“...ho fatto soltanto questa!”
Se l’era inventata davvero bella la piccola Donata - aveva solo otto anni e mezzo quando successe - per poter comperare e poi giocare con una nuova e bella bambola che una compagna di classe le aveva mostrato su un catalogo aggiornato.
Per fare in modo che la mamma non se ne accorgesse decise di prendere di nascosto i suoi soldi dal salvadanaio, di acquistare la bambola e di lasciarla in casa dell’amica con la quale quasi ogni giorno andava a giocare.
Il sotterfugio era stato deciso non tanto perché la mamma fosse contraria alle bambole, ma perché in casa ce n’erano già tante e il prenderne un’altra era una spesa inutile. Lo riconobbe subito anche Donata appena fu scoperta, ma con la stessa semplicità e sincerità, circa due anni dopo, testimoniò in una lettera ad un sacerdote amico, P. Ampelio Valentini, che “forse di marachelle ho fatto soltanto questa!”.
Del resto, di una bambina rimasta su questa terra per soli undici anni e mezzo, tra il 4 gennaio 1967 e il 31 agosto 1978, non si possono certo immaginare né grossi sbagli né miracoli, ma ci basta conoscerla come una bambina con i suoi difetti e con la sua fine sensibilità, che il dolore ha maturato in fretta sia nel carattere che nella fede, fino a diventare un esempio per tutti coloro che ne sentono raccontare la storia, come mi ha testimoniato per telefono la stessa sua mamma.
Alcune compagne di classe la ricordano, secondo la loro visuale di bambine, “senza difetti”, ma ci sono preziose le più realistiche testimonianze delle sorelle. La Cristina, di un anno più giovane, ci parla di un carattere molto brutto di Donata prima della malattia, e aggiunge: “Qualche volta tornava da scuola che era arrabbiata; ma non le si poteva chiedere niente altrimenti si arrabbiava ancora di più!”. E la sorella Carla, avanti di quattro anni, aggiunge: “Quando aveva la luna di traverso, era scontrosa e non parlava con nessuno”. E Donata stessa, molto espressiva nei suoi scritti più che con le parole, riconosce talvolta di essere una “brontolona” o una “fifona”, di “aver litigato” o di “aver disobbedito o fatto arrabbiare la mamma”.
“So di essere timida”
Figlia di Ferruccio e Caterina Ferrante, Donata era la quarta di sei fratelli, e passò tutta la sua breve esistenza a Carate Brianza, un grosso centro a nord di Milano, da cui dista 27 km.
Tutti coloro che l’hanno conosciuta parlano del suo carattere timido e anche lei, sempre sincera nella sua coscienza, non ha problemi a riconoscerlo come scrive in un tema: “Il mio comportamento con le altre persone, come diceva la maestra sulla pagella, è un po’ timido e so anch’io di essere timida...”. Ma la stessa maestra precisa che il suo silenzio non era assenza o distrazione, perché Donata si rivelava sempre attenta a tutto e a tutti, e ascoltava tutto quello che avveniva intorno a lei, partecipe di tutto, sempre.
Per il resto appariva una bambina normalissima come le altre. Le piacevano le stesse cose che piacciono a tutti i bambini della sua età: amava giocare, correre in bicicletta, guardare i cartoni animati alla televisione, ascoltare le canzoni, mangiare i dolci. Sapeva godere di ogni cosa che la circondava: della famiglia, del paese, della scuola e dei amici, della bellezza della natura, con i fiori e le piante e le montagne e la neve...
Neppure l’esperienza della terribile malattia che la portò in così poco tempo alla morte, riuscì a toglierle il suo entusiasmo per tutto quello che di bello e buono c’è nella vita. Nel Bollettino della parrocchia di Carate, in occasione della sua morte si trova scritto: “In lei non si affievolì mai (se non nei giorni dell’agonia) la grande passione per la vita”.
Un libro-ricordo
Tra le caratteristiche più evidenti di Donata va certamente elencata una straordinaria sensibilità, fatta di una attenzione e cura per ogni più piccola cosa che la circonda e per ogni fatto che le capita.
