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Olivier Clément Teologo ortodosso

Festa: Testimoni

17 novembre 1921 – Parigi, 15 gennaio 2009


«Perdona e benedici tutti noi, i ladroni e i Samaritani, quelli che cadono per strada e i sacerdoti che passano senza fermarsi. Sono tutti il nostro prossimo: i carnefici e le vittime, quelli che maledicono e quelli che vengono maledetti, quelli che si ribellano contro di Te e quelli che si prostrano davanti al tuo amore».
È una preghiera russa di amore e tolleranza, ed è la preghiera che più di frequente viene citata da Olivier Clément nei suoi discorsi e nei suoi scritti.
Nel suo itinerario spirituale e teologico quello che maggiormente balza agli occhi è l’impegno costante alla ricerca della verità.
Cresciuto in un contesto di ateismo, il socialismo anti-religioso della Francia tra le due guerre, il teologo ortodosso francese inizia ad elaborare molto presto un suo percorso al di là dei condizionamenti familiari, delle influenze dei tempi, culturali e intellettuali.
Per molto tempo Dio rimane assente nella sua crescita. La sua famiglia è atea, o peggio ancora, come lui la definirà dopo la conversione, «indifferente» nei riguardi della fede.
Da adolescente approfondisce lo studio delle teorie dell’ateismo attraverso la trilogia moderna di Marx, Freud, Nietzsche, aderendo anche a movimenti politici di ispirazione socialista, pur non essendo ancora, la sua, vera e propria militanza politica.

Dalla politica alla ricerca religiosa


Dopo gli studi superiori diventa allievo di Alphonse Dupront, docente di Storia moderna all’Università di Montpellier. Con lui Clément riscopre i fondamenti religiosi della storia umana poiché gli viene insegnato che «la storia non è altro che religione o rifiuto della religione, nel senso più ampio del termine, come legame degli uomini tra di loro e con l’Essere»: era dunque possibile pensare il reale al di là della sola materia e della sola razionalità. D’altra parte Clément aveva preso le distanze dalle teorie razionaliste molto presto e proprio per questo non ci sarà mai una sua adesione al marxismo. Il razionalismo marxista lo lasciava perplesso: lo considerava come un pretesto, un modo per rispondere alla mancanza di senso del mondo che però faceva eludere i problemi e soprattutto le possibili soluzioni. Il marxismo non colmava il vuoto della modernità. Abbandonandolo, Clément ha rinunciato all’ultima possibilità che l’ateismo gli avrebbe potuto offrire e contemporaneamente ha esaurito la capacità da parte delle ideologie moderne di dargli delle risposte.
Il distacco di Clément nei confronti del razionalismo va di pari passo con la sua evoluzione in seno alla Resistenza durante la seconda guerra mondiale. Come molti studenti dell’Università di Montpellier, aderisce all’organizzazione che faceva capo a Dupront stesso, per conto della quale partecipa a diverse azioni. Questo finché non decide di cambiare forma di resistenza, guidato dall’intuizione che non tutto è permesso in politica, anche in tempo di guerra. Esiste un fondamento dell’essere che è più importante delle motivazioni dell’azione. L’azione, a un certo livello di violenza, si sostituisce all’uomo: non è più l’uomo che porta avanti la battaglia, ma è la battaglia che dirige i passi dell’uomo. La violenza alimenta l’azione e si trasforma in ebbrezza di potere, dimenticando le giustificazioni e le motivazioni. Clément cambia perciò la sua opzione di resistenza, entrando a far parte di una tipologia di resistenti che inquadravano l’azione in una lunga prospettiva di cultura e di riedificazione.
Colti i limiti della militanza politica è, come tanti intellettuali in quel periodo, alla ricerca di risposte. Si pone e cerca di affrontare con impegno profondo e riflessione le grandi domande che interessano l’uomo da sempre: il senso della vita, la morte, l’inizio delle cose, Dio. È un cercatore di assoluto Clément, e nel corso dei suoi anni di ricerca si scontra ogni volta con il disegno intelligibile della creazione e con il suo risvolto oscuro, intriso di bellezza e di morte. Il pensiero del nulla dopo la morte gli è inaccettabile. Gli provoca angoscia, non riesce a comprenderlo.
Come dare un senso alla fine degli esseri e dei loro volti preservandone il valore? Clément si è dato una regola di fronte a questa domanda: non fuggire ma affrontare il mistero. «Colui che accetta come ovvio il mondo suggellato dalla morte cessa di un essere un uomo». Ha dunque la forza di rifiutare il mondo ereditato perché lo considera senza fondamenta e capisce che le radici dell’umanità si trovano altrove.
La riflessione profonda sul senso della vita e della morte è uno degli elementi che aiuta la sua evoluzione interiore verso la conversione, che sarà dunque qualcosa di meditato, studiato, scelto con consapevolezza.
Tutto il percorso di Clément è la decifrazione dei segni dei tempi, nel tentativo di interpretare la storia. Il suo graduale ritorno al passato degli uomini e allo spessore religioso della loro storia è stato per lui una specie di propedeutica alla fede e un antidoto contro i nichilismi moderni. Egli si è sistematicamente riappropriato di un passato religioso, scoprendo la risurrezione di Cristo come attestazione profetica che la vita è più forte della morte e che la morte non è «normale», né definitiva.
È così che trova una sua via alla fede, ma la conversione è lenta, guidata sempre da una profonda e testarda volontà di ricerca della verità.
Nel suo lungo cammino di riflessione si avvicina a vari mondi spirituali. Esplora le grandi mitologie e l’architettura sacra dell’Islam e del Cristianesimo, analizzandone origini ed esperienze di comunione.

