Rosa Giovannetti nacque a Roma, nel popolare Rione Regola, il 16 ottobre 1989 ultima dei quattro figli di Ettore Giovannetti, avvocato particolare di papa Leone XIII. Rosina, come viene chiamata affettuosamente in famiglia, nasce assai gracile tanto che viene battezzata in casa. Bimba di temperamento vivace, ama esibirsi nella recita di poesie in romanesco e mostra di avere inclinazione per la musica; comincia a prendere lezioni di pianoforte e violoncello tanto che a dieci anni tiene con successo il suo primo concerto. Ottenuto il diploma di scuola media si iscrive al Conservatorio musicale di Santa Cecilia; in modo particolare si dedica allo studio del violoncello, diplomandosi nel 1918. Le vacanze estive le passa ad Anzio: è una appassionata del nuoto, dei tuffi e delle gire in barca. Adolescente e signorina, appassionata della musica e dello sport, si impone tra le coetanee della buona borghesia per la gioiosa socievolezza, la semplicità e dolcezza del carattere e il fascino della sua bella voce.
Orfana di padre, la mamma è la sua guida saggia e sicura nell’educazione così come nel trasmetterle il gusto per le pratiche di devozione domestica e per la fedele partecipazione alla messa domenicale. Come era norma dell’epoca, riceve la Prima Comunione a 14 anni, nel 1910. Nel 1915 si prodiga con la madre per assistere gli sfollati vittime del terremoto di Avezzano. Durante gli anni della prima guerra mondiale mette il suo talento artistico a servizio di iniziative patriottiche in favore delle famiglie dei soldati. Per tutta la vita Rosina offrirà gratuitamente la propria partecipazione artistica in diverse chiese e luoghi della città per iniziative di carattere religiose e benefico. Nel 1920 è assunta stabilmente nell’orchestra del Teatro Costanzi (dell’Opera). Dopo la sua morte, una rivista musicale scriverà che la Giovanetti: “aveva conquistato nel mondo artistico della capitale larga reputazione per le sue squisite doti di musicista… e per il gusto unito alla magnifica tecnica”.
La carriera nel mondo dello spettacolo è per Rosina il mezzo “Per portare Gesù dove non c’è”. Una volta, mentre veniva applaudita al termine di una sua esibizione, la si sentì dire: “Sia tutto per Gesù!” La sua religiosità fedele e semplice non ebbe mai ad essere mortificata dalle distrazioni della vita mondana: l’arte è per lei il personale modo di rendere lode a Dio. Scrive: “Il violoncello, i concerti? … Fa’ o Signore, che io mi serva di questo tuo dono solamente per cantare le tue lodi e per farti lodare. Non a me gli onori, ma a Te, autore di ogni grazia”.
Alla sua formazione spirituale contribuisce molto la lettura assidua delle vite dei santi, persino durante gli intervalli dei suoi concerti. Tali esempi di santità la spingono a dedicarsi sempre più agli altri, specialmente ai sofferenti. Fin dal 1917 la Giovannetti si era iscritta fra le Dame di Carità e si era unita alle infermiere che operavano gratuitamente e volontariamente nel quartiere del Testaccio, allora fra i più miserabili di Roma. Dapprima osservò le prescritte visite settimanali agli infermi poveri nelle loro case, poi, a contatto con tante indigenze, moltiplicò la sua presenza e le sue delicatezze. Dopo la esperienza del viaggio-pellegrinaggio a Lourdes nel 1923 come crocerossina, si iscrisse al corso di infermeria presso l' Ambulatorio-Scuola San Giuseppe: al termine del tirocinio, ottenne il diploma con buon esito dell'esame teorico-pratico (20 maggio 1925). Due volte la settimana si recava all' ambulatorio dei poveri, dove si distinse -secondo la testimonianza della Direttrice -«per lo spirito di abnegazione che la portava a prestare le sue cure ai malati più sudici e ripugnanti, tanto che a volte dovetti intervenire perche andasse anche dagli altri...».