I suoi scritti si soffermano spesso a rilevare molti particolari che normalmente sfuggono ai bambini. E la sorella Carla ce ne parla così: “Non so se chiamarlo pregio o difetto, ma Donata aveva il vezzo di raccogliere e tenere tutto. Mi spiego: se mangiava una caramella e scopriva sulla carta un disegno grazioso, quella carta non la gettava, ma la metteva nel suo cassetto e la teneva. Faceva altrettanto con molte altre piccole cose, le più semplici e comuni, ma che per lei avevano un grande valore... guai, infatti, a chi gliele toccava!”.
Ma dobbiamo grazie proprio a questa caratteristica se la famiglia può custodire ancora un prezioso libro-ricordo della sua prima Comunione e della Cresima ricevute rispettivamente il 30 maggio 1976 e il primo maggio 1978.
Alla dedica della mamma che scriveva: “La tua vita sia sempre come questo giorno vicina a Gesù che è la vita”, Donata risponde con il suo proposito: “Sarò più brava ogni giorno, aiuterò la mamma e le sorelle e dirò sempre le preghiere”. E poi, invece di elencare i molti doni ricevuti a cui accenna, annota: “I genitori mi hanno regalato questo libro e si sono accostati con me a ricevere Gesù”. E ancora: “Col pensiero mi erano vicini tutti i miei cari e ho pregato Gesù per tutti loro”.
La Cresima la ricevette quando era già gravemente ammalata, addirittura con la febbre a 38.2 (per non essere diversa dalle sue compagne), ma lo stile schietto e di fede delle sue note è inconfondibile: “Oggi ho ricevuto lo Spirito Santo... Sono contenta”. E pur cosciente del suo preoccupante stato di salute, ecco il proposito: “Ti prometto, o Gesù: parteciperò sempre alla Messa, perdonerò chi mi offende e sarò brava con la forza dello Spirito Santo che mi hai dato”.
“Ho cominciato a sentire i dolori”
Lasciamo raccontare alla stessa Donata con una lettera del 22 giugno 1977 (in IV elementare) a P. Ampelio, l’inizio e lo sviluppo del suo male.
“Ho cominciato a sentire i dolori alla tibia il mese di ottobre (1976), ma erano pochi dolori che mi duravano qualche giorno e così non ci ho fatto caso. Poi una volta al mese mi ritornavano sempre più forti. Il medico pensava che fossero dolori reumatici; feci tutti gli esami e le radiografie e nelle radiografie risultò che avevo una periostite. Il medico mi disse di mettere una pomata e il ghiaccio, ma invece di guarire peggioravo. Quando il 22 aprile stetti male a scuola, il medico si decise di mandarmi dall’ortopedico”.
In realtà da giorni Donata non si sentiva bene, e il suo pensiero è subito rivolto a Gesù: “Oggi, martedì (19 aprile), a scuola mi è venuto il mal di testa e quasi quasi stavo male. O Signore, guariscimi dal dolore alla gamba!”.
La compagna Patrizia ci descrive quanto è successo a scuola quel 22 aprile: “Della mia compagna Donata ricordo il giorno in cui, per la prima volta, le venne il male alla gamba sinistra. Mi chiese di accompagnarla ai servizi, perché si sentiva tanto male. Allora io la presi per mano e l’accompagnai. Appena arrivammo ai servizi, ella si sedette per terra. Giunta in fretta la maestra, le chiese se stava meglio. Lei rispose di sì; ma dalla faccia si capiva che era molto stravolta dal dolore”.
Il 6 maggio è ricoverata per la prima volta in ospedale nel suo paese di Carate e già il 17 i genitori apprendono la tremenda sentenza: tumore osseo maligno alla tibia della gamba sinistra. Il 27 dello stesso mese iniziano le cure a Milano con la terapia al cobaldo, sperando di fermare il male e Donata nel suo diario prega: “Oggi, venerdì, ho iniziato ad andare a Milano a fare la cura. O Signore, dammi tu la pazienza di sopportare il mio dolore”.
