Don Antonio Spalatro nasce a Vieste, a mezzogiorno del 2 febbraio 1926, mentre le campane suonano a distesa, “perché era festa in paese”.
É il giorno della Candelora. Don Antonio considerò l’essere nato in tale giorno un dono. «Vado sempre un po’ …superbo di essere nato il giorno della Candelora, da quando mi dissero: Chi nasce nella festa della Madonna è predestinato» (Diario 2 febbraio 1949).
Trascorre la sua infanzia e fanciullezza nell’ambiente sereno della famiglia, manifestando da subito chiari segni di propensione alla preghiera e ad una profonda vita interiore.
Nell'anno 1937 entra nel seminario Arcivescovile di Manfredonia, da qualche anno riaperto dall’Arcivescovo Cesarano. Sente fortemente l’amarezza del distacco dal suo paese, dai suoi affetti più cari, dall’atmosfera gioiosa delle sue amicizie. Lo sostiene la forza dell’ideale: essere tutto di Dio e tutto degli uomini suoi fratelli, nel sacerdozio.
Ristrettezze, privazioni, angosce, terrori hanno influito negativamente sul suo fisico già gracile, ma al tempo stesso lo hanno rafforzato nella sua vocazione.
L’inizio del Corso Teologico coincide con la fine della seconda grande guerra.
Il periodo degli studi teologici è per don Antonio il momento più intenso dell’ascesi.
Dopo molto lavoro, dopo molto soffrire, finalmente l’ideale comincia ad acquistare concretezza davanti a lui. É suddiacono l’1 agosto 1948 e diacono il 18 febbraio 1949. Viene ordinato sacerdote il 15 agosto 1949 nella Cattedrale di Vieste da S. Ecc. Mons. Andrea Cesarano.
La sofferenza morale e poi fisica sarà d’ora in poi la fedele compagna della sua vita.
Per un anno e mezzo non riceverà dal Vescovo nessun incarico specifico, ma sarà la sua grande disponibilità e il suo eccezionale dinamismo interiore ad occuparlo in esperienze tra i giovani di A.C., in predicazioni e qualche sporadica e provvisoria esperienza pastorale.
Sono questi i momenti più difficili della sua vita. Conosce la povertà, l’abbandono, lo scoraggiamento.
Il 26 novembre 1950 anche per lui si apre la porta sulla vigna del Signore, una parrocchia nascente, un campo ricco di lavoro: la parrocchia del SS. Sacramento. "Vorrei diventare un piccolo Curato D’Ars in miniatura » (Diario 26 maggio 1950).
La sua attività pastorale assume subito un ritmo quasi frenetico. L’impegno ascetico però non lo abbandona: Ha fretta di fare, di completare anche la costruzione del suo edificio spirituale. «Ho l’ansia di fare, di agire, di far vedere che non sto fermo. Lo sento diffuso in me questo senso» (Diario15 dicembre 1949).
Il suo lavoro pastorale non conosce limiti o soste. Quante volte, a sera, con il corpo stanco e lo spirito affranto, ritorna con la mente al suo lavoro difficile ma fecondo di apostolato. Sente la grande responsabilità che la missione gli conferisce. Il suo corpo geme sotto il peso della fatica, ma lo spirito freme di una vitalità traboccante che ha bisogno di esprimersi, di concretizzarsi in opere, in ascesi e nobili conquiste.
La lotta per tenere l’equilibrio tra azione e vita interiore caratterizzano gli anni del suo lavoro parrocchiale, che non tarda a dar i suoi frutti. La parrocchia diventa il centro di formazione e di vita di fede per tutti: bambini, giovani, adulti, famiglie, poveri. Egli può realizzare i suoi grandi sogni: l’oratorio e la scuola catechistica.
Il successo arride alle sue iniziative pastorali, il Signore gli riserva una dolorosa spina nel suo corpo che mentre purifica, feconda le sue opere. I sintomi di un male inesorabile cominciano a tormentare il suo fisico provato e fiaccato da un intenso e diuturno lavoro, già negli ultimi mesi del 1953. Il 22 maggio 1954, festa di S. Rita, è costretto a lasciare la sua parrocchia, il suo paese, la sua famiglia per essere ricoverato. Il rientro definitivo e senza speranza a Vieste avviene il 13 agosto.
Qui muore il 27 agosto, venerdì. Aveva 28 anni.
Il cammino di beatificazione è iniziato nel 2005.
