Sul Mar Baltico, con Estonia e Lettonia, si affaccia la Lituania, con le sue chiese bellissime, la sua gente fiera, la sua lunga Tradizione Cattolica. A Erzvilkas, in Lituania, il 21 ottobre 1921, da buona famiglia cattolica, nacque Isidoro Lileika.
Crebbe buono e studioso. Amante della sua patria, ancora di più innamorato di Gesù solo, tanto che, studente di liceo, quando si pensa soprattutto a godere la vita che sboccia, sentì la voce di Dio che lo chiamava a consacrarsi a Lui nell’Ordine di S. Domenico di Guzman, l’Ordine dello studio, della contemplazione e della predicazione del Verbo di Dio.
Isidoro seguì questa voce divina sempre più suadente: "Lascia la tua terra e va’…". Lasciò la sua patria amata e venne in Italia a intraprendere il noviziato e gli studi teologici. Nel convento dei Padri Predicatori a Chieri (Torino) vestì il bianco abito di S. Domenico e, sotto la guida del Maestro, P. Feliciano Gargiulo, dotto ed esemplare, compì l’anno di noviziato.
In quel periodo, tra il 1939, nel convento di Chieri era passato un piccolo "angelo in carne", Fra Candido Poggi (al secolo Sergio, di La Spezia, dove era nato nel 1923), un fratino "santo" per ardore di amore a Gesù e per la sua carità fraterna, andato incontro a Dio, non ancora 17enne, il 12 aprile 1940, in "profumo di santità".
Sulle orme di fra Candido, anche Isidoro, diventato alla vestizione fra Benedetto, si distinse per il suo fervore, il suo amore al Signore Gesù e la sua intensa devozione alla Madonna del Rosario. Solo in unione a Gesù, fra Benedetto ventenne poté superare la purgante nostalgia per la Lituania e per la sua famiglia lontana. Così, il 12 aprile 1941, offrì a Dio i santi voti, che già lo configuravano a Gesù, vergine, obbediente e povero nell’Ordine "cherubico".
Con molto entusiasmo, iniziò gli studi in preparazione al sacerdozio, guardando alla "meta" del santo Altare con tanti sogni di apostolato, anche quello di ritornare nella sua terra d’origine, a radicarvi sempre più la Fede cattolica, nonostante la tormenta del comunismo ateo e omicida, che sotto il tallone di Stalin, imperava dovunque.
Anche in Italia, erano anni durissimi di guerra, ma "occorre soltanto avere un’immensa fiducia nel Signore Gesù che può tutto e nella Madonna che prepara sempre tempi nuovi per il Figlio suo". Ma fra benedetto, il lituano biondo dagli occhi azzurri, diventò presto tanto fragile di salute. Dopo appena un anno di teologia, condotta sulla Summa di S. Tommaso d’Aquino il sommo insuperabile Teologo, dovette interrompere gli studi e accettare più tardi di lasciare il convento e i suoi confratelli, per essere ricoverato nella casa di cura "S. Luigi" di Torino.
La croce era davvero "legnosa", durissima, la malattia ai polmoni lasciava poche speranze di guarigione. Fra Benedetto soffriva, pregava sempre più a lungo e offriva: per il momento, era quello "il sacerdozio" singolare che Dio voleva da lui. Si affidò alla Madonna, riempiendo il tempo del dolore con interminabili Rosari, per sé, per l’Ordine Domenicano, per la Chiesa e per la santificazione dei sacerdoti.
Quando ormai non c’erano più speranze di ripresa, egli trovò per grazia di Dio, un’ammirabile serenità e si conformò sempre di più all’offerta di Gesù sulla croce: volle essere sempre più suo, rassomigliargli fino all’olocausto di se stesso con un desiderio sempre più forte diventare sacerdote nonostante tutto, prima di morire, anche se gli mancavano gli studi richiesti dalla Legge della Chiesa.
Sperando contro ogni speranza, fra Benedetto chiesa con insistenza di essere ordinato ai Superiori dell’Ordine e tramite questi, al Santo Padre: "Lo chiedo nel Nome di Gesù, come supremo conforto, per celebrare il Santo Sacrificio della Messa per tutti i sofferenti, per unire la mia sofferenza al Sacrificio di Gesù per tutta la Chiesa".
