Erede del proprio figlio
Quando muore un giovane di ventiquattro anni, è chiaro che la testimonianza concorde di parenti e amici tende a sottolineare oltre che i bei momenti passati insieme con lui, che rimangono nel cuore come un nostalgico ricordo, anche e soprattutto il grande dolore per una perdita senza dubbio prematura.
Ad accrescere la sofferenza sta il fatto che la sua partenza è stata improvvisa e inattesa, nonché da attribuire allo sbaglio dei medici che non hanno saputo diagnosticare in tempo una pur grave embolia polmonare.
Sono tante le persone che, su invito del padre, hanno voluto scrivere una pagina di ricordo di Salvatore, quasi a riconoscere i meriti di una vita ricca di esempi positivi, che restano per sempre di stimolo ad impiegare la propria vita puntando sempre in alto.
Ma fra il materiale raccolto in sua memoria, a soli due anni dalla morte, e che ora è pubblicato sottoforma di libro-ricordo, direi che merita di essere riportata la singolare testimonianza dello stesso genitore, il signor Emanuele: “Io sono forse un papà anomalo. Ho ereditato tutto da mio figlio Salvatore e lui rimane per me un fulgido esempio di cammino che porta a contemplare il volto di Cristo... Nella mia vita sono stato preso sempre da interessi lontani alla chiesa e alla salvezza e Salvatore è riuscito a farmi ‘fregare’ proprio da Dio”.
Per dare importanza a queste parole bisogna tener conto che lo stesso padre per un certo periodo non credeva alle scelte del figlio, non ne condivideva il comportamento, e anche se non lo avversava direttamente, rimaneva sempre dubbioso.
Solo la coerenza quotidiana di Salvatore ai suoi impegni e l’immancabile sorriso del volto riuscirono a convincere tutti coloro che gli vivevano vicino che lui stava percorrendo la strada giusta.
Positivo e simpatico
Salvatore Zuppardo era nato a Gela (CL) il 30 maggio 1974 da Emanuele e Russella Giuseppina. Dopo di lui a rallegrare la famiglia venne la sorella Linda.
Crebbe come tutti i bimbi sereno e felice, frequentando la parrocchia per il catechismo e arrivando alle tappe della prima Comunione il 5 maggio 1984 e della Cresima il 12 maggio 1987. Dopo il cammino della prima formazione cristiana, Salvatore continuò ad avere nella Parrocchia e nell’oratorio dell’Istituto salesiano ‘Sr. Teresa Valsè’ i suoi costanti punti di riferimento.
Suor Carmela Rosa ne dipinge il ricordo che le rimasto in mente e che fotografa i suoi tratti già caratteristici fin dalla fanciullezza:”Ho conosciuto Salvo all’età di sei anni, quando si apprestava a varcare la soglia della prima classe della scuola elementare. Apparentemente timido, rivelò subito la sua capacità di volere e di riuscire ad ogni costo, la sua innata generosità, amabilità e affettuosità”.
Dal punto di vista umano si trattava di un ragazzo dotato di originali talenti. Gli piaceva scrivere e comporre poesie, amava dipingere, e quando divenne grande non disdegnò di imparare anche a suonare il flauto traverso. A undici anni, nel 1985, in occasione della mostra pittorica “Sperone d’Arte” ricevette anche un premio per un suo lavoro di pittura. I suoi quadri poi, realizzati anche in età più matura, diventavano un motivo di generosità, perché ne faceva dono ad amici e conoscenti.
Per quanto riguarda il suo cammino scolastico, dopo il ciclo delle medie, frequentò un istituto tecnico diplomandosi come perito chimico.
Tutte queste caratteristiche ‘vincenti’ gli hanno sempre assicurato una larga cerchia di amici che lo trovavano immancabilmente positivo e simpatico.
Un perfezionista?
Fra le caratteristiche che meglio evidenziano la personalità di Salvatore è da ricordare la sua innata sensibilità per le cose fatte bene.
