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Guido Cenedella Giovane laico

Festa: Testimoni

Villanuova sul Clisi, Brescia, 10 febbraio 1943 - 11 agosto 1966


“Ho deciso”
Scrive don Gianni, il suo curato, nel diario: “La sera di San Giovanni Bosco del 1966, Guido venne da me e disse apertamente: “Mi dia la sua benedizione, perché ho deciso di sposarmi e venire così in missione””. “Non so chi quella sera parlava al mio posto - continua ancora il vice-parroco - ma ricordo che ebbi a rispondere così: “Non me la sento di darti la benedizione, perché questa non è la volontà del Signore”.
Il volto di Guido si fece scuro. Ebbe un senso di amarezza e di delusione, e spinto da uno sfogo sincero, tra le lacrime, esclamò: “A che valgono le mie preghiere? Ho pregato molto e ho rinunciato a tanti divertimenti. Sento che la mia vita è per la santità della famiglia. Non desidero altro. Per questo sono disposto a tutto””.
A queste parole don Gianni non poté che aggiungere: “Può darsi che tu abbia ragione, Guido, ma ora non è questa la volontà del Signore”.
Scoprire quale progetto abbia assegnato Dio alla nostra vita, dovrebbe essere l’interrogativo fondamentale della nostra esperienza terrena.
Guido Cenedella ne aveva fatto la ragione della sua giovinezza. Dalla risposta a questa domanda, quale era il disegno di Dio su di lui, dipendeva tutta la sua serenità, tutto il suo entusiasmo, tutta la sicurezza dei suoi successivi passi.
Scrive Guido stesso in una lettera: “Spesse volte da piccolo mi dicevo che volevo diventare prete per poter andare sicuramente in paradiso. Poi, con gli anni, ho aperto gli occhi al mondo, e questi sogni innocenti mi andarono dispersi...”.

Semplice e... ricco
Guido non era un adolescente immaturo per scelte tanto importanti, ma un giovane di 23 anni, nato a Villanuova sul Clisi (BS) il 10 febbraio 1943, primogenito di Pietro ed Elisabetta Albertini.
A chi non lo conobbe, un suo amico, Angelo, lo descrive così: “Era un tipo molto aperto e comunicativo. Era un giovane che ha lasciato un segno profondo, anche perché era un tipo così semplice e così ricco che entrava in dialogo con tutti e da tutti si faceva voler bene. Aveva una carica di simpatia a livello spontaneo e naturale che creava immediatamente un clima di confidenza con lui”.
Non portato per lo studio, appena dopo la quinta elementare, come tanti al suo tempo, comincia a lavorare come apprendista in una ditta di muratori, e questo gli bastava per occupare buona parte della sua giornata.
Ma quel che più contava per lui era il cammino di fede. Divenuto solo un po’ più grande, prima di recarsi al lavoro, alle sei del mattino, lo si trovava in chiesa per la Messa e la meditazione; mentre alla sera dopo il lavoro eccolo di nuovo in chiesa per un altro po’ di preghiera.
Don Gianni lo ricorda quando lo vide nel 1961 per la prima volta: “Era un giovane dal comportamento semplice, di poche parole e dai molteplici gesti, un giovane dalla volontà tenace. La statura e le mani rudi lo presentavano come un lavoratore infaticabile; con le parole si dichiarava appassionato dello sport, e dalle domande lasciava trapelare il desiderio di essere un atleta nella vita spirituale. Quando giunsi a Villanuova, Guido tra i primi, si presentò all’oratorio e da allora, ben poche volte, egli mancò...”.

Nel ‘pio squadrone’
Attorno al nuovo curato, giunto a Villanuova nel 1961, si raduna un gruppo di giovani, che aiuteranno don Giulio in ogni iniziativa. Sono Angelo, Enzo, Gino, Giuseppe, Odrara, Franco e Guido; e poi Anna, Teresa, Innocenza, Luciana e Zemira; lo chiameranno il ‘pio squadrone’, perché tutti si faranno notare oltre che per il loro entusiasmo, anche per il loro particolare impegno religioso: non mancavano mai di recitare quotidianamente il rosario.
Saranno i catechisti della parrocchia, gli animatori dell’oratorio, gli organizzatori del carnevale del paese. E tra di loro c’era un’amicizia invidiabile: “Dopo l’impegno dell’incontro si usciva tutti in gruppo - testimonia Zemira - e si continuava a parlare, poi si scherzava, si schiamazzava, si gridava beatamente fino a mezzanotte, stando sempre in mezzo alla strada”.
Un particolare fervore si creava nel gruppo quando si trattava di organizzare la giornata missionaria: “La giornata missionaria era preparata nel corso di un intero mese. Si facevano cartelloni a mano. Ci si preparava ogni sera stando all’oratorio. Si organizzavano raccolte...”.
Nel gruppo Guido era senza dubbio uno dei più attivi e  deciso nella sua testimonianza di fede. Lo prova, fra altri fatti, quanto successe in una novena di Natale.
Nel gruppo era sorta l’iniziativa di un regalino per ognuna delle 800 famiglie del paese e, prese dal lavoro, le ragazze non parteciparono alla Messa. Per questo si videro arrivare Guido che fece loro una predica interminabile, per dire che la Messa era infinitamente più importante di quei regalini, che la gente prima o poi avrebbe gettato nella pattumiera!

