Il suo «Alleluja», il suo incitare a «cantare e camminare» quanto lo sentivi per telefono o quando lo incontravi ti dava un respiro al cuore, all’anima. Per chi l’ha conosciuto non sarà più possibile dimenticare il suo tono di voce, sempre speranzoso, sempre ottimista, sempre fanciullo, nonostante l’età, nonostante l’enorme saggezza e spiritualità accumulata nel tempo. Si chiamava Giuseppe Mina, ed era un grande uomo, un grande sacerdote, un grande missionario della Consolata. Innamorato di Dio e proprio della Madonna Consolata, quella di Torino, quella del beato Allamano.
Era il primogenito di una famiglia contadina e fortemente cristiana. Era nato a San Lorenzo, frazione di Fossano, il 10 aprile 1911. Una famiglia fondata sulla roccia di valori granitici ed eterni: la fede, la preghiera, il senso dell’unione e dei legami affettivi. Una famiglia che ha dato i natali a tre missionari della Consolata: padre Giuseppe, suor Palma e suor Gian Paola.
«Quel mondo agreste», commentava padre Giuseppe Mina, «era un canto al vivere a dimensione umana». Alla fine del gennaio 1922 una broncopolmonite doppia colpisce il padre di famiglia, Giovanni Battista e una notte mandò a chiamare il figlio Giuseppe: «Pino, vedi, sto male, presto non ci sarò più. Aiuta la mamma e le sorelle…» e alla moglie disse: «Sei ancora giovane e la famiglia è da allevare, potresti ancora sposarti e…», Margherita non lo lasciò terminare: «Ho amato te e non voglio altri. Ai bambini ci penserà la Provvidenza…». Così si trovò sola a crescere la famiglia.
Giuseppe, dopo un’esperienza da un tipografo e poi nel laboratorio di uno scultore, diede il suo apporto economico alla famiglia lavorando come intagliatore e, grazie anche al suo talento artistico, giunse a guadagnare mille lire al mese, lo stipendio a cui aspiravano i colletti bianchi. Proprio in quegli anni sentì però forte la chiamata di Dio. Frequentando la gioventù di Azione Cattolica del circolo «Pier Giorgio Frassati», ebbe modo di conoscere Michele Pellegrino, futuro arcivescovo di Torino, e proprio a lui domandò consiglio: come poteva lasciare casa? Le sue mille lire mensili erano essenziali alla mamma. Trascorse del tempo e Giuseppe si affidò alla Provvidenza. Fu così che don Pellegrino trovò una benefattrice (e mai nessuno seppe chi fosse) che si impegnò ogni mese a versare mille lire per casa Mina. La mamma, Margherita, non oppose obiezioni alla scelta del figlio: vide chiaramente la volontà di Dio nelle mani dell’ignota benefattrice.
Giuseppe si presentò alla Casa Madre delle Missioni della Consolata il 25 settembre 1933; due anni dopo padre Giuseppe frequenta i corsi di filosofia e propedeutica dell’Istituto Missioni della Consolata alla «Certosa fatale», come lui stesso definiva la Certosa di Santa Maria di Pesio (in provincia di Cuneo), l’Abbazia certosina dove nel 1934 i Missionari della Consolata erano giunti per ridare vita ad un centro di fede universale. La certosa di Pesio è un capolavoro architettonico delle Alpi Marittime, che per la loro configurazione massiccia vengono definite «Le Dolomiti del Piemonte». L’Abbazia è assisa a capo della Valle di Pesio, fasciata da mistica atmosfera, di austera serenità, bellezza e armonia, cullata dalla frizzante aria montana all’intorno, quasi ritmo di preghiera sussurrata in sordina.
Poeta come è sempre stato, padre Giuseppe amava profondamente questo luogo, dove lasciava che la sua anima ne venisse rapita, ad essa ha dedicato anche dei versi. Lo affascinava la millenarietà di vita, la suggestiva cornice di monti all’intorno, la scritta riportata su di un capitello del monumentale edificio sacro: «Stat Crux dum volvitur mundus».
L’ordinazione sacerdotale avvenne nella festa di san Pietro del 1942 a Fossano. Poi vennero gli anni intensi della missione. Destinazione: Kenya, dove di tanto in tanto si incontrava con l’amatissima sorella suor Gian Paola e dove amò i bambini e la gente del luogo. La salute non l’accompagnò per un po’ di tempo. Fece ritorno in patria. Fu giornalista, scrittore, lasciando così un patrimonio storico-letterario, biografico-culturale di indubbio valore per le Missioni della Consolata. È stato amico di tanti laici, di tante famiglie. Aveva una parola buona per tutti, un sorriso affabile, una capacità sorprendente nell’utilizzare parole antiche e nuove, giocando con estrema naturalezza con il verseggiare lirico in una miscela di sapienza semplice e profonda allo stesso tempo.
Nel 1992 padre Giuseppe Mina celebra il suo 50° di ordinazione alla parrocchia del Salice di Fossano e nel 2002 il 60°.
Tutto per lui era Provvidenza, tutto «miracolo» e questo «miracolo» te lo trasmetteva, te lo comunicava. Scriveva agli amici e a loro telefonava con periodicità, fino alla fine.
È rimasto a letto una decina di giorni prima di andarsene a 93 anni di età, l’unica cosa che gli pesava e gli mancava era non poter celebrare l’Eucaristia; ma leggeva ancora i messaggi degli amici che gli scrivevano. Era la mattina del 28 ottobre 2004 quando, dopo aver ricevuto la comunione e fatto la colazione si è addormentato serenamente, come un bambino.
Autore: Cristina Siccardi
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