“Le piaceva andare a scuola”
È la testimonianza concisa della sorella Cristina, che continua: “E quando doveva mancare le dispiaceva molto. Era brava, molto più di me... Ricordo che appena finito di mangiare, non aspettava nemmeno di iniziare la digestione che si metteva a fare i compiti, anche se la tavola non era ancora sparecchiata”.
Scrive lei stessa all’inizio della quinta: “Sono contenta di venire a scuola, per rivedere i compagni e le compagne, vedere dove è la nostra classe e se ha una bella veduta dalle finestre”.
La stessa testimonianza si potrebbe certo trovare in mille altri ragazzi al mondo, ma non si può dimenticare che per Donata si riferiscono alla quarta e quinta elementare in cui la malattia la stava consumando. È dunque ammirevole la forza di volontà che la guidò a sostenere gli esami di licenza elementare nel suo letto.
Volontà e malattia fanno guerra in lei: “Nell’intervallo della scuola non posso correre come gli altri bambini, perché devo stare attenta a non farmi male alla gamba!”. “...E non vado nemmeno al doposcuola, però mi piacerebbe tanto andarci...”.
Sono soprattutto però le riflessioni personali sulla scuola che ci svelano una meravigliosa maturità spirituale. In un tema troviamo cosa pensa della supplente con la quale in due giorni i bambini fecero molto poco oltre che giocare: “Per me, se fossero tutti i giorni così, non mi piacerebbe perché non si imparerebbe niente. E pensare che certi bambini dicono che sarebbe bello!”. Nel diario il suo segreto: “Oggi e domani c’è la supplente a scuola. A me è antipatica”. Ma poi aggiunge: “Signore, per te la mia supplente è simpatica. Aiutami ad amarla!”.
Con la maestra usa una parola grossa e si corregge: “O Signore, quando la maestra mi dà troppi compiti io la odio, ma mi accorgo che faccio male”. Con i compagni non solo è contenta di starci insieme, ma per loro prega! “O Signore, ti ringrazio delle compagne e compagni che mi dai”.
“Io spero di riuscire”
Certifica la maestra: “È sempre stata molto disponibile alla correzione”.
Queste parole ci permettono di scrutare meglio nell’animo della piccola Donata. Scrive in un tema: “Io spero di riuscire a vincere la timidezza, di amare anche chi non mi ama e di essere sincera”. E in una lettera a Padre Ampelio: “Io non mi sento molto bella; però so che Gesù mi ama lo stesso, e cerco di mantenere la mia anima bella come piace a Gesù”.
Più di dieci volte rinnova spontaneamente nel diario la sua preghiera-proposito di “fare la brava”: “O Gesù, aiutami a fare la brava!”, “O Signore, aiutami a fare la brava con tutti!”, “Devo fare la brava!”, “O mio Angelo Custode, aiutami a fare la brava!”.
Non viveva di illusioni Donata, perché sapeva benissimo, come abbiamo già notato, di essere pure lei capace di sbagliare, ma anche questo diventa un motivo di dialogo con il suo amico Gesù: “O Gesù, perdona tutti i miei peccati”, “O Signore, perdonami se non sono stata buona”, “Oggi, venerdì, mi sono confessata... O Signore, ti ringrazio del perdono dei peccati”.
Chi le avrà spiegato che il primo passo della vita spirituale è proprio quello di vivere liberi dai peccati?
Al Padre Spirituale scrive con candore: “Alla sera, quando dico le preghiere, penso sempre a cosa ho fatto durante il giorno e se capisco di aver fatto qualche peccato , chiedo perdono a Gesù”.
Ci è preziosa anche la testimonianza della mamma che ci svela come Donata avrebbe voluto che tutti vivessero con la stessa trasparenza spirituale: “Esortava anche le sorelle più grandi a confessarsi più spesso. Non per chissà quali peccati, ma anche per sentire quello che Dio vuole da noi e per essere più serene...”.
Le intuizioni dei bambini fanno scuola a tutti.
“Accetta le mie preghiere”
È commovente sfogliare il piccolo diario di Donata e scoprire l’importanza quotidiana che avesse per lei, bambina, la preghiera.