L’umano-divino

In particolare il cristianesimo lo scopre grazie alla diaspora russa. A partire dagli anni ’20, infatti, tutta una generazione di intellettuali russi aveva abbandonato la Russia leninista o ne era stata cacciata. Questa diaspora è stata una formidabile corrente di incontri particolarmente fecondi nel periodo tra le due guerre, che ha dato vita ad un confronto tra cristianesimo d’Occidente e d’Oriente. Clément sente che la sua personale visione è vicina a quella degli scrittori e dei pensatori russi, in particolare a quella del Dostoevskij dei «Fratelli Karamazov». Il Cristo di Dostoevskij è colui che fonda la persona, rifiutando di imporsi attraverso il miracolo e l’autorità.
«In Cristo, Dio si rivela all’uomo. Nello spirito, l’uomo deve rivelarsi a Dio. In uno scambio prodigioso di vite: il volto di Dio nell’uomo e il volto dell’uomo in Dio». Questa unione del divino e dell’umano nel movimento trinitario, la divino-umanità, è l’apporto più determinante della tradizione russa: essa afferma che la visione dell’uomo e la visione di Dio sono un tutt’uno e che la visione di Dio è la vita dell’uomo. La divino-umanità consente di risolvere ogni dicotomia. A immagine della Trinità gli uomini sono chiamati a essere persone in comunione. Facendo propria questa lettura della realtà, Clément chiede di essere battezzato nella Chiesa ortodossa, diventando inoltre uno dei maggiori studiosi e propugnatori dei legami e del dialogo tra Oriente e Occidente.
«Prima e dopo il battesimo ho studiato i grandi teologi, filosofi e uomini di spiritualità tanto cattolici quanto protestanti senza preoccuparmi della singola appartenenza confessionale.(…) Ho sempre pensato che le diverse Chiese costituiscano altrettante espressioni del cristianesimo. Non sono un ortodosso che ha scoperto l’esistenza di altri cristiani, ma un ateo che ha scoperto il cristianesimo ed è entrato nella Chiesa ortodossa per essere cristiano, non contro gli altri ma con gli altri». Poiché Oriente e Occidente sono i due polmoni della Chiesa, la loro unione presiede tutti gli altri dialoghi del Cristianesimo con il mondo: i dialoghi con gli Ebrei e l’Islam, con l’area asiatica e la modernità.
Nel corso degli anni ‘40 si dedica allo studio delle varie tradizioni religiose, delle spiritualità dell’India e dell’Estremo Oriente. L’Islam era per Clément l’affermazione della fede e l’attestazione di Dio, ma tale affermazione la trova anche nella Bibbia: Dio al di sopra di tutto.
Il suo più importante insegnamento, oggi quanto mai di attualità, riguarda proprio il dialogo interreligioso e la tolleranza. Non perde infatti occasione per sottolineare l’unità degli uomini nella diversità, come nel dogma trinitario. La Trinità è la manifestazione della diversità nell’unità: al suo interno l’unità non è abolizione della diversità. «Tutti gli uomini sono la stessa Trinità. (…) Tutti gli uomini, attraverso il tempo e lo spazio, costituiscono un solo uomo nel senso più realistico del termine; tutti sono un solo corpo, ‘membri gli uni degli altri’. Tutti sono responsabili di tutto. La salvezza non è individuale ma in comunione».
Nella sua visione la Chiesa non è solo un’istituzione ma la terra stessa dell’incontro tra l’uomo e Dio, per cui: «L’unità della Chiesa è la chiave dell’unità degli uomini».
