Luigi Pessina nacque a Lecco il 6 giugno 1883, quinto dei sei figli nati dal matrimonio fra Carlo Pessina, falegname, e Claudia Milani, sarta e stiratrice.
L’importanza della preghiera era ben presente in quella famiglia: ogni mattina i genitori, appena alzati, recitavano l’Angelus, poi andavano alla prima Messa della giornata. Nei giorni di precetto, anche quando cadevano in settimana, vi portavano i figli, sebbene l’assenza da scuola per motivi religiosi andasse segnalata. Un giorno, quando la signora Claudia accompagnò Luigi per giustificarlo, disse chiaramente al preside che non avrebbe mai visto suo figlio a scuola nei giorni riservati al Signore.
Al pomeriggio la madre recitava ad alta voce il Rosario, mentre si occupava del proprio lavoro a domicilio. Al termine delle Ave Maria, suggeriva alcune semplici intenzioni: per il Papa e i vescovi, ma anche per i soldati e i prigionieri. Così i piccoli di casa imparavano, a poco a poco, ad allargare i propri orizzonti di preghiera.
Luigi trascorse un’infanzia tranquilla, consapevole dei propri doveri scolastici e religiosi. In prima elementare si guadagnò un Diploma di lode di primo grado, anche grazie alla sua indole curiosa, che lo faceva riuscire soprattutto nelle materie scientifiche. Durante le vacanze, insieme al fratello Giuseppe, s’improvvisava naturalista, compiendo piccoli esperimenti e ricerche, grazie ai quali imparò a vedere il Creatore anche in un filo d’erba o in una goccia d’acqua, come confidò più avanti. In parrocchia, invece, era impegnato come chierichetto; fu quel servizio a fargli capire che Dio voleva da lui il dono di tutta la propria vita.
Così, nell’ottobre 1897, fece il suo ingresso nel Seminario Arcivescovile di Milano. Risultò sempre fra i migliori studenti, soprattutto in matematica; addirittura, a volte correggeva i suoi insegnanti. Fra di essi vale la pena di ricordare il futuro fondatore delle Suore Misericordine di San Gerardo, il Beato Luigi Talamoni, docente di Lettere al Ginnasio presso la sede di Monza.
Il chierico Luigi non profondeva tutto sé stesso solo negli studi, ma anche nella preparazione delle feste in Seminario, a tal punto che, mentre frequentava il Liceo, si ammalò di polmonite. Curato tempestivamente dalla mamma, che lo fece riportare a casa da Monza, si riprese in fretta, ma era ancora debole. S’impegnò ugualmente nello studio, per non perdere l’anno, e ci riuscì, spinto dal desiderio di essere un vero sacerdote.
Le tappe verso l’altare si succedevano rapidamente: ricevette gli Ordini minori nel 1902 (Ostiariato e Lettorato l’8 giugno, Esorcistato e Accolitato il 20 settembre), mentre il 19 dicembre 1905 divenne suddiacono. Il 10 marzo 1906 fu ordinato diacono e, il 9 giugno, sacerdote. Celebrò la sua Prima Messa, al termine della quale benedisse le nozze di sua sorella Maria, il 10 giugno, nella chiesa di Castello sopra Lecco.
I superiori, notata la sua inclinazione verso l’educazione della gioventù, pensarono di destinarlo al Collegio Rotondi di Gorla Minore, ma vi rimase per pochi mesi, per ragioni di salute. Fu quindi trasferito nella parrocchia di Visino, una frazione del comune di Valbrona, in provincia di Como. Seguito dalla sorella Carolina come domestica, all’epoca quattordicenne, venne benevolmente accolto dal parroco, don Gaetano Orsenigo, e dalla sua donna di servizio, Maria.
Da subito aprì la sua casa ai ragazzi del paese, in attesa di realizzare un oratorio tutto per loro, cosa che avvenne nel giro di un anno. Come tanti preti degli oratori ambrosiani, detti anche coadiutori, si arrangiava a fare un po’ di tutto, perfino lo scenografo per il teatro dell’Oratorio. La sua preoccupazione maggiore, in realtà, era trasmettere la fede ai piccoli, come dimostra la gara catechistica organizzata nell’ottobre 1913, in occasione della Visita Pastorale dell’Arcivescovo, il Beato cardinal Andrea Carlo Ferrari.
