Augusto è il primi di dieci figli, nato a Montecompatri (Roma) il 18 febbraio 1852 da Giuseppe e Annunziata Raffaelli.
A dieci anni fa la sua Prima Comunione, mentre, come si usava allora, appena a sei anni aveva ricevuto il sacramento della Cresima.
A quindici anni e mezzo entra al noviziato dei Padri carmelitani Scalzi in Santa Maria della Scala a Roma, prendendo il nome di fra Antonio di Gesù e l'anno seguente emette la professione semplice con i voti di obbedienza, povertà e castità.
Dopo l'anno regolare di noviziato, passò a Caprarola (VT) per gli studi di filosofia e teologia, anche se, essendo stato confiscato il Convento (1872) dovette, con i suoi compagni, essere alloggiato alla meglio nel soffitto del Palazzo Farnese. Non mancarono fame, stenti e difficoltà. Tra le caratteristiche particolari oltre la sua "condotta lodevole e irreprensibile", spiccava il buonumore.
Diventa sacerdote il 22 maggio 1875, nella cattedrale di Civita Castellana, a ventitre anni.
Dopo una breve permanenza nel Convento di Santa Maria della Vittoria in Roma per terminare gli studi alla Gregoriana, e del tempo passato di nuovo a Caprarola e a Montecompatri, è nominato Priore di Santa Maria della Scala e sei anni dopo, a soli trentanove anni è eletto Provinciale della Provincia Romana dei Carmelitani Scalzi.
Dopo il terzo triennio da Provinciale, intervallato dopo il secondo da tre anni, cominciò a ricevere incarichi nell'ambito della Chiesa universale, prima come Consultore della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari e poi quello di Consultore della Sacra Congregazione dei Riti e membro della commissione per l'approvazione dei nuovi Istituti Religiosi femminili e Visitatore Apostolico di vari seminari e Diocesi.
Ricordiamo gli Istituti che hanno beneficiato del suo aiuto e sostegno: la Congregazione dei Salvatoriani, l'Istituto dei Pallottini, le Figlie della Misericordia e della Croce, le Suore cappuccine dell'Immacolata di Lourdes, l'Istituto delle Oblate del Divino Amore, l'Istituto delle Orsoline di Famiglia e infine l'Istituto delle Suore della Carità di Maria immacolata d'Ivrea.
Nell'aprile 1907 i Carmelitani Scalzi tennero a Roma il Capitolo per l'elezione del nuovo Preposito Generale. Papa Pio X, conoscendo le doti del P. Antonio di Gesù, ed il suo attaccamento alla Santa Sede, espresse ai Padri Capitolari il desiderio che a questa carica venisse eletto lui, che tante prove aveva offerto di capacità e di saggezza. Ma i disegni di Dio, in quel caso, non coincisero con quelli del Papa e P. Antonio non fu eletto Superiore Generale. "Non l'hanno voluto loro - disse Pio X - allora me lo prendo io. E nel pomeriggio di quello stesso giorno, il 20 aprile, scrisse di suo pugno un biglietto con il quale nominava Padre Antonio Vescovo di Caltanissetta.
Corse terrorizzato dal Papa a scongiurarlo di risparmiargli quella grossa croce.- lo ne ho una più grossa della vostra! - gli rispose Pio X. - Ma io - osservò P. Antonio - non ho mai fatto il Vescovo. - - Anch'io - esclamò il S. Padre - non ho mai fatto il Papa. - E aggiunse paternamente - Andate a Caltanissetta e farete tanto bene! -- Santità - fece notare ancora l'umile carmelitano - Voi sapete che, secondo il Codice, i Vescovi devono predicare. Se non sanno predicare, non possono essere Vescovi. lo, Santità, non so predicare, non ho parola facile, perciò non posso essere Vescovo! -- Non sapete predicare? - concluse Pio X - Allora vi ordino di scrivere i vostri discorsi e di leggerli. Perciò potete essere un perfetto Vescovo! -Egli stesso scriverà in una lettera del 10 Maggio del 1907: «Provai molta difficoltà di piegare la testa al primo annunzio della destinazione a Vescovo. Non reputai lecito di insistere ancora nella rinuncia, dal momento che il Vicario di Gesù Cristo mi fece manifesta la sua risoluta volontà, nella quale ravvisai la Volontà di Dio». Alla delegazione di Caltanissetta, recatasi l'indomani della sua Consacrazione a ringraziare il Papa, per aver loro dato Mons. Intreccialagli come Vescovo, S. Pio X rispose: «Non vi ho dato un Vescovo, ma un Santo!» E aggiunse che dovevano ringraziare «Iddio e ricevere il prezioso dono come dal Cielo. E, però, doversi da tutti i fedeli diocesani ritenersi come tale e tutelarlo come cosa di inestimabile valore...»
