Inutile dire che l’opposizione politica e religiosa (ai tempi era praticamente la stessa cosa) al regime elisabettiano si aggrappò con le unghie e con i denti a Mary Stuart (1542-1587), Regina di Scozia, discendente diretta e legittima di Enrico VII.
Più giovane della cugina che sedeva sul trono inglese, era stata allevata alla corte francese, dalla quale proveniva sua madre, Maria di Guisa. Ella incarnava nella propria persona l’antico patto tra Scozia e Francia, la Auld Alliance, fondamentale per la sopravvivenza del piccolo regno settentrionale alla minaccia inglese.
Quando Elizabeth e Cecil presero il potere in Inghilterra, Mary, diciassettenne, aveva appena sposato il Delfino, che nel 1559 divenne Francesco II di Francia. Una volta regina, ella non sostenne mai la pretesa, avanzata in precedenza dal defunto Enrico II, di regnare sull’Inghilterra al posto di Elizabeth; questo nonostante i sovrani inglesi si fregiassero anche del titolo di sovrani di Francia da più di duecento anni. Mary cercò piuttosto di far sì che Elizabeth la proclamasse legittima erede al trono, dato che ne era rimasta l’unica parente di sangue reale.
Nel 1560, rimasta vedova, tornò in patria a cercare di governare un Paese assolutamente ingovernabile. Per gli inglesi fu un gioco da ragazzi inviare ingenti quanto segreti finanziamenti ai ribelli calvinisti di Scozia (capeggiati da John Knox) e far detronizzare e imprigionare quella giovane ingenua. Ella aveva intanto sposato un nobile scozzese, Lord Darnley, e dato alla luce un figlio maschio; quel figlio le fu tolto per sempre prima di compiere i due anni. Il piccolo James, tempestivamente incoronato re dopo l’abdicazione coatta di Mary, fu allevato da buon protestante e abituato fin dalla più tenera età a odiare la madre. Non c’è da stupirsi delle turbe che ebbe da adulto. In quanto egli apparteneva alla fede “giusta”, però, Robert Cecil gli permise poi di ereditare anche il trono inglese.
L’errore della fuga
Mary Stuart era dunque prigioniera dei ribelli scozzesi. Nel 1568, grazie ad alcuni sudditi fedeli, riuscì a evadere, ma commise un errore fatale: quello di cercare asilo politico in Inghilterra presso Elizabeth anziché in Francia presso i potenti Guisa, suoi parenti. Perché lo fece? Senza dubbio perché l’Inghilterra era facilmente raggiungibile a cavallo, mentre imbarcarsi per la Francia non sarebbe stato facile per una regina fuggiasca. Ma è probabile che la sovrana inglese, da sempre in contatto epistolare con la cugina, l’avesse invitata a rifugiarsi presso di lei e le avesse promesso gli aiuti necessari per recuperare il trono. Mary non trovò nulla di tutto questo, naturalmente: appena varcò il confine fu segregata in un castello, poi in varie altre dimore, e mai più liberata. Per diciannove anni chiese invano un incontro con la cugina. Per diciannove anni fu detenuta del tutto illegalmente.
Il problema, oltre al fatto oggettivo che Mary avesse le credenziali più in regola per regnare anche sull’Inghilterra, era che tutti i sudditi inglesi scontenti guardavano a lei per essere liberati dal giogo elisabettiano; e per i cattolici si trattava di un giogo a tratti intollerabile. Ma il governo fu tanto forte quanto scaltro e lesto. Elizabeth era sostenuta da uomini che avevano giocato tutto per metterla sul trono e la cui sopravvivenza era indissolubilmente legata alla sua. Per questo tutti i tentativi di spodestarla fallirono.
Il primo “complotto” a noi noto alle spalle di Elizabeth non fu affatto cattolico: si trattò piuttosto di una congiura di Corte in cui, nel caso in cui la regina inglese fosse morta senza eredi diretti, alcuni nobili vollero avvicinarsi a Mary di Scozia come all’erede più probabile, cercando così di rimanere al potere. Il duca di Norfolk, cugino di Elizabeth, promise a Mary che l’avrebbe fatta rilasciare se ella l’avesse sposato. Ma la “congiura” fu scoperta, Elizabeth divenne una tigre e il duca finì nella Torre. La successione rimase argomento tabù per tutta la durata del regno.