Un'altra persona attesta: «Avevo un figliolo gravemente infermo: come dire quanto Rosina fece per lui? Andava spesso a visitarlo e sapeva infondergli tanta serenità; da lontano gli scriveva lettere affettuose e confortatrici; lo seguì fino alla morte». Un altro signore ricorda con commozione l'assistenza di quella signorina «prima alla moglie, poi alla figlia di 19 anni, sempre con grandissimo conforto e sollievo morale. Mai potrò dimenticare la visione di Rosina in ginocchio per terra, che prega per loro con gli occhi rivolti al cielo». Numerosi sono gli episodi che rivelano l'eroica donazione di lei nella cura degli infermi: dall'attenzione alla persona a tutti i suoi problemi. E si trattava di paralitici, handicappati, tubercolotici, cancerosi, tisici, colpiti da meningite, dal diabete, coperti di piaghe... un vero campionario di miserie fisiche e di dolori. La Giovannetti, minuta e gracile, era lì, biancovestita e pallida, ma col sorriso sulle labbra, pronta ad ogni opera buona, incurante dei pericoli e delle ripulse. Un'amica rammenta il fatto di una vecchia degente, -che era antipatica a tutti per il
suo carattere scontroso e assai ripugnante per la malattia che la consumava: Rosina la avvicinò superando se stessa, e con le carezze, le gentilezze, i regali riuscì a conquistarne l'amicizia e la riconoscenza. Verso i bambini e i malati cronici andavano tutte le sue predilezioni: portava loro dei dolci, dei fiori, qualche libro. A parecchie famiglie dava delle somme di denaro, medicinali e soccorsi di ogni genere. Benche spesso ritornasse dal Teatro Costanzi stanca e a tarda ora, al mattino Rosina era in piedi prestissimo: dopo la Messa, faceva una veloce colazione in un bar con un' amica, quindi si recava in certe case di poveri con elemosine e doni nella borsa; vi si tratteneva affabilmente, lasciando ovunque un raggio della sua bontà. Non stupisce quindi che, di fronte a questa apostola di carità, tutti nutrissero ammirazione e stima: gli uomini, anche i più rozzi, la salutavano con rispetto, si controllavano nel parlare, si toglievano il cappello, quasi timorosi di non essere abbastanza gentili. E pregava così: «Fa', o Signore, che io mi serva del dono di essere la tua piccola infermiera, non per gli onori degli uomini, ma per il solo fine di curare Gesù, visitarlo e consolarlo, per portare le anime a Gesù per mezzo della carità».
E' particolarmente devota di S. Teresa di Gesù Bambino e si farà promotrice della costruzione del santuario di Anzio in onore della piccola carmelitana di Lisieux. A vent’anni si affida alla guida di un direttore spirituale, si accosta quotidianamente alla Comunione; ogni giorno un’ora di meditazione e due esami di coscienza; un ritiro spirituale mensile e annualmente un corso di Esercizi spirituali. Un amore così fervente la portò a farsi «zelatrice» del Sacro Cuore: un culto assai diffuso a Roma e che, fino al 1916, ebbe il suo Centro nazionale proprio nella chiesa di S. Carlo ai Catinari. Rosina ricevette dal suo parroco, il barnabita padre Mario Giardini, futuro arcivescovo di Ancona, il diploma di Segretaria dell' Apostolato della Preghiera, impegnandosi a osservarne gli statuti e, in particolare, a promuovere la consacrazione delle famiglie al Cuore di Gesù. Per meglio vivere lo spirito di questa devozione, frequentò i corsi di istruzione tenuti presso la chiesa del «Gesù» dai padri Aloisi-Masella, Venturini e Genovesi e lei stessa, il 10 luglio 1921, si era consacrata nella cappella del S. Cuore. Nel 1926 la vediamo tra le fondatrici del centro dell' Apostolato della Preghiera nel quartiere del Testaccio, dove la Giovannetti era già conosciuta dalla gente per le sue opere di carità. L'anno seguente venne eletta Presidente in riconoscimento del suo impegno e, quando morì, il Centro di Santa Maria Liberatrice al Monte Testaccio fu intitolato al suo nome. In qualità di zelatrice, aveva l'incarico di diffondere la devozione specialmente tra i giovani della parrocchia, di portare nelle case la pagellina mensile dell'Apostolato della Preghiera. Approfittava di queste occasioni per fermarsi a parlare di Dio e lo faceva con tale convinzione ch' era sempre un piacere ascoltarla. Racconta una signora: «Due volte ho persino lasciato bruciare le pietanze perche, trattenendomi con la signorina, dimenticai il tegame sul fuoco. Talvolta capitavano mio marito e i ragazzi ed essi pure si fermavano ad ascoltare Rosina».