Nel suo primo messaggio alla sua Diocesi diceva: "Vengo a voi, per vivere della vostra vita, per partecipare alle vostre gioie e ai vostri dolori, per guidarvi nella via della Verità, della Giustizia e della Pace…"
E al clero: «Cammineremo secondo la nostra vocazione, quando saremo tutti intenti a santificare noi stessi e a renderci istruiti ed atti a zelare efficacemente il bene spirituale del prossimo...»C'è in queste parole tutto un programma di vita e di santificazione che il Vescovo vuole realizzare per il bene delle anime.
Il clero rispose generosamente ai suoi inviti e alle sue sollecitazioni. Pur avendo trovato tra i preti dolorose divisioni, egli si adoperò, perché i suoi sacerdoti di- mostrassero ai fedeli «quanto è bello e giocondo che i fratelli stiano uniti» nella carità.«Il mio nome è lntreccialagli - soleva ripetere - ma il mio desiderio ardente è di intrecciare i cuori dei miei Sacerdoti!».
Si dimostrò così un padre provvido, che curava innanzitutto la formazione spirituale e provvedeva alla vita materiale e preveniva i bisogni dei Sacerdoti in necessità.Volle la Lega Pro Clero, perché i fedeli collaborassero con la preghiera, il sacrificio e l'offerta alla santificazione dei Sacerdoti e curò l'Unione Missionaria del Clero.Le sue «attenzioni per le opere cattoliche e per le altre istituzioni diocesane furono grandissime», «curò anche il finanziamento degli orfanotrofi e degli istituti femminili della Diocesi» e «non lasciò mai nulla di intentato, perché l'Azione Cattolica nella sua diocesi si sviluppasse e si consolidasse sempre più...». Si distinse anche per il suo impegno in campo sociale. Curò che le Casse Rurali e le Cooperative «si mantenessero nello spirito nel quale erano sorte: come mezzo cioè di elevazione economica e sociale, ma sempre nello spirito cristiano».Si recava spesso a visitare le solfatare, dove tanti suoi figli, anche assai giovani, lavoravano duramente, per un tozzo di pane. «Andava presso le miniere di Trabonella e Testasecca e in quelle di Trabia Tallarita e aspettava all'imboccatura dei pozzi che i minatori uscissero dal sotto suolo, per dare loro il conforto del suo saluto e della sua solidarietà».«Si intratteneva con essi sulle condizioni delle loro famiglie - ricorda il figlio di uno di loro - e mio padre diceva ancora che ogni volta elargiva l'offerta di almeno 10 lire a ciascuno degli operai più poveri.Si interessò perché sorgessero nelle predette miniere cappelle, per dare la possibilità ai minatori di adempiere il precetto della Messa domenicale...»Dopo il catastrofico terremoto di Messina e Reggio fece accogliere diverse famiglie terremotate nella sua diocesi e da parte sua cercò di aiutarle con tutti i mezzi a sua disposizione.In quegli anni molte famiglie siciliane, data la grande miseria che incombeva sull'isola, furono costrette ad emigrare in America, per cercare lavoro. Anche a molte di esse la sua carità venne incontro, pagando di tasca sua il viaggio per tutta la famiglia.