Fu proprio Ferrari a destinarlo, il 15 ottobre, come Assistente dell’Oratorio presso la parrocchia di Sant’Andrea a Milano, situata in via Crema 22, nel quartiere di Porta Romana. L’ambiente non godeva di una buona fama: nel giro di cinque anni, si erano succeduti tre sacerdoti, che avevano tentato di correggere gli indisciplinati ragazzi. Nonostante i parrocchiani di Visino avessero organizzato una raccolta di firme per farlo restare, don Luigi obbedì all’Arcivescovo e partì di notte, per non farsi vedere.
Il 1 novembre 1913 arrivò per la prima volta a Sant’Andrea. Potenziò ciò che già esisteva, in particolare la scuola parrocchiale, il teatro e il gruppo sportivo di pallacanestro, ma fu particolarmente attento a quanto concerneva il servizio all’altare e al Santissimo Sacramento: «La pietà eucaristica era la sua passione», dichiarò successivamente Carolina, che continuò a seguirlo.
Negli anni della Grande Guerra l’Oratorio continuò a funzionare. Don Luigi teneva corrispondenza con tutti i suoi giovani sotto le armi e, se qualcuno moriva, aveva l’incombenza di riferirlo ai familiari. Alla domenica, però, doveva anche fungere da cappellano militare a Bedero, in Val Travaglia.
Gli strapazzi fisici e le sofferenze personali (il 28 giugno 1913 era morto il padre, il 28 novembre 1921 la madre) lo fecero ammalare di polmonite. Dopo un ricovero alla Clinica San Giuseppe di Milano, abbreviato grazie alle preghiere dei suoi ragazzi, il parroco, monsignor Domenico Bernareggi, lo mandò in convalescenza a Camogli.
La sua attività in Oratorio continuò fin quando monsignor Bernareggi venne nominato Vicario Generale dell’Arcidiocesi Ambrosiana. A sorpresa, il coadiutore divenne suo successore: il 27 giugno 1943, quindi, fece il suo ingresso a Sant’Andrea, stavolta come parroco. Quella nuova fase del suo ministero non iniziò nel migliore dei modi: i bombardamenti della Seconda guerra mondiale causarono danni ingenti alle strutture parrocchiali, ma l’unico a non cedere fu proprio don Luigi, sempre vicino alla sua gente. Al termine del conflitto, si diede alla ricostruzione materiale e delle coscienze. La carità che già visse da coadiutore si espresse nell’accoglienza verso tutti i poveri, gli sfollati, i barboni, cui restituiva la dignità umana dando loro del “voi”, anche se loro gli si rivolgevano col “tu”. Cercava subito di risolvere i problemi relativi al lavoro, soprattutto di quelle persone in reali difficoltà.
La sua attenzione per i giovani non venne meno: continuò a indirizzarli verso una vita non mediocre e ad alcuni prospettò l’ingresso in Seminario. Molti di essi, oggi professionisti e padri di famiglia, ma anche sacerdoti, continuano a tenerlo in altissima considerazione.
A livello diocesano ricoprì numerosi incarichi, a cominciare da quello di censore delle pellicole cinematografiche. Inoltre, da presidente della Fondazione Oratori Milanesi (FOM), fu fermamente convinto dei concetti che espresse in un testo datato 2 giugno 1955: le attività dell’Oratorio devono esistere «sempre in funzione di quella educazione cristiana, che deve essere ricordata sempre: all’Oratorio si viene per servire nella gioia del Signore e camminare così verso la gloria e la felicità». Il 29 giugno 1956, alla cessazione del mandato, venne nominato presidente d’onore. Espressione del suo amore per la montagna, infine, fu la cura e la direzione della casa alpina “Pio XI”, di proprietà della Diocesi.
Nel frattempo, la vasta parrocchia di Sant’Andrea reclamava una succursale: nel 1951, quindi, venne eretta la cappella intitolata a Maria Regina Mundi, al piano terra di un palazzo in via Salasco 7. Era una casa di Dio fra quelle degli uomini, come ad anticipare