ancora attiva. Anche l’opera educativa per i ragazzi di strada prosegue, nel Centro Educativo Sant’Antonio a Simões Filho, dove studiano settecentocinquanta ragazzi e giovani.
Autore: Emilia Flocchini
|