Leggiamo le sue espressioni tanto spontanee quanto belle: “Signore, ascolta le preghiere che ti dico alla sera”, “Accetta tutte le cose buone che ho fatto in questa settimana”, “O Signore, se è buio, rischiarami il cammino...”, “Signore, ti ringrazio di tutto quello che mi dai...”, “O Signore, ti ringrazio perché oggi la gamba non mi ha fatto tanto male”.
È concorde anche la testimonianza di chi l’ha conosciuta. Una compagna di classe certifica che “andava sempre alla catechesi, anche con la febbre, e veniva assieme a me e ad una compagna in chiesa a pregare, ogni martedì”. Il fratello Emmanuele aggiunge: “Agli inizi del mese di maggio cominciammo a dire il Rosario e lei era la prima a ricordarsene. Prima di dormire leggeva sempre qualche preghiera..., il Vangelo e gli Atti degli Apostoli”.
Se qualche volta si dimenticava di pregare o lo faceva male lo riconosceva con innocenza e si correggeva: “O Signore, perdonami, se non ho detto bene le preghiere”.
Le sue preghiere sono una meraviglia di candore: “O Signore Gesù, ti ringrazio perché sei morto in croce per noi”, “O Signore, ti ringrazio perché morendo in croce hai salvato gli uomini dalla morte”, “O Signore, entra nel mio piccolo cuore e portaci tutto il tuo amore”. La stessa limpidezza usa con la Madonna e con l’Angelo Custode: “O Maria, dammi la pazienza”, “O Maria liberami dal peccato, ti prego!”, “O Maria proteggici con tuo manto celeste”, “O mio Angelo Custode, fammi crescere una brava bambina”.
Sarebbero infine da riportare tutte le sue molte preghiere del grazie: “Oggi ho indossato la gonna che mi ha fatto la mamma e a me piace molto... Oggi il papà ha portato a casa la nutella: o Signore, ti ringrazio per il papà e per la mamma che mi hai dato”, “Grazie, o Signore, per tutti i fratelli che mi hai dato!”.
“Il mio male mi sembrava niente”
Già prima della sua malattia Donata, pur così piccina, si faceva certamente notare per il suo cuore generoso, attento ai bisogni di chi le stava intorno e di chi era meno fortunato di lei, ma il dolore la matura ancora di più.
Nel diario i suoi orizzonti sono senza confini; raccomanda al Signore e alla Madonna le persone povere e sole; quelle che hanno fame; le vittime dei rapimenti; i terremotati; le vittime degli incidenti aerei e i defunti in generale.
Sembra incredibile che una bambina alla sua prima esperienza in ospedale possa pensare agli altri: “Oggi, martedì: primo giorno che sono all’ospedale. Ci sono tanti bambini, di tutti gli anni, ammalati più di me. O Signore, aiutaci a guarire, ti prego”.
Si fa amica di un’altra bambina di nome Keria in ospedale e prega subito: “Il mio male mi sembra niente al confronto di quello che hanno gli altri. O Signore, aiuta la Keria!”.
Non meraviglia dunque di trovare nel diario anche espressioni di slancio missionario: “Oggi, mercoledì, sono andata al catechismo. Non so come, ma a me piacerebbe essere suora”. A distanza di quasi un anno ripete: “Oggi pregherò per tutti i lebbrosi. Signore, se vuoi serviti di me, mi farà missionaria!”; “Mi piacerebbe andare in Africa e in India, per aiutare tutti i lebbrosi, gli affamati e gli assetati. Però non ci andrei da sola, perché a me piace fare le cose insieme a qualcuno”.
Possono apparire i sogni di una qualsiasi bambina, ma Donata è anche molto concreta nella sua generosità: “Ogni domenica io offro qualche soldo in chiesa per le offerte”; “Oggi ho 38 di febbre. Ti prego, o Signore: accetta il mio dolore per la conversione dei peccatori”; “Ho passato una bella Pasqua, perché ho offerto a Gesù le mie sofferenze...”, “Signore, accetta questi piccoli fioretti...”.