Clément ha partecipato in maniera attiva al dialogo interreligioso e ne ha tratto osservazioni ben precise sulla sua adeguatezza. Gli anni ‘80 hanno segnato l’arrivo delle Identità. Esistono forti rischi di attrito che pesano su contenziosi prima storici e poi politici. Questo tempo di ripiegamento sembra tuttavia essere un passaggio necessario: la prima esigenza del dialogo è di essere se stessi poiché «non c’è rispetto dell’altro senza chiarezza di sé». Occorre conoscere la propria tradizione, riconoscere nel modo in cui l’altro si riconosce, non rinunciare alla testimonianza di vita e di preghiera condivisa. Cercare eventuali punti di unione, pur conservando la lucidità sulle differenze, dal momento che queste ultime appartengono a Dio. L’affermazione dell’identità è fonte di tensione ma anche di riconoscimento. Ma occorre andare oltre le semplici convergenze: i cristiani devono capire l’Islam e accettare che esso abbia un ruolo nella storia della salvezza. Nel dialogo deve essere ricercato il fondamento di un’etica comune partendo dalla consapevolezza che Dio è condiviso da tutti.
Riguardo gli ultimi avvenimenti di politica internazionale afferma: «Si attendeva da anni il ritorno della guerra, sotto una forma o un’altra. Ma l’Islam non può essere ridotto a questi atti di distruzione, se non per coloro che inquadrano la loro analisi nell’ottica di un imminente scontro tra civiltà. Il che non farebbe altro che accentuare i drammi». E ancora: «La fecondità del terzo millennio nascerà dall’incontro dell’Occidente cristiano con l’Asia».
Cristianesimo scevro da ogni ideologia dunque, civiltà che non esclude il dubbio e non vuole imporre un ideale unificatore. «Bisogna interpretare la parola religione non come religione dominante su questo o quel territorio, ma come un’apertura verso il mistero. Bisogna rispondere alle domande dell’uomo di oggi (…), approfondire la storia senza fuggire da ciò che è religioso, mostrando ai bambini e ai giovani in particolare, che rischiano oggi più che mai di diventare degli «immemori», che il senso del religioso non è qualcosa di assurdo, superato, bensì qualcosa che essi stessi possono provare di fronte alla morte, per tradurre la bellezza e vivere d’amore».
Quanto al ruolo dei cattolici nel nuovo millennio, Clément non risparmia critiche e preoccupazioni rispetto al modo di concepire e praticare il cristianesimo. Un’osservazione lucida e attenta del momento attuale lo porta ad affermare che il cristianesimo ha fallito su diversi punti. Le cristianità hanno manifestato la tendenza a diventare a loro volta società sacrali, chiuse. Il Dio vivente è diventato un Dio indifferente e lontano. A questo punto l’uomo si è ribellato contro di lui. Si è creata una civiltà, quella moderna, che non ha altro orizzonte all’infuori del nulla. «Anche se si cerca di ignorare e reprimere la morte, l’angoscia segreta ad essa legata corrode tutto, e confluisce in ciò che rimane delle ideologie totalitarie, con la frenesia di torturare, di distruggere e di sentirsi padrone quasi divino della sofferenza e della vita degli altri per dimenticare almeno per un istante, la propria morte».