La ribellione cattolica e i primi martiri
Cattolica, invece, fu la cosiddetta Ribellione del Nord, guidata da due nobili, il conte di Northumberland e quello di Westmoreland. Essa riesumò i simboli del Pellegrinaggio di Grazia e puntò verso Sud per liberare Mary. Ma ella fu trasferita in fretta e furia in un altro castello e i seimila ribelli si dispersero. La rappresaglia governativa fu tremenda e devastò tutto il Nord, che non si riprese prima di due secoli.
È in questo contesto, e solo in questo contesto, che si colloca la famosa scomunica papale del 1570. Non fu un documento ufficiale bensì clandestino, rivolto ai cattolici inglesi, che dichiarava lecito opporsi a un tiranno che perseguitava i cattolici in quanto cattolici. Era il riconoscimento dello scisma anglicano e dell’eresia elisabettiana da parte della cattedra di Pietro; senza tale riconoscimento il Papa avrebbe avallato l’idea (palesemente falsa) che la Chiesa di Stato inglese fosse ancora parte di quella cattolica. Cecil e compagni non sopportarono di essere smascherati di fronte a tutta Europa: quella scomunica divenne il pretesto per inasprire le persecuzioni.
Nessuno, in Inghilterra, si ostinò a ripetere il fedele ministro, veniva perseguitato per motivi religiosi: i cattolici erano rei di alto tradimento e perciò nemici della patria, non certo martiri. Traditore fu l’audace mercante John Felton, che, la notte del 25 marzo 1570, festa dell’Annunciazione e primo giorno del nuovo anno, osò affiggere una copia della bolla papale sul portone della casa del vescovo di Londra, accanto alla cattedrale anglicana di san Paolo. Egli fu scovato, naturalmente, nel giro di pochi giorni, e subì la pena orribile dei traditori. Ma almeno essa poté essere letta dai cattolici inglesi anche come la risposta del Papa all’amarissima repressione della rivolta da parte del governo: finalmente qualcuno, da oltre oceano, stava dalla loro parte.
La Christianitas, forse, non aveva del tutto cessato di esistere. Peccato che la sede papale avesse atteso tanto per pronunciarsi sullo scisma anglicano: più di dieci anni, quando invece Enrico VIII era stato scomunicato senza por troppo tempo in mezzo: provvisoriamente da subito e definitivamente quattro anni dopo l’atto di supremazia.
Ma la bolla giunse in ritardo anche rispetto agli eventi del 1569, poiché la rivolta era già stata schiacciata; seguirono circa 600 esecuzioni. Migliaia di altri condannati dovettero invece comprare vita e libertà attraverso multe devastanti, estremamente utili alle finanze pubbliche. Ma il governo non voleva più rischiare. In quanto cattolica, Mary Stuart costituiva un pericolo da eliminare se il regime voleva sopravvivere.
La congiura di Babington
I ministri elisabettiani, Cecil e Walsingham in testa a tutti, insistettero fin da questo momento per la pubblica esecuzione della regina di Scozia; Elizabeth, però, non ne volle sapere, sempre ben conscia dei propri privilegi di classe. Sapeva benissimo che processare un sovrano significava indebolire la monarchia in quanto tale. Ci aveva visto giusto, naturalmente: la vicenda di Mary Stuart fu il preludio del regicidio di Carlo I, nel 1649, e poi di quello di Luigi XVI di Francia.
La resistenza di Elizabeth fu tanto ostinata che, per raggiungere lo scopo prefisso (e cercare di giustificarsi di fronte al resto del mondo), ai servizi segreti toccò organizzare una falsa congiura che coinvolgesse Mary. Come Walsingham sapeva benissimo, la miglior difesa, era l’attacco. Se qualcuno non ne poteva più dell’oppressione del regime, se qualcuno nutriva in cuor suo il semplice desiderio che Elizabeth morisse, o fosse detronizzata in favore di Mary, egli andava senz’altro sostenuto e anzi aiutato a realizzare un progetto concreto. La trappola sarebbe scattata sul più bello e avrebbe ottenuto due risultati: la coesione dell’intera nazione inglese contro la minaccia cattolica e l’eliminazione definitiva di quella mina vagante che Mary era diventata.
