Fogliano di Cascia, Perugia, 19 agosto 1799 - Trevi, Perugia, 12 settembre 1847
Poco distante da Cascia, a Fogliano, il 19 agosto 1799 Gertrude nacque in una famiglia agiata. Ricevette un’educazione profondamente cristiana, in particolare la seguì una zia nubile. Ventenne, il 4 maggio 1820, entrò nel monastero benedettino di S. Lucia di Trevi, da poco riaperto dopo la soppressione napoleonica. Suor Maria Luisa, nome che assunse da religiosa, ebbe un’esistenza caratterizzata da fatti e doni straordinari. Seguì pratiche penitenziali molto rigide, provò nella sua viva carne l’Agonia del Signore, la Flagellazione, la Coronazione di spine, le percosse, le stimmate al costato ed alle mani. Il Signore la volle partecipe delle sue sofferenze, mentre il demonio la molestò, anche di notte e con percosse. Per cinque anni il direttore spirituale, padre Cadolini, Vescovo di Spoleto poi Arcivescovo di Ferrara e cardinale, la indusse a riconoscere nelle sue visioni la superbia e l’opera del demonio. Nel 1837 Madre Maria Luisa fu eletta Abbadessa. Nel monastero fece rifiorire l’osservanza della Regola, privilegiando l’adorazione al SS. Sacramento. Contemplava a lungo il Crocifisso, a quanti le chiedevano consiglio invitava ad ricorrere con amorosa fiducia all'infinita Misericordia di Gesù. Nel parlatorio grande un giorno Cristo le apparve con le sembianze di un pellegrino. Madre Maria Luisa morì il 12 settembre 1847 a soli quarantotto anni d’età. Sono conservate molte sue lettere, sia originali, sia copiate dal confessore, il gesuita p. Paterniani, che nel 1870 ne scrisse la prima biografia. Nel 1914 fu introdotta la causa di beatificazione, sospesa poi per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Venerabile dal 1° luglio 2010, il 12 novembre 2012 è stata proclamata beata nella Cattedrale di Spoleto. Le sue spoglie riposano nella chiesa di S. Lucia a Trevi.
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Gertrude Prosperi, figlia di Domenico e di Maria Diomedi, nasce a Fogliano di Cascia (Perugia) il 19 agosto 1799. La sua famiglia, pur se parte della piccola nobiltà locale, non gode di grandi disponibilità economiche, anche se la casa natale sorge in posizione centrale nel paese, presso la chiesa parrocchiale di S. Ippolito. Viene battezzata lo stesso giorno al fonte ancora esistente.
È una donna che fa la sua scelta da giovane: il 4 maggio 1820, infatti, viene accolta nel monastero di Santa Lucia a Trevi nella diocesi di Spoleto (Perugia), da poco restituito alle monache benedettine che ne erano state espulse pochi anni prima, assumendo il nome di Maria Luisa. La sua vita è poco conosciuta, se si esclude un’ancora viva memoria nella città di Trevi e tra le benedettine tutt’oggi presenti nel monastero.
Dal 1822 al 1834 vive nel monastero di S. Lucia come una religiosa esemplare e molto apprezzata. La monaca viene impiegata in tutti gli uffici previsti dalla Regola benedettina: infermiera, sagrestana, camerlenga (quattro volte) e, infine, come maestra delle educande. Le testimonianze sono concordi nel descriverla come amabile, benvoluta dalle educande e dalle monache, che svolge con meticolosità i suoi doveri per potersi dedicare intensamente alla preghiera, invitando spesso le consorelle ad unirsi a lei. Per lungo tempo, comunque, la vita di Maria Luisa si svolge senza clamori all’interno dei ritmi e delle pratiche del monastero, nella preghiera e nel nascondimento. Nulla trapela circa le sue esperienza mistiche. Solo dopo l’arrivo del primo direttore spirituale (ne ebbe quattro), Maria Luisa è in un certo senso costretta ad uscire dal silenzio e raccontare quanto le accade. Una delle visioni riguarda la sofferenza causata dell’incomprensione dei suoi direttori spirituali. La Prosperi vede “Gesù con la croce in spalla…che le diceva: ecco come ti voglio, sarai l’obbrobrio di tutti. Ti vedrai oppremuta e soffrirai anco dai demoni, soffrirai per via dei Confessori. Ti vorranno aiutare, ma non potranno. Oh Dio che pena!”. Viene fatta oggetto di una sanzione monastica ed era incompresa dalle consorelle. Viene poi l’elenco delle penitenze. Siamo in pieno Ottocento, con le sue pratiche di pietà e le sue discipline, cilizi e catenelle. La Prosperi, seguendo la solida tradizione ascetica del suo tempo, vuole dominare il corpo macerandolo con pratiche di dura disciplina, seguendo l’esempio di figure come S. Alfonso di Liguori. Attraverso l’orazione della Prosperi, il mondo intero entra in monastero, viene intrecciato dentro la trama di invocazione quotidiana che scandisce la vita monastica.
Inaspettatamente, il 1° ottobre 1837, a 38 anni, è eletta Badessa e lo resta fino alla morte, solo dieci anni dopo, il 12 settembre 1847. È un cambiamento che genera dubbi nella Prosperi, anche perché fino a quel momento pensava di dover cercare la sua strada nel silenzio. Il monastero era immerso in una stagione difficile e lei, donna votata al nascondimento e alla preghiera, non mostra tentennamenti, bensì un senso concreto e lucido della strada da seguire. Agisce in modo molto chiaro. Come prima cosa, progressivamente ma decisamente, viene ristabilita l’osservanza piena della Regola benedettina, con una azione fondata sull’esempio. La nuova badessa vince le residue diffidenze attraverso una pratica personale di umiltà totale, tanto da sorprendere in molte occasioni le monache. Ha modi di governo attraenti, non autoritari, ma di forte carisma personale. Scrive Adelaide Pellegrini, accolta dalla Prosperi come novizia: «impossibile non amarla, tanto erano la dolcezza de’ suoi affetti, il suo fare allegro, disinvolto, pieno di affabilità, senza minima doppiezza o affettazione…». Infonde al monastero un nuovo spirito, nel quale le consorelle la vedono come una monaca amante dell’interiorità e del raccoglimento che non tollera sciatterie o poca attenzione nella preghiera. La sua capacità di introspezione è spesso decisiva, in particolare nel saper suscitare nuove vocazioni alla vita monastica.
La gestione della Prosperi vede passare il monastero dalla ristrettezza all’abbondanza: diviene fonte di elemosine per molti e la badessa dona ai poveri che bussano alla porta del monastero, in una Trevi in cui la vita per tanti è durissima. Pur di non lasciare qualcuno a mani vuote, la Prosperi fa addirittura qualcosa di poco corretto: prende alimenti dal magazzino senza avvertire la camerlenga.
La badessa vive anche quelle sollecitudini che la Regola di S. Benedetto prescrive per le monache malate, ma in generale mostra delicatezza verso tutte le sue consorelle.
Eletta badessa desidera che le sue esperienze mistiche - che continuano - non turbino la vita comune, ma rimangano riservate, come un segreto tanto più prezioso in quanto celato. Ma qualcosa trapela in molte occasioni. Il nuovo direttore spirituale, l’arcivescovo di Spoleto mons. Ignazio Giovanni Cadolini, la obbliga a scrivere delle relazioni periodiche sulle sue esperienze mistiche. Sono esperienze travolgenti di incontri con l’amato, il Cristo. A partire dal 1838, la Prosperi inizia a firmarsi Maria Luisa della volontà di Dio. Per ella scrivere di queste cose è ulteriore sofferenza, ma mons. Cadolini la obbliga a farlo con cadenza regolare. In tutto invierà al Vescovo oltre trecento pagine. Nella simbologia delle sue visioni, ricorre il tema del Cuore di Gesù, fulcro della pietà popolare dell’Ottocento. Più volte le esperienze mistiche lasciano la Prosperi fisicamente a pezzi, tanto da non nascondere più il problema alle consorelle. Spesso le accadono vicino al momento in cui sta per ricevere l’Eucaristia e divengono momento unitivo con Cristo. Nei suoi carteggi, la Prosperi riporta dialoghi tra lei e il Cristo come dialoghi amorosi, sul tipo del Cantico dei Cantici, in cui l’unione dei cuori necessariamente significa partecipazione ai dolori contenuti nel cuore di Cristo, che in una delle visioni le dice: “ecco figlia, la tua dimora, qui ti riposerai, chiedi quello che vuoi, mettimi qui i tuoi cuori che io li ho accettati, giusti per più amarmi, i peccatori per convertirsi, gli infedeli perché tornino alla mia Chiesa”. La visione di un cardinale sofferente in Purgatorio serve ad introdurre un discorso di inaspettata critica sulla situazione interna della Chiesa, con il sorprendente cenno a “Ugenio” che probabilmente è Eugenio IV, il papa dell’unione effimera con i greci concepita nel concilio di Firenze, che ebbe un “regno tempestoso”. Molte di queste visioni vengono ricevute dalla Prosperi in un momento nel quale si dipana una vicenda importante, cioè il tentativo di mons. Cadolini (che nel frattempo era stato nominato cardinale arcivescovo di Ferrara) di trasferirla in altro monastero. Vuole, infatti, fondare un nuovo istituto di Adorazione perpetua del Sacro Cuore a Ferrara, e coinvolgere la Prosperi in tale impresa, che si trova nella posizione di non poter dire di no. Lasciare il monastero di Trevi e la Chiesa di Spoleto, però, è una cosa dura da accettare. Più volte dice di essere pronta all’obbedienza e scrive a Cadolini: “Io nulla decido, voglio solo quello che vuole Iddio”. Alla fine, la Prosperi non andrà a Ferrara. Si rompe il suo rapporto con mons. Cadolini, al quale, però, non ha mai disobbedito.
Tutte queste vicende avvengono mentre la vita del monastero si svolgeva regolarmente sotto la sua guida, in clima di rinnovata adesione alla Regola. La Prosperi predica e le sue parole toccano i cuori delle consorelle, anche di quelle più problematiche. Il monastero non è più luogo indegno, sede di una comunità in difficoltà e divisa al suo interno.
Negli ultimi quattro anni della sua vita, la Prosperi sperimenta nella sua persona una grande sofferenza. La settimana santa del 1847 la situazione sembra precipitare. Tutto inizia la sera prima della Domenica delle Palme. La Prosperi cade malata, sembra soffocare. Il giovedì santo giace come paralizzata nel letto, non si muove, con dolori molto forti. Vive la Passione di Cristo in tutti i suoi momenti. Scrive la Pellegrini: «intorno alla testa ha come dei segni in forma di corona di spina, vicino al cuore ha una ferita aperta e piena di sangue vivo, nelle mani appariva un segno paonazzo nel mezzo». Dopo la Pasqua le condizioni della Prosperi migliorano. Ma c’è una caduta pesantissima: torna l’infezione, la febbre violenta, i dolori alla testa. A partire dal mese di agosto del 1847 rimane malata a letto, alzandosi pochissimo.
Poche settimane prima di morire viene descritta in grado di vedere quello che accade nel monastero: riprende le monache che a pranzo non leggono le Costituzioni di venerdì, manda a dire alle monache fermatesi a parlare in corridoio di andare a dormire, riprende la Pellegrini perché invece di andare a passeggiare in silenzio si ferma a parlare della sua malattia con le consorelle, vigila sugli orari del coro, benedice dal letto la mensa comune perché nel frattempo nessuno lo ha fatto. Insomma, fino all’ultimo: malata a letto, in fin di vita, ma sempre badessa.
Gli ultimi istanti della sua vita sono nel segno di una serenità che colpisce quanti assistono alla sua agonia e di una continua preoccupazione per le monache. Si prepara a morire stando nel suo letto nella posizione del Crocifisso. Muore il 12 settembre 1847. Le sue spoglie riposano nella chiesa di S. Lucia a Trevi.
Il processo diocesano per il riconoscimento delle virtù eroiche della Prosperi è avviato nel 1914 dal Vescovo di Spoleto Pietro Pacifici. Sospeso per le vicende belliche del ‘900, è riaperto ufficialmente dall’Arcivescovo Ottorino Pietro Alberti il 13 dicembre 1987. Chiuso il 13 dicembre dall’Arcivescovo Antonio Ambrosanio. Il 19 dicembre 2011 Papa Benedetto XVI firma il decreto che ne riconosce il miracolo: la guarigione di una donna umbra gravemente malata a livello cerebrale. Il 10 novembre 2012 è stata beatificata nella cattedrale di Spoleto.
Autore: Francesco Carlini
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