Nel 1921 diventa Terziaria francescana. Nel 1922 si offre vittima di espiazione per la santificazione dei sacerdoti e per la conversione dei peccatori. Nel 1923 col permesso del padre spirituale emise il voto temporaneo di castità, rinnovato poi annualmente. Partecipa intensamente all’apostolato nella sua parrocchia di S. Carlo ai Catinari, nella Gioventù di Azione Cattolica femminile e nell’Apostolato della Preghiera per la propagazione del culto di riparazione al Cuore di Gesù. Si iscrive contemporaneamente a molteplici associazioni cattoliche di volontariato riuscendo a compiere perfettamente tutti gli obblighi sottoscritti: “Sono nata per far del bene”. Devotissima del santo rosario per due volte si reca in pellegrinaggio alla Madonna di Pompei. Nel 1927 è pellegrina in Terra Santa; durante quel mese di pellegrinaggio è l’animatrice dolce e solerte dei canti e della preghiera comunitaria. La sua anima è particolarmente colpita dalla visita all’Orto degli ulivi, rimanendovi tutta una notte in preghiera, quasi presagio del calvario che poco dopo avrebbe dovuto affrontare.
Nel maggio 1928, mentre partecipa agli Esercizi spirituali, il suo corpo comincia a coprirsi di bolle che poi scoppiando lasciano sulla pelle delle piaghe: nome scientifico “Penfigo”, malattia all’epoca inguaribile e mortale. Rosa giunge così al momento che ella stessa definisce “l’ora triste e spaventosa” del Getzemani: il primo ottobre 1928 è ricoverata nell’ospedale San Gallicano in Trastevere, da dove uscirà dopo quattro mesi dentro ad una bara bianca. Sempre sorridente e paziente, alle infermiere che ogni mattina detergono le sue piaghe, causandole dolori indicibili, lei le ringrazia promettendo di pregare per loro. Muore il 30 gennaio 1929 all’età di 32 anni.
All'annuncio della morte della Giovannetti, il barnabita padre Gussoni, ultimo confessore della giovane, inviò subito alla famiglia di lei più che una lettera di condoglianze, delle parole che hanno il sapore delle antiche relazioni in onore dei martiri e delle vergini. La salma venne trasportata nella chiesa di S. Carlo ai Catinari e deposta per un giorno nella cappella dell' Annunciazione: si formò un pellegrinaggio di popolo, compresi moltissimi bambini, per l' estremo saluto. Chi sostava in preghiera e nei ricordi: chi toccava il feretro con devozione; altri vi poggiavano le corone del Rosario: tanti fiori e tante lacrime. Alle esequie, era il primo venerdì del mese, 1 febbraio, la chiesa si riempì di fedeli: c' erano i poveri del Testaccio insieme con i parrocchiani, amiche e conoscenti, in prima fila la madre, le sorelle e il fratello. Sulla tomba di famiglia, al cimitero del Verano, fu posta questa eloquente iscrizione: «Visse cristiana - soffrì da martire - morì da santa».
La sua memoria, anzichè affievolirsi, andò crescendo con gli anni, grazie anche ai ricordi e agli scritti dei familiari e dei conoscenti. Nel 1963 è stato aperto il processo di beatificazione della Serva di Dio Rosa Giovannetti la cui salma nel frattempo fu traslata nella sua parrocchia di San Carlo ai Catinari, nella cappella di Santa Cecilia, patrona dei musicisti, sepolta in un sarcofago del V secolo proveniente dalla necropoli vaticana.
“Ti ringrazio, mio Dio, di avermi illuminata a conoscere che solo fare in tutto la Tua volontà è vera santità” (Rosa Giovannetti).
Autore: Maurizio Palomba SDB
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