L’idea di farsi missionario
Tra gli argomenti di dialogo del ‘pio squadrone’ c’erano ogni tanto anche i progetti sul futuro: chi diceva una cosa, chi sognava un’altra.
Angelo passò dalle parole ai fatti e partì per il Seminario; Enzo invece entrò in un istituto per diventare missionario.
Guido rimaneva ancora molto incerto e quando decise di chiedere l’esonero dal militare era troppo tardi. La sua cartolina era già stata spedita e il 18 novembre 1963 dovette partire per la caserma di San Giorgio di Cuneo. Ma è proprio nei primi giorni della sua lontananza da casa, in un ambiente apparentemente così inadatto, che matura di diventare anche lui missionario.
Purtroppo la decisione, confidata per lettera al suo curato, viene risaputa per un malinteso in tutto il paese e quindi in via indiretta anche in famiglia, dove il padre è ammalato e si contava molto su di lui. Guido, assai sensibile, ne soffrì terribilmente versando lacrime amare, tanto più per aver sentito che la sua mamma aveva pianto.
Guido dunque riprese in mano carta e penna e scrisse: “Cara mamma! So che hai sentito dire da diverse persone quello che io avevo in mente di fare. A dirti il vero io non ho mai avuto il coraggio di dire niente in casa, perché sapevo che avrei dato a te e a tutti un grande dispiacere. Questa idea di farmi missionario è sorta in me con grande entusiasmo, e lo volevo dire solo quando ne ero davvero sicuro...
So che questo ti reca molto dispiacere, ma credo di essere pienamente convinto di quello che ho deciso di fare.
Ora ti prego, mamma, di perdonarmi, e di essere fiera della mia decisione”.

“Faccio il segno di croce”
Di Guido è stato testimoniato che “non faceva mistero con nessuno della propria fede”. Anche i quindici mesi di vita militare non misero in crisi né la sua fede né la sua decisione di prepararsi ad essere missionario.
Tornato per un congedo in paese dopo il Natale, gode che tutti gli facciano i complimenti per la sua scelta, e si rallegra che anche in famiglia in clima si sia rasserenato.
In caserma il cappellano lo sceglie come suo attendente e questo gli permette di partecipare alla Messa tutti i giorni; mentre personalmente non non manca mai di recitare il rosario.
Il contatto stretto con gli altri militari che hanno una mentalità e un comportamento ben diversi dai suoi, non lo influenza minimamente, anzi diventa un motivo per essere ancora più fedele a se stesso.
Scrive a don Gianni: “Cerco solo di compiere il mio dovere di buon cristiano e, con l’aiuto del Signore, anche quello del buon soldato, anche se talvolta vengo deriso dai commilitoni per certi miei comportamenti. Per esempio quando faccio il segno di croce prima del pranzo. Questo a casa mia non l’avevo mai fatto, ma me l’avevo proposto ancora prima di partire, e fino dal primo giorno di vita militare ho sempre dato il buon esempio. Ogni tanto c’è qualcuno che mi dice se ci sono le mosche da far scappare dalla faccia... Io non me la prendo mai. Faccio un sorriso e dico: “Non farò nulla di male!”.
Devo però constatare che, malgrado tutto, mi vogliono tutti bene, e credo che anche nei loro cuori non manchi la bontà, e che siano un po’ chiusi a causa del rispetto umano...”.

