Carlo Emanuele di Savoia nacque a Torino il 24 maggio 1751, figlio maggiore Vittorio Amedeo III re di Sardegna e di Maria Antonietta infanta di Spagna. Timido e introverso, ebbe come precettore il barnabita e poi futuro cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil. Come era prassi, fin dalla tenera età, si pensò al suo matrimonio, due sue sorelle avevano sposato i fratelli più giovani del re di Francia Luigi XVI: Maria Giuseppina il futuro Luigi XVIII, Maria Teresa il futuro Carlo X. I negoziati stabilirono nel 1775, il matrimonio con la sorella di Luigi XVI, Maria Clotilde, nata nel castello di Versailles, di otto anni più giovane. Il matrimonio fu celebrato a Chambéry il 6 settembre 1775. Un matrimonio “politico”, purtroppo non ebbero il dono dei figli, ma i due sposi erano in realtà accomunati da una Fede profonda e da un fattivo sentimento di carità. Furono, ad esempio, impegnati in prima persona durante la carestia del 1788, facendo quanto possibile per alleviare le necessità del popolo. Entrambi si aggregarono alla Compagnia (Congregazione) di San Paolo cui fecero generose elemosine e in alcuni occasioni presenziarono alla distribuzione di viveri. Carlo Emanuele guardava all’esempio del suo avo, il Beato Amedeo IX, duca di Savoia. Come lui, tra l’altro, aveva una salute malferma. Con la consorte furono profondamente provati dalle notizie che giungevano dalla Francia, con dolore appresero, nel 1793, dell’esecuzione di Luigi XVI e della consorte Maria Antonietta. Quell’anno, con l’approvazione all’arcivescovo di Torino, anche se erano contrari alcuni membri della famiglia, Clotilde cominciò a indossare l’abito votivo della Consolata – veste turchina di lana - dal quale si asteneva solo nelle cerimonie ufficiali. L’anno seguente entrambi divennero membri del Terz'ordine domenicano col nome Carlo Emanuele di San Giacinto e Maria Clotilde di Santa Margherita.
Alla morte del padre, il 16 ottobre 1796, Carlo Emanuele salì al trono, ereditando, come lui stesso disse, una "corona di spine". Parte del Piemonte meridionale era stato ceduto, con l'armistizio di Cherasco, alla Repubblica francese, le finanze e l’esercito erano esausti. Suo malgrado, tra il 1796 e il 1798, fu oggetto di due congiure i cui responsabili vennero giustiziati. Nel 1798 accolse a Torino il suo precettore di gioventù, il cardinale Gerdil, in fuga da Roma, che pure era stata occupata dai francesi. Verso la fine di quell’anno Carlo Emanuele IV fu costretto a cedere altri territori, mantenendo la sovranità solo sulla Sardegna. Con la consorte dovette lasciare Torino, prima di partire si recarono per un’ultima volta al Santuario della Consolata, che tante volte li aveva visti raccolti in preghiera e partecipi alla solenne processione della festa. Una venerazione particolare Carlo Emanuele IV ebbe per la S. Sindone, di fronte alla quale sostò in preghiera, per ore, in quel triste giorno del 1798, prima di lasciare per sempre la sua città.
Giunto in Sardegna Carlo Emanuele annunciò delle riforme per l'isola e con Maria Clotilde stabilì rapporti con alcuni ex-gesuiti. Si attivò politicamente, come gli fu possibile, aprendo i porti alla flotta inglese, mentre l’esercito austro-russo liberava Torino. Decise quindi di lasciare l'isola, dopo un soggiorno di sei mesi, sbarcò a Livorno con la moglie il 22 settembre 1799, scoprì però che i russi avevano ceduto il Piemonte agli austriaci. Carlo Emanuele e Maria Clotilde si stabilirono presso Firenze, nella Villa di Poggio Imperiale, posta a disposizione dal granduca Ferdinando III. Carlo Emanuele vi incontrò Vittorio Alfieri che l’avrebbe poi definito: «Infelice e purissimo principe». Carlo Emanuele andò nella vicina Certosa a far visita all’ottantenne papa Pio VI, anch'egli costretto all’esilio. I francesi occuparono poi anche Firenze, spodestarono il granduca di Toscana, costringendo, da 1799, Carlo Emanuele e Maria Clotilde a viaggiare in diverse città d’Italia, alla ricerca di alleanze per poter ristabilire la loro sovranità. A Foligno incontrarono Pio VII, neoeletto papa a Venezia. Nel mese di luglio lo accompagnarono a Roma, stabilendosi poi a Frascati. Giunsero a Napoli il 25 novembre 1800, accolti con poco entusiasmo dalla corte borbonica. Alloggiarono in alcune locande, Clotilde trascorreva molte ore in preghiera nella chiesa francescana di S. Caterina a Chiaia e si iscrisse al Terz’Ordine francescano, trovando come consigliere spirituale il barnabita s. Francesco Saverio Maria Bianchi. Nel 1801, i due consorti trascorsero un mese a Roma per assistere
ai riti della Settimana Santa. Furono però costretti a far ritorno a Napoli, per sfuggire a un rapimento organizzato dai francesi. Maria Clotilde, dopo una grave malattia, a soli 42 anni morì il 7 marzo 1802. Fu sepolta nella chiesa di Santa Caterina dove il marito, conoscendone la modestia, fece edificare una semplice tomba. Di Maria Clotilde nel 1982 sono state riconosciute le virtù eroiche.
Carlo Emanuele, distrutto dal dolore, tornò a Roma dove il 4 giugno 1802, a Palazzo Colonna, abdicò a favore del fratello Vittorio Emanuele I. Condusse una vita ancora più austera, stabilendo stetti rapporti con i Gesuiti, in particolare con san Giuseppe Pignatelli che proprio in quegli anni si adoperava per mantenere in vita la sua famiglia religiosa sull’orlo dell’estinzione. Durante tutta la sua vita Carlo Emanuele fu legato alla spiritualità di S. Ignazio di Loyola, interessandosi della restaurazione della Compagnia di Gesù che era stata soppressa nel 1773. Mantenne una piccola corte, come ex monarca in esilio, ma donò anche buona parte dei suoi averi ai poveri.
L’11 febbraio 1815, all'età di sessantaquattro anni e quasi cieco, Carlo Emanuele fece il suo ingresso nel noviziato dei Gesuiti – ripristinati nel 1814 - presso la Casa di Sant'Andrea al Quirinale. Pio VII volle che pronunciasse i voti in forma privata. Vi trascorse gli ultimi anni della vita, dedito solo alla preghiera. Dalle biografie sappiamo che volle sempre fosse solennizzata la festa dell’Addolorata. Pochi mesi prima di morire ricevette la visita del nipote Carlo Alberto di Savoia, di cui era stato padrino di battesimo. Morì il 6 ottobre del 1819, fu sepolto con l’abito gesuita. Per volere del Papa i suoi funerali furono solenni, come previsto per i sovrani. Sul feretro furono posti la berretta da religioso, la corona e lo scettro. Fu sepolto presso l'altare maggiore della chiesa, il fratello Carlo Felice fece poi erigere un monumento funebre, la cui iscrizione fu dettata dal celebra latinista Carlo Boucheron. Le spoglie di Carlo Emanuele IV riposano quindi a pochi metri dal Quirinale, il palazzo che diventerà, nel volgere di qualche anno, la dimora ufficiale dei re d’Italia.
Carlo Emanuele IV affrontò le avversità della vita sostenuto sempre dalla Fede, distinguendosi per l’amore alla Chiesa per cui sempre si spese, come risulta dai suoi scritti.
Autore: Daniele Bolognini
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