“Sono pronta per Gesù”
Davanti al mistero del dolore anche i più sapienti di questo mondo devono rinunciare a dare una spiegazione, perché solo la fede ci può suggerire la risposta.
Donata nella sua semplicità sembra averla trovata: “È difficile capire il perché dobbiamo soffrire tanti mali e nello stesso tempo pensare che Gesù ci vuole bene; ma anche Gesù ha sofferto ed è morto per noi, lui che era il Figlio di Dio. Tutto questo mi spiega i nostri mali...”.
I dolori non le lasciavano tregua, ma il riferimento a Gesù era costante: “...delle volte ho dei forti dolori, come venerdì, sabato e domenica scorsa, quando mi sono venuti dei forti dolori alla testa e alle gambe; ho anche pianto molto, ma penso che Gesù mi voglia bene anche se piango”; “I dolori che ho sono tanti, e se Gesù me ne togliesse un pochino... Ma so che Gesù mi vuole bene sempre, anche quando ho i dolori”; “O Signore, ti dono tutti i miei mali; tu stammi sempre vicino, ti prego!”.
Le forti terapie, le degenze in ospedale, la terribile esperienza della caduta dei capelli, il caldo e la persecuzione quasi giornaliera del vomito nell’ultima estate avrebbe debilitato chiunque, e anche Donata, a momenti, subisce l’eccesso delle cure e diventa nervosa e inquieta.
Per questo la fa sembrare davvero eroica la testimonianza della mamma: “Donata è brava. È capace di sacrifici e rinunce, qualche volta più grandi di lei. Quando ha i dolori lei sa sopportare fino agli estremi; piange quando proprio non ne può più...”; e ancor più quella della sorella Chiara del 1° giugno 1978: “... Posso dire soltanto che ho una sorella meravigliosa! Quello che mi colpisce di più nel suo carattere è la forza di volontà che, a essere sincera, non ho mai trovato in nessuna altra persona. Poi la sua capacità di riuscire a non far pesare la sua malattia e le sue crisi, così dolorose, sulle persone che le stanno accanto. Molto spesso capita che di notte piange per i dolori che le vengono, ma lei, la maggior parte delle volte cerca di trattenersi per non svegliare noi che dormiamo nella stessa stanza, o di chiamar la mamma...”.
Va avanti così con tanto coraggio e fede fino al termine di agosto. Morì quando il 31 era appena iniziato.
Le ultime due paginette del diario, quelle del 27 e 28 agosto, sono stese dalla mamma a nome di Dona-ta: “Oggi sono stata veramente male. Continua il vomito e vomito sangue. È venuto don Sandro a portarmi Gesù...”; “Questa sera don Roberto mi ha portato l’Olio santo. Sono contenta e pronta per Gesù”.
Testamento a undici anni
Donata fece anche il testamento, che non ha davvero bisogno di commenti.
“Carate Brianza, 9 agosto 1978
So di dover morire e voglio che si facciano queste cose: tutti i miei vestiti ai bambini poveri; i miei giocattoli e le bambole all’Istituto dei tumori - VI piano - perché i bambini ricoverati possano avere da giocare.
Un ricordo anche ai medici che mi hanno curata, con un grazie per tutto quello che mi hanno fatto e che faranno per gli altri bambini. Io pregherò perché li possano guarire tutti.
La mia catenina alla mia mamma, con le immaginette. Allo zio la penna di alpino, alla nonna quello che vuole. Alle mie sorelle e fratelli, soprattutto di amare Gesù con tutta la loro vita e di essere sempre bravi; poi si dividano quello che rimane.
Al mio funerale non voglio corone di fiori, ma i soldi che si dovrebbero usare per i fiori, si diano alle Missioni dei Missionari Comboniani di Verona, perché possano aiutare i bambini poveri e ammalati.
La penna d’argento a mio papà, per dirgli grazie di avermi voluto bene. La mia coroncina a padre Ampelio, perché la Madonna lo aiuti sempre”.
Autore: fratel Claudio Campagnola
Fonte:
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Nazareth agli adolescenti e agli amici
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Note:
Per approfondire: Ampelio Valentini, Donata, editrice italia letteraria
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