Prove di forza

Il 3 febbraio 1965 Guido scrive sul diario: “Oggi è il giorno della mia partenza. Lascio, con uno strappo al cuore, il mio cappellano, il fratello Elia e la caserma dove, in mezzo a tristezze, ho avuto molte gioie”.
Tra le molte gioie, oltre alla soddisfazione di essere stato coerente con la propria fede, che era per lui la cosa più importante, e l’aver lavorato anche come muratore, e aver incontrato delle belle amicizie, ci fu senz’altro anche la gioia di una medaglia d’oro.
Guido era di una tempra e di una forza veramente eccezionali, e questo lo faceva tanto simpatico agli occhi di chi godeva della sua bontà. Un cugino, Claudio, racconta pieno di meraviglia: “Un giorno, per più di un chilometro, ha trasportato sulla spalla un tronco d’albero che pesava non meno di un quintale e mezzo!”.
A questa volontà d’acciaio si aggiunga la sua passione per lo sport e in particolare per le corse. In una gara tra i reggimenti di tutto il Piemonte Guido arriva per primo vincendo la medaglia più preziosa. Nella sua carriera ha collezionato una cinquantina tra medaglie e trofei e l’alloro di campione provinciale C.S.I. di corsa campestre.
Un giorno entrato in un bar del paese dopo l’incontro in oratorio, uno sfaccendato scommette ventimila lire su di lui se è capace di arrivare a Brescia entro due ore e mezza. Guido ci pensa un po’ e la sera dopo, al termine della sua intensa giornata di lavoro è pronto per la sfida. Non ha le scarpe da ginnastica, ma i scarponi da montagna; si fa il segno della croce e parte tra due file di ammiratori, giungendo al traguardo in un’ora e trentuno minuti!

Missionario o sposato?
In attesa dell’inizio del nuovo anno scolastico per poter riprendere gli studi e diventare missionario, Guido rafforza il suo impegno di preghiera e di generosità con tutti. Mentre lavora da muratore prega il rosario e gode di cantare canzoni alla Madonna. La S. Messa, ormai in italiano dopo il Concilio Vaticano II, diventa il suo appuntamento immancabile: vi partecipa due volte la settimana e la domenica si offre per le letture in tutte quattro le Messe. In oratorio è il punto di riferimento di tantissimi ragazzi.
Ma in un pomeriggio di giugno di quel 1965 avviene un fatto inatteso, anche se nel suo cuore non aveva mai escluso l’idea. Scriveva Guido nelle sue lettere a don Gianni: “Sognavo una bella famiglia numerosa, una casa tutta per me, dove potevo allevare in serenità i miei figli. Una idea bella, grande e molto importante...”. E ancora: “In passato desideravo tanto trovarmi la ragazza per poter con lei concentrare tutti i i miei pensieri. Mi pareva la più bella cosa per me...”.
In quel pomeriggio dunque passato a mangiare un gelato con Zemira, il cuore si lega per un’amicizia particolare: i due si sono guardati negli occhi e si sono innamorati. Cosa fare ora? L’idea della missione non lo abbandonava, ma anche la strada del matrimonio gli sembrava quella giusta.

“Anche se dovessi morire”
I mesi successivi a quell’incontro vedono Guido sempre alla ricerca del progetto di Dio sulla sua vita. Va pellegrino fino a Lourdes; si consiglia con vari sacerdoti, si ritira per una settimana a Montecastello per gli esercizi spirituali, parla e prega con Zemira la quale è tormentata: “Per causa mia tu non vai più prete, e stai facendo un’altra scelta”.
Sono settimane intense di sofferenza e di preghiera. Una volta una zia gli disse: “Guido, tu stai più in chiesa dei preti”. E Lui rispose: “Sai, ho un po’ di problemi. Risolvo i miei problemi con la preghiera”.
Ma finalmente torna il sereno: un padre saveriano lo assicura che la sua strada è proprio quella che sente in cuore, ossia diventare un missionario laico. Da quel giorno per lui è tutta una corsa, e lo si vede felice più che mai.
Il suo programma era di partire con il curato per Kiremba in Burundi, dove la diocesi di Brescia aveva aperto una missione, rimanerci un anno e poi tornare e sposarsi; quindi ripartire anche con Zemira per l’Africa.
Il bollettino parrocchiale ne dà l’annuncio a tutti: “Guido ha deciso di porre a servizio delle missioni e della Chiesa un anno della propria vita”.
Il 10 agosto, nove giorni prima della sua partenza, salutando Zemira che si reca in colonia al mare, esprime così la sua gioia incontenibile: “Anche se ora dovessi morire, non mi importerebbe proprio niente! Pensa, se morissi davvero adesso, quanta gente verrebbe al mio funerale! Tutti direbbero: doveva partire per l’Africa, invece eccoli lì morto!”.
Il giorno dopo una scarica elettrica, per l’uso improprio di un trapano, lo investe e lo uccide di colpo.
Buon per lui che ripeteva spesso: “A me non interessa se devo morire improvvisamente, anche adesso. Io sono in grazia di Dio e non ho nessun problema di fronte alla morte”.


Autore:
fratel Claudio Campagnola


Fonte:
Nazareth agli adolescenti e agli amici


Note:
Per approfondire: Luigi Bresciani, La folgore colpisce la seconda volta, ed. La Rosa

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Aggiunto/modificato il 2012-09-07

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