Autore: Don Giorgio Trotta, Postulatore
Don Antonio Spalatro nacque a Vieste il 2 feb. del 1926, festa della Presentazione di Gesù al Tempio, data che sempre considerò come un segno e un grande dono. Infatti, manifestò sin da bambino chiari segni di propensione alla preghiera e ad una profonda vita interiore, segni che troveranno il loro coronamento nell’amicizia con don Salvatore Latorre, anch’egli morto povero di anni ma ricco di santità, il quale aprirà il cuore del giovane A. alla generosità, facendogli intravedere la possibilità di una donazione totale al Signore nel servizio dei fratelli. Decise così di entrare in seminario non ancora dodicenne, nel 1937, dopo aver frequentato a Vieste le scuole elementari. Il trapianto nel Seminario Arcivescovile di Manfredonia, da qualche anno riaperto dall’Arcivescovo Cesarano, non fu indolore per il piccolo A. che sentiva fortemente l’amarezza del distacco dal paese, dai suoi affetti più cari, dall’atmosfera gioiosa delle sue amicizie. Lo sosteneva però la forza dell’ideale di essere tutto di Dio e tutto degli uomini nel sacerdozio. Il 21 nov. dello stesso anno, anch’esso festa liturgica della Presentazione al Tempio, ma questa volta di Maria, ricevette l’abito talare che porterà sempre con grande rispetto e venerazione. Le ristrettezze e privazioni tipiche della vita del tempo come le angosce e le paure di un giovane consapevole di essere incamminato in qualcosa di molto più grande di lui andavano influendo negativamente sul suo fisico già gracile, ma nello stesso tempo lo rafforzavano nella vocazione.
L’inizio del corso teologico coincise anche con la fine della seconda guerra mondiale e per don A. si rivelò il momento più intenso della sua ascesi. Così scriveva nel suo diario spirituale in quegli anni: “Oggi il popolo vuole che il prete sia difatti alter Cristus. Vuole il prete santo e niente più. E lo segue quando veramente è santo. Ma l’essenziale è questo oggi per il prete: rassomigliare in tutto a Cristo …”. Forte di questi propositi, proseguì il cammino degli studi e venne ordinato Suddiacono l’1 ag. 1948 e Diacono il 18 feb. 1949. Finalmente, venne ordinato Sacerdote il 15 ag. 1949 nella Cattedrale di Vieste da S. Ecc. Mons. Andrea Cesarano. Proprio pochi giorni prima dell’ordinazione annotava nel diario: “Sarà un’ ispirazione? Sarà un invito del Signore? Da qualche giorno sento di dover chiedere nella Prima Messa, come grazia che Gesù concede necessariamente al suo nuovo sacerdote, quella di dover soffrire, soffrire molto per poter convertire le anime. Ma non so, a volte mi manca la forza di chiederla questa grazia. Soffrire! Soffrire molto! L’umanità ha paura … sì, confesso di aver paura. Ma … debbo chiederla questa grazia”. Ebbene, la sofferenza prima morale e poi fisica sarà d’ora in poi la fedele compagna della sua vita.
Per un anno e mezzo non riceverà dal Vescovo nessun incarico specifico, ma saranno la sua grande disponibilità e il suo eccezionale dinamismo interiore ad occuparlo in esperienze tra i giovani di Azione Cattolica, in varie predicazioni e qualche provvisoria esperienza pastorale. Furono questi i momenti più difficili della sua vita. Conoscerà, infatti, la povertà, l’abbandono, lo scoraggiamento, sempre però portando tutte queste esperienze nella meditazione e facendone una costante preghiera; leggiamo sempre dal diario: “Nisi granum frumentis, cadens in terra … Ecco: il grano di frumento marcito … Gesù, insegnami a marcire …”. Il 26 nov. 1950 anche per lui si aprì la porta sulla vigna del Signore nella forma di una parrocchia nascente che si profilò sin da subito come un campo ricco di lavoro: la parrocchia del SS. Sacramento, per la quale formulò il suo desiderio: “Vorrei diventare un piccolo Curato d’Ars in miniatura”. Pur nel ritmo frenetico delle attività, non abbandonò l’impegno ascetico: aveva fretta di costruire e di completare non solo la parrocchia ma anche il suo edificio spirituale. Il suo corpo gemeva sotto il peso della fatica e della responsabilità, ma lo spirito fremeva sempre di una vitalità traboccante che si esprimeva continuamente in opere, in ascesi e nobili conquiste. La lotta per tenere l’equilibrio tra azione e vita interiore caratterizzò gli anni del suo lavoro parrocchiale che non tardò a dare i suoi frutti. La parrocchia diventò così un centro di formazione e di vita di fede per tutti: bambini, giovani, adulti, famiglie, poveri.
Mentre il successo arrideva alle sue iniziative pastorali, il Signore gli riservava una dolorosa spina nel suo corpo che mentre lo purificava, fecondasse le sue opere: già negli ultimi mesi del 1953, i sintomi di un male inesorabile cominciarono a tormentare il suo fisico provato e fiaccato dall’intenso lavoro. Il 22 mag. 1954, festa di S. Rita, fu costretto a lasciare la parrocchia e la famiglia per essere ricoverato. Poco più di tre mesi di duro Calvario e di tremende sofferenze furono sufficienti perché il suo corpo, consunto dal male, fosse vinto. Il 13 ag. rientrò definitivamente e senza speranza a Vieste dove morì venerdì 27 ag. Aveva 28 anni.
Il cammino verso il riconoscimento della santità è iniziato il 5 gen. 2005, quando Mons. D’Ambrosio ha deciso d’iniziare il processo diocesano sulla santità della sua vita sacerdotale e la pratica eroica delle virtù evangeliche e il Consiglio presbiterale diocesano, dietro espressa richiesta della parrocchia del SS. Sacramento, dove don A. esercitò il suo ministero, si è costituito attore della causa.
Autore: Emanuele Borserini
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