Walsingham sguinzagliò dunque alcuni dei suoi agenti tra i cattolici inglesi, sia in patria che tra gli esuli in Francia, ad alimentare il focolaio dell’opposizione al regime e a suggerire che fosse meglio eliminare la radice di tutti i mali e di tutte le persecuzioni, Elizabeth in persona. Come c’era da aspettarsi, essi trovarono chi diede loro ascolto. Fu questa l’origine della famigerata quanto vituperata congiura di Anthony Babington.
Uno dei principali artefici dell’inganno ai danni di Mary Stuart, Gilbert Gifford, era in realtà un cattolico apostata alle dipendenze di Walsingham. Fu lui a soffiare sulle braci dello scontento di Babington e dei suoi compagni; lui a suggerire di uccidere la regina inglese, anche a costo della vita; lui a rinnovare il loro ardore quando esso sembrò raffreddarsi. Fu sempre lui a mettere in contatto i congiurati con Mary Stuart in persona; fu ancora lui a dare per certa un’invasione spagnola di sostegno allorché il tiranno fosse stato eliminato.
Il martirio di Mary
Mary, che non era tanto stupida da lasciarsi invischiare in un complotto contro Elizabeth, fu però sufficientemente ingenua da entrare in contatto “segreto” con chi le prometteva la liberazione; anche perché sia Francia che Spagna si erano stancate di sostenere inutilmente la sua causa e a lei non rimaneva altra speranza.
Fu tutto uno scambio di lettere, regolarmente aperte, lette, rivedute e corrette da ottimi falsari; finché fu una lettera falsa, in cui compare un riferimento esplicito all’eliminazione di Elizabeth, a fornire la prova schiacciante necessaria alla pubblica esecuzione di Mary.
La regina scozzese subì (illegalmente) un processo-farsa nell’ottobre del 1586, in cui le prove erano false o inesistenti, e fu decapitata l’8 febbraio 1587, dopo diciannove anni di prigionia (illegale). Suo figlio, il ventunenne Re di Scozia, non ebbe molto da ridire se non quel poco che bastava, a suo avviso, a salvare la faccia. Con grande indignazione dei suoi sudditi.
Autore: Elisabetta Sala
Fonte: Il Giudizio Cattolico
Maria Stuart nacque l’8 dicembre del 1542 e morì l’8 febbraio del 1587. Figlia di Giacomo V di Scozia e di Maria di Guisa, fu incoronata nel 1543 ad appena 9 mesi di età. Vennero pertanto nominati reggenti il cugino, James Hamilton, e la madre.
Una vita difficile
In quegli anni Enrico VIII cercava di porre la Scozia sotto il dominio dei Tudor. Maria di Guisa, pertanto, decise di trasferire Maria in Francia. Le cronache ne parlano come di una bambina intelligente e dal carattere dolce ed amabile.
Alla piccola regina fu dato in sposo, nel 1558, Francesco di Valois, primogenito di Enrico II e di Caterina de’ Medici. Dopo appena due anni di matrimonio, Maria rimase vedova; ed ella, come Regina legittima di Scozia, nel 1561 tornò nel suo regno in cui, però, la presenza calvinista si era fatta significativa.
Nel 1565 Maria sposò un nobile cattolico, l’inglese Henry Darnley, da cui ebbe un figlio, il futuro Giacomo VI. Maria, però, dovette gradualmente esautorare il nuovo marito perché questi aveva modi violenti. Ella, di fatto, rimase nuovamente sola.
Il suo carattere dolce la faceva essere lontana da qualsiasi calcolo politico. Fu così che trovò nel conte protestante, James Bothwell, colui che la potesse aiutare e difenderla. Nel 1567 Darnley fu ucciso. Si disse ch’era stato Bothwell, ma non si riuscì mai a dimostrarlo né tantomeno si riuscì a dimostrare che Maria fosse a conoscenza di un complotto contro Darnley.
Maria sposò il conte Bothwell, matrimonio che provocò una reazione da parte degli aristocratici scozzesi. Fu così che ella fu costretta ad abdicare in favore del figlio Giacomo VI (che aveva appena un anno) e a rifugiarsi presso la cugina Elisabetta, Regina d’Inghilterra, che l’accolse… ma per ridurla in prigionia: una prigionia che durò ben diciotto anni.
In realtà Maria faceva paura perché poteva legittimamente pretendere il Trono d’Inghilterra, in quanto Elisabetta era figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, la cui unione rimaneva illegittima per la Chiesa Cattolica.