Non è raro fra i giovani trovare ragazzi che in fatto di pulizia e ordine lascino alquanto a desiderare, o per lo meno non siano troppo esigenti. Lui invece ebbe sempre il gusto di una finezza quasi eccessiva. Qualcuno lo avrebbe chiamato addirittura un perfezionista, ma in lui era una esigenza che gli sgorgava dal cuore. Puntava sempre al meglio e non ammetteva imperfezioni. Anche nel vestire era elegante, distinto, pulito a più non posso, e non si accontentava mai delle imitazioni.
Quando talvolta lo vedeva cambiarsi il vestito più di due volte al giorno, il padre era costretto ad arrabbiarsi e gli si può giustamente dar ragione, ma Salvatore non se la prendeva e rispondeva con una richiesta di perdono e con il sorriso, quasi a testimoniare che non poteva farne a meno.
Con la stessa sensibilità per tutto ciò che è bello e ammirevole, Salvatore sapeva incantarsi davanti alle meraviglie del creato. Gli piaceva pure andare a cavallo, ma il contatto con la natura soprattutto lo faceva contento: nel suo cuore tutto acquistava un grande valore, anche quelle realtà che per tanti sono semplicemente ovvie, naturali. Forse per questo non disdegnava in qualche fine settimana, in cui era libero dal lavoro, di passare qualche ora con gli amici in qualche agriturismo, a più stretto contatto con il verde.
Sapeva leggere al di là del semplice dato, sapeva riflettere, sapeva dar rilievo ad ogni occasione di incontro, ad ogni momento della giornata. Per lui tutto era importante. Testimonia la sorella Linda: “Ogni giorno si svegliava con mille cose da fare, come se Dio gli avesse assegnato innumerevoli missioni”.
Un amico ideale
La singolare cura per la sua persona e per le sue cose, non deve indurre a pensare che Salvatore fosse un narcisista, uno che pensasse solo a se stesso.
Al contrario, la sua profonda esigenza di puntare sempre al massimo e di guardare sempre al lato migliore delle cose, gli permetteva di regalare a tutti un sorriso (e quanti lo ricordano unicamente per il suo sorriso!), ed era motivo di attrazione di tanti amici che lo consideravano un leader, un ‘capo’, un esempio per tutti.
Il coro delle testimonianze raccolte dopo la morte è perfettamente omogeneo. Mery, un’amica di ospedale di Verona, dice: “Salvatore era il ragazzo più ottimista che ho mai conosciuto”; Carmelo, un cugino, aggiunge: “Aveva una dote innata nel riuscire a dare serenità alla gente e a far sorridere anche quando le cose non andavano molto bene, perché trovava in tutto, anche nelle circostanze poco felici, le parole giuste per tirarti su di morale e riusciva a trovare sempre una soluzione ad ogni problema”. Marianna, con la quale era fidanzato da circa un anno, confida: “Era un ragazzo dall’energia e dalla gioia di vivere invidiabile. Questa positiva energia che riusciva a trasmettere faceva di lui l’amico che tutti avrebbero voluto, lui che tanto faceva ridere con le sue spiritose battute”.
Da ultimo l’osservazione di un altro cugino, anche lui di nome Salvatore: “Mio cugino aveva tutto, aveva la macchina, aveva la moto, aveva qualsiasi cosa che si potesse avere, ma questo in lui non era un “avere assoluto”, poiché sarebbe bastato che lui si accorgesse che ti mancava qualche cosa che te lo avrebbe dato dalle sue cose. Questo perché tutte le sue cose, anche le più preziose, nulla avevano di prezioso per lui, proprio perché lui sapeva... che niente sulla terra può durare per sempre”.
Nella Comunità delle Beatitudini
Dopo la maturità Salvatore cercò un impiego nel mondo del lavoro e lo trovò momentaneamente come distributore pubblicitario a nome di una scuola universitaria e contemporaneamente come cameriere in un ristorante. Poi, finalmente, nel 1997 entrò nello stabilimento petrolchimico dell’eni nella sua città.