Papa Pio X non dimenticava il «Suo P. Antonio», quel Carmelitano che nel cuore della Sicilia «faceva rifiorire il deserto».E il 24 Luglio del 1911 scrisse per lui un altro biglietto, con il quale lo nominava Amministratore Apostolico di Monreale, dato che l'Arcivescovo della cittadina normanna mons. Domenico Gaspare Lancia di Brolo, aveva raggiunto la veneranda età di 92 anni e non era più in grado di reggere l'Archidiocesi.Per mons. Intreccialagli ubbidire era come respirare e, davanti al biglietto del Papa, disse ancora una volta di sì.«La sua resistenza fisica - fu scritto di lui - corroborata da una volontà decisa, da una abitudine ferma, dal rigido ascetismo del Carmelo, gli permetteva il riposo di poche ore notturne.. Di regola era in piedi in tutte le stagioni alle ore quattro... attendeva alla preghiera... alle cinque celebrava il santo Sacrificio nella cappella privata, impiegava le prime ore del giorno a sbrigare la corrispondenza... Poi iniziava le udienze, affrontando con serenità e sagacia i problemi che gli venivano presentati...» Si svolgeva così la giornata attiva di questo Vescovo contemplativo, tutto proteso all'unione con Dio, che realizzava senza soste nell'incontro e nel servizio dei suoi figli.A questo Pastore sollecito e zelante la posta portava sempre qualche nuovo incarico, qualche nuovo lavoro. Ormai li conosceva bene quei biglietti provenienti dalla S. Sede e che recavano il timbro della Volontà di Dio.Il 16 Marzo del 1914 veniva eletto Arcivescovo Titolare di Sardica e Coadiutore con diritto di successione a Monreale.«Al suo arrivo a Monreale come Coadiutore, la situazione era alquanto scossa e difficile, a causa sia della tarda età del precedente Arcivescovo, sia per gli effetti della dottrina modernistica che, sia pure limitatamente, aveva procurato nel Clero incomprensioni ed abusi». Inoltre, dovette usare «molta prudenza, data la particolare situazione del capoluogo dell' Archidiocesi, in cui erano contemporaneamente presenti tre Arcivescovi: lui, mons. Lancia di Brolo e mons. Fiorenza, già Arcivescovo di Siracusa e allora rettore del Seminario». «Circondò di sommo rispetto e di venerazione il vecchio Arcivescovo mons. Domenico Gaspare Lancia di Brolo. E quando seppe che si pensava da parte del potere civile di interdirlo per la tarda età di 92 anni, intervenne energicamente con una vigorosa lettera al Procuratore del Re, per impedire tanta ed immeritata umiliazione ad un Venerando Pastore».Per oltre dieci anni egli attese al governo delle due Diocesi con grande impegno e ammirabile spirito di sacrificio.
Il 31 Luglio 1919 morì all'età di 94 anni l'Arcivescovo di Monreale mons. Gaspare Lancia di Brolo e P. Antonio fu promosso a quella sede Metropolitana. Soddisfazione a Monreale, sgomento e pena a Caltanissetta.Cosa passava nell'animo dell'interessato? Così si esprimeva in una lettera:«Il mio desiderio sarebbe di tornare al chiostro... Il Santo Padre lo sa; non so se egli mi esaudirà. Se non mi esaudirà, farò la volontà di lui, riconoscendo in essa la volontà del Signore...» Certo, non è indifferente dinanzi alla nuova situazione, se nella stessa lettera scrive: «... non sono io che vado, ma è il Signore che vuole che colà mi sacrifichi... La mia povera umanità soffre al cambiamento tanto sensibile da Caltanissetta a Monreale. Ma bisogna soffrire, per meritare qualche cosa...».
Provò non poche difficoltà con il clero. «Voi meritereste di essere preso a calci!» disse un giorno ad un prete che faceva da capomafia, dopo averIo paternamente, ma alquanto duramente posto di fronte alle sue responsabilità. Quelle parole dure, ma temperate dalla sua bontà, scossero profondamente quel sacerdote, spingendolo ad una conversione sincera. Dopo qualche tempo, lo stesso Arcivescovo, accertatone il cambiamento di vita, lo nominò parroco.Un altro sacerdote che era stato sospeso «a divinis» per alcuni giorni, presentatosi all' Arcivescovo, per chiedergli scusa, si vide consegnare una busta con denaro dal suo Pastore che gli disse paternamente: «Questa è la elemosina delle Sante Messe che avreste dovuto celebrare durante i giorni della sospensione». Ancora un'altra volta che aveva minacciato una sospensione ad un sacerdote, ad un confratello che si era presentato a lui, per intercedere per il colpevole, l'Arcivescovo rispose: «Figlio mio, è da tre notti che non dormo, pensando che debbo dare una punizione ad un sacerdote!» E desistette dal prendere quel provvedimento.Questi suoi modi di fare gli conquistarono poco a poco i cuori dei Sacerdoti e dei fedeli.Il grave problema della mafia fu combattuto da mons. Intreccialagli a modo suo, senza cioè troppi strombazzamenti, ma affrontando direttamente uomini e situazioni.E quando la mafia, voleva costringerlo ad affidare l'arcipretura di un paese ad un sacerdote assolutamente non idoneo, l'Arcivescovo fu irremovibile con stupore e ammirazione della stessa mafia.