Il suo Maestro, il P. Giacinto Bosco, informò del suo ardente desiderio il Generale dell’Ordine P. Martino Stanislao Gillet (1875-1951), il quale subito chiese la dispensa al Papa. Il Venerabile Pio XII la concesse subito: "Che fra Benedetto possa andare in Paradiso sacerdote in eterno. Se invece guarirà, come gli auguriamo e preghiamo, compirà dopo gli studi… E che preghi e offra anche per me".
Era l’autunno del 1947, proprio quando il Santo Padre Pio XII si accingeva a pubblicare una delle sue più insigni encicliche, la Mediator Dei che uscirà il 20 novembre 1947, a illustrare la mirabile dottrina cattolica del santo Sacrificio della Messa e del sacerdozio che è sempre ordinato a offrire questo sublime Sacrificio di Gesù. Il santo Pontefice intravvide, nella sua singolare lucidità, che il giovanissimo Domenicano, ammalato e vicino a morire, che Lui conduceva all’altare tramite un suo indulto, sarebbe stato, in quei giorni e per sempre, come un’icona vivente, anche con il suo dolore, dell’essere sacerdote e ostia con Gesù, sommo ed eterno Sacerdote e Vittima divina per la gloria del Padre e per la salvezza del mondo.
Il 9 novembre 1947, nella cappella della casa di cura, Mons. Giovanni Battista Pinardi, Vescovo ausiliare di Torino, ordinò sacerdote per sempre fra Benedetto Lileika, che si reggeva a fatica, in una memoranda funzione in cui egli commosse e edificò centinaia di suoi compagni di malattia, infermieri, medici e suore, con la sua pietà e la sua grande forza d’animo. I confratelli domenicani che poterono essere presenti, studenti o sacerdoti, chiesero a P. Benedetto di ricordarli nella sua prima Messa a Gesù e gli affidarono la loro missione.
P. Benedetto celebrò la sua prima Messa con il santo Vescovo (oggi Mons. Pinardi (1880-1962) è "servo di Dio" avviato alla gloria degli altari), confondendo le sue lacrime di dolore e di gioia con quelle dell’Ordinante e con il Sangue di Gesù, offerto sull’altare.
Gli restavano poche settimane di vita e una manciata di forze. Tuttavia si avverava il suo sogno: sebbene con estrema fatica, compì l’azione più sublime che esista sulla terra e nei cieli: sul letto diventato altare, celebrò tutte le volte che poté la S. Messa, unendo il totale sacrificio di se stesso a quello di Gesù immolato tra le sue mani tremanti.
Ripeteva con un filo di voce, ma sempre più ardente; "Che io sia davvero una cosa sola con Te, Gesù, per la tua gloria e il tuo trionfo, per la Chiesa, per la mia patria la Lituania, per i miei confratelli. Ricompensa il Santo Padre con tutte le tue benedizioni".
Nella notte tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1947, si aggravò e ricevette gli ultimi Sacramenti, rispondendo con piena lucidità a tutte le preghiere del rituale. Volle vicino a sé il suo Padre Maestro, affinché lo aiutasse a ben morire. A lui che gli chiedeva come si sentisse, rispondeva: "Sono ormai vicino alla meta".
Il 3 dicembre 1947, a mezzogiorno andò incontro a Dio: 26 anni appena di età e tre settimane di sacerdozio! Eppure anche lui poté dire: "Tutto è compiuto" (Gv 19,30), perché nella Chiesa, egli era stato con Gesù Crocifisso, l’offerta e l’amore che adora, espia e redime. Aveva realizzato alla lettera, anche nel suo fisico, il richiamo che il Vescovo ordinante dà come un comando consegnando l’Ostia e il Calice, al momento dell’ordinazione, al nuovo sacerdote: "Vivi il mistero che è posto nelle tue mani e sii imitatore del Cristo immolato per noi". Così P. Benedetto Lileika era stato, con Gesù, un piccolo "mediator Dei". Missione compiuta. Sufficit nobis.
Autore: Paolo Risso
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