Ma quello che maggiormente segnerà la sua crescita umana e cristiana fu l’incontro, all’età di circa vent’anni, con la Comunità delle Beatitudini. Lesse le opere del fondatore, frère Efraïm, tuttora vivente, che aveva dato avvio alla sua opera nel 1973 a Lisieux in Francia. Quindi decise di entrare in una delle sue Comunità, a Pettineo (ME), dove rimase un anno intero.
Con la stessa Comunità nel 1995 partecipò ad un raduno internazionale di giovani a Lisieux e lì conobbe lo stesso fondatore che gli regalò un crocifisso da tavolo che tenne sempre molto caro nella sua camera.
Al termine di quell’anno, che spinse pure il padre ad un rinnovato cammino di fede, Padre Joseph, responsabile della Comunità siciliana, invitò Salvatore a farsi testimone di quanto aveva ricevuto nella sua parrocchia.
Con evidente sofferenza, perché avrebbe voluto continuare quel cammino, Salvatore accettò queste disposizioni, e si dedicò con tutto il cuore a trasmettere quanto aveva scoperto in un anno di intenso cammino spirituale. Ne parlava in casa ai genitori e alla sorella, ne parlava in parrocchia, ne parlava con gli amici.
E sempre a seguito di questo entusiasmo, per meglio animare le celebrazioni liturgiche del gruppo di preghiera nel quale si era inserito, si iscrisse ad una scuola di musica per imparare a suonare il flauto traverso.
La successiva scoperta di un disturbo alle corde vocali lo portò attraverso vari ospedali fino all’operazione del 1998 a Verona.
Pietre preziose
Una ricaduta dopo un mese dall’operazione, e l’errore diagnostico dei medici, causarono l’esito fatale: Salvatore morì il 30 novembre 1998.
Ma quel che più conta, al di là della disgrazia, è il modo in cui Salvatore viveva con fede i suoi momenti difficili. Aveva come tara ereditaria anche un disturbo alle articolazioni che gli causava periodicamente grandi dolori. Ma in questo si rivela davvero un grande: non lo faceva pesare a nessuno, non se ne lamentava mai.
Ricordano due amiche: “Totò non ci ha mai detto nulla, mai una parola sui suoi problemi... Pensava a godersi la vita minuto per minuto, attimo per attimo, come se ogni istante potesse essere l’ultimo”. Patrizia, un’altra amica degli ultimi suoi mesi di vita, ne ha questa fotografia: “Totò era fatto così, sdrammatizzava i nostri ‘grandi’ problemi, ci rendeva piccoli... era sempre sorridente, a ognuno di noi dava dei nomignoli affettuosi, aveva sempre di che scherzare, non diceva mai se stava male, se aveva paura di qualcosa, lui dava se stesso agli altri e non parlava mai di sé”.
Tra le pagine di un diario in cui Salvatore annotava pensieri raccolti o originali, poesie o citazioni bibliche, leggiamo: “La sofferenza è un dono. Essa è la strada che ti avvicina a Dio e alla serenità”; “Cos’è una piccola sofferenza sopportata con gioia quando penso che per tutta l’eternità si potrà amare più perfettamente il buon Dio?”.
A Mery, appena operata e conosciuta all’ospedale di Verona lascia spontaneamente un biglietto: “Un giorno giunti davanti al Signore avremo sul capo una corona adornata di pietre preziose, tra cui le più belle saranno: le sofferenze, le ferite, le prove sopportate con amore”.
Muore rivolgendosi al padre con queste parole: “Prega tu ora per me, papà, io non ci riesco più per il grande dolore”.
Autore: fratel Claudio Campagnola
Fonte:
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Nazareth agli adolescenti e agli amici
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Note:
Per approfondire: Nostalgia d’Infinito, Ed. Centro di Cultura e Spiritualità “Salvatore Zuppardo”
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