«Costoro - diceva - non sanno cosa voglia dire Vescovo; nessuno mi farà mai piegare a detrimento dei miei doveri e da me si viene, per farmi capitolare dinanzi ai doveri della giustizia e della carità. La vita sì, se la vogliono, l'anima no!»«Giustizia e Pace» era il suo motto episcopale e non venne mai meno ai suoi doveri e impegni pastorali.«Fu veramente il padre amorevole di tutti, che si impegnò costantemente a riabilitare e valorizzare opere e persone, a ricercare laboriosamente la verità e a interpretare benignamente ogni azione.La gente guardava ammirata il suo Arcivescovo che usava i mezzi pubblici, che camminava per le strade, salutando per primo.A chi faceva notare che non si confaceva ad un Arcivescovo «andare in tram» aggiungendo che il suo predecessore di carrozze ne aveva più di una, egli rispondeva che il denaro serviva per i poveri e per il seminario.E per i poveri ebbe un amore quasi di venerazione. A chi aveva l’incarico di annunziarne le visite, proibì di licenziarli, e se fossero stati in molti, li introducesse tutti in una volta.
Si può dire che visse sempre in maniera autentica il suo voto di povertà, e questo lo faceva sentire ancor più vicino ai «suoi poveri».
La forza di questa sublime testimonianza la prendeva dalla preghiera. Il custode della Cattedrale testimoniò che l’Arcivescovo spesso, attraverso la porta interna dell'Episcopio, scendeva in Cattedrale, dopo la chiusura, solo, con i sandali e qualche volta a piedi nudi, e si intratteneva per parecchio tempo davanti al Santissimo.Questa figura, prostrata davanti al Tabernacolo in preghiera è l'immagine più vera del grande Arcivescovo di Monreale.«Ci riposeremo in Cielo» era solito ripetere a chi lo invitava a «moderarsi nel lavoro». Egli «aveva dimenticato se stesso, per servire gli altri» e adesso avvertiva il peso degli anni. «lo mi trovo bene - scriveva nel 1921 - ma con 70 anni sulle spalle... Vorrei «cursum consummare» in un convento, ma mi farà il Signore questa grazia?..»
Di malanni ne aveva parecchi che nelle lettere chiamava "passeggeri". Ma è evidente che questi disturbi, col passare degli anni e non sempre debitamente curati, si fecero sempre più pesanti.
I medici gli consigliavano riposo e aria salubre. Si fermò, ai primi di Giugno 1924 nella sua Montecompatri, ma in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale, nel Settembre del 1924, tornò a Palermo.
Ormai allettato volle ugualmente partecipare alla solenne Ora di adorazione in ginocchio dinanzi al SS.mo Sacramento. Aveva voluto anche tenere i Vespri Pontificali la vigilia dell' 8 Settembre, festa della Natività di Maria, nonostante il divieto dei medici.Ormai stremato dalle sofferenze, faceva fatica persino ad ingoiare, tanto che alla suora che gli chiedeva se soffrisse molto, rispose con un filo di voce: «soffro: è terribile!» e ripeteva senza sosta: «mio Dio, mio Dio...»A chi delicatamente gli faceva notare che non sempre si era curato della sua salute, rispose: «È vero, mi sono trascurato, ma che volete? Un Vescovo ha dei doveri molto superiori alla sua salute...»Volle ricevere, il 12 Settembre, il Santo Viatico, seduto sulla sponda del letto, vestito dall' abito religioso. Prima di ricevere l'Ostia Santa dal suo Vicario Generale, chiese perdono agli astanti, quasi non avesse saputo compiere bene i suoi doveri pastorali. La sera del 18 Settembre rinnovò i suoi voti religiosi, ripetendo mentalmente la formula recitata dal confratello P. Guglielmo di S. Alberto, giunto al suo capezzale. L'indomani, venerdì, 19 Settembre 1924, alle 16 pomeridiane, spirò serenamente, incontrandosi con il Signore che tanto aveva amato.
Sua Santità Giovanni Paolo II , con decreto del 22 Gennaio 1991 l'ha dichiarato Venerabile.
Fonte:
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Provincia Romana dei Carmelitani scalzi
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