Volto dell’uomo, volto di Dio

Il distacco, la contemplazione e l’ascesi non sono più percorsi verso Dio, verso l’Altro, ma verso se stessi, in un percorso di vita connotato dalla disperazione, dalla solitudine, dal nulla. È questo l’ateismo mistico, una forma di ateismo legata alla modernità, ad un tipo di religiosità settaria e derivante da una cattiva teologia che disincarna Cristo facendone soltanto un mito.
In Occidente l’antinomia tra il Dio onnipotente e la libertà dell’uomo non è per nulla risolta, è tuttora presente. La salvezza si è trasformata in un problema individuale, così come il rapporto con Dio. Le esigenze di comunione, di vita nella Chiesa e di condivisione con i fratelli non hanno più una base teologica, ma sono ridotte a prescrizioni morali o a mezzi per la propria salvezza personale.
Il volto dell’uomo è stato raramente così offuscato come nel nostro tempo. Ne è diretta testimonianza la sua quasi totale scomparsa dall’arte pittorica, ma anche dalla scrittura. Occorre fondare un nuovo umanesimo. Per Clément questa perdita del volto dell’uomo è essenzialmente legata alla perdita del volto di Dio. Clément è passato attraverso gli anni del silenzio su Dio, tuttora in atto: «una specie di sonno che può essere molto agitato e che le tecniche dei media, nei momenti di riposo, colmano di sogni prefabbricati». Per rifondare l’umanesimo, occorre dunque cambiare il volto di Dio che l’umanità si è creato. L’Occidente ne ha veicolato a lungo un’immagine terrificante: il male veniva considerato la giusta punizione dei peccati in una sorta di «pedagogia della paura» che faceva pensare all’«inferno creato da Dio in terra». Ciò ha determinato una profonda ondata di ateismo: il mondo è malvagio e allora Dio è impotente, oppure terribile.
«Restituire all’uomo il suo volto passa attraverso una rappresentazione diversa di Dio».
Occorre sostenere che Dio è innocente, che non vuole la morte e che non ha in alcun modo l’idea del male. Nell’atto creatore stesso, Dio si ritira e si eclissa, «per lasciare all’angelo e all’uomo lo spazio della loro libertà». Dio si ritira per fare posto all’uomo, perché il bene non può sopprimere le tenebre dal di fuori. Dio raggiunge l’uomo nelle sue tenebre.
Clément in ciò si aspetta dai cristiani una collaborazione in linea con il Vangelo: «Non si riuscirà a superare la modernità che dal di dentro: non attraverso un Dio confinato nella sacralità, ma attraverso il Dio venuto nel cuore stesso delle nostre tenebre. (…) Non si arriverà a superare la modernità se non attraverso il Dio che non nasce su un altare, ma in una mangiatoia».
Ma la sua visione, lungi dal cadere nel disfattismo, è piena di ottimismo e di speranza.
I cristiani possono orientare la nostra società, collaborare alla costruzione di un’etica, richiamare il senso delle cose, rispondere al nichilismo sostenendo che il male non sfocia nel nulla ma nell’amore, riscoprendo così la grande visione della risurrezione.
«I cristiani devono testimoniare una spiritualità profetica e creatrice, capace di illuminare la storia». Il Dio della denuncia, della condanna deve lasciare il posto a «un Dio che è una sorta di pienezza d’amore e di pace, e non cessa di darci la potenza della resurrezione, della vita… Per un lungo periodo l’accento era stato posto sul divino, anche a costo di schiacciare l’umano e la libertà. Poi l’umano ha minacciato di schiacciare il divino. Ora andiamo verso l’incontro del divino e dell’umano (…). Ciò significa che il fine dell’uomo è Dio e che il fine di Dio, se posso osare dirlo, è l’uomo. Proprio in questo divino-umanesimo si trova una delle chiavi del nuovo millennio».
La sua visione è sempre supportata da analisi storiche. Per Clément, infatti, la storia è interiore alle persone e si colloca nel cuore dell’uomo. Sono i veri creativi, i santi e i bambini a fare la storia. Quella di cui parla è una contro-storia, che è realizzata da uomini e donne che «incessantemente ricompongono e rattoppano il tessuto dell’essere contro le forze del nulla». Si tratta di quei giusti che mantengono segretamente in piedi il mondo, realizzando quella santità del quotidiano insieme umile, aperta, creatrice. «Non si tratta di negare l’attuale, ma solo di delineare la trasformazione dell’angoscia in speranza e di sovrapporre, in definitiva, alla storia di Erode e Pilato e a quella del massacro degli innocenti, l’umile e tenace contro-storia delle beatitudini: un mondo alla rovescia e perciò, forse, al posto giusto!». Attraverso questo tipo di umanità è possibile costruire una civiltà dell’amore e della bellezza: questa è l’utopia creatrice che Clément ci propone di riattivare.
Il suo è un prezioso insegnamento di tolleranza: «il destino del cosmo e la sua possibilità di perfezionamento sono legati non soltanto al rapporto degli uomini con la trascendenza, ma ai rapporti degli uomini tra di loro. Il concetto di uomo (nella tradizione cristiana) non è mai solo individuale, ma sempre aperto alla comunione».
E di speranza: «La spiritualità del terzo millennio sarà meno rifiuto e più trasfigurazione, sarà una spiritualità pasquale, di risurrezione».


Autore:
Cristina Mustari


Fonte:
Centro Nazionale Opere Salesiane

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Aggiunto/modificato il 2011-07-11

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