Nel 1586 Maria venne coinvolta nella congiura di Babington, ordita per assassinare Elisabetta. Scoperti, i congiurati vennero immediatamente uccisi. Maria fu processata il 15 ottobre del 1587 e fu condannata a morte perché accusata di alto tradimento.
Ella si proclamò innocente, ma era chiaro che si voleva colpire un simbolo: malgrado il suo comportamento non fosse stato sempre adamantino, Maria non aveva mai nascosto la sua fede cattolica e la sua fedeltà al Papato e per questo era la speranza di molti cattolici che stavano subendo in Inghilterra feroci persecuzioni.
Al dottor Flescher, decano anglicano di Peterborough, che le si avvicinò per convincerla ad abiurare il Cattolicesimo, Maria rispose fermamente di voler morire cattolica. Disse di sentirsi come Cristo dinanzi ai farisei, si abbandonò totalmente alla volontà di Dio e dichiarò di perdonare i suoi carnefici. L’8 febbraio del 1587, il giorno fissato per l’esecuzione, si presentò con un abito di velluto rosso (il colore della Passione) e, appoggiando la testa sul cippo, allargò le braccia a forma di crocifissione.
Martire per la Fede
Maria Stuart uccisa in odio alla fede cattolica? Leggiamo cosa Papa Pio VI ha scritto su di lei nella sua Quare Lacrymae del 17 giugno 1793 ai nn. 3,4 e 5: «Maria Stuarda (…), come narrano molti storici, quante avversità dovette affrontare da questa sua rivale [Elisabetta] e dai facinorosi Calvinisti, che le portarono insidie e violenze! Spesso incarcerata, spesso soggetta agli interrogatori dei giudici, rifiutò di rispondere, dicendo che una regina deve rendere conto della sua vita solo a Dio.
Vessata continuamente e in tutti i modi, rispose, dimostrò l’infondatezza dei crimini che le erano stati attribuiti e provò la propria innocenza. Ma non per questo, tuttavia, i giudici si astennero dal compiere l’ingiustizia già premeditata e pronunciarono contro di lei la condanna a morte (…)».
Poi Pio VI cita Benedetto XIV e scrive: «Benedetto XIV nel terzo libro sulla Beatificazione dei Servi di Dio, cap.13, n.10, ragiona così su questo evento: “Se si dovesse istituire un processo sul martirio di questa Regina, processo che finora non è mai stato disposto, risalterebbe subito un’obiezione evidente contro il suo martirio, desunta dalla sentenza del processo e da tutte le calunnie che contro di lei hanno farneticato gli eretici (…). Ma se si esamina la vera causa della sua morte, che si riassume nell’odio contro la Religione Cattolica che ella sola, unica superstite, professava in Inghilterra; se si esamina l’invitta costanza con la quale respinse le proposte di abiurare la Religione Cattolica; se si osserva la forza ammirevole con cui sostenne la morte; se si tien conto, come si dovrebbe, che ella protestò prima della decapitazione, e nell’esecuzione stessa, che era sempre vissuta da cattolica e che moriva volentieri per la fede cattolica; se non si omettono, come non devono essere omesse, le evidentissime ragioni dalle quali emerge non solo la falsità dei crimini attribuiti alla regina Maria dai suoi oppositori, ma anche l’ingiusta sentenza di morte, fondata su calunnie ispirate dall’odio contro la Religione Cattolica, perché restassero immutabili i dogmi ereticali nel regno d’Inghilterra; allora si comprenderà che non manca nessuna condizione necessaria per affermare che il suo fu un vero martirio”».
Pio VI continua: «Sappiamo da Sant’Agostino che “non è il supplizio che fa il martire, ma la causa”. Per questa ragione Benedetto XIV si dichiarò propenso a ritenere vero martirio l’uccisione di Maria Stuarda. Egli si chiese “se per il martirio è sufficiente dimostrare che il tiranno fu mosso dall’odio contro la Fede di Cristo, anche se si attribuisce l’occasione della morte ad un’altra causa che non riguarda la Fede di Cristo o vi appartiene soltanto accidentalmente”. Risolse il caso affermativamente (…). Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall’odio contro la Fede, anche se l’occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede».
Autore: Corrado Gnerre
Fonte:
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Radici Cristiane n. 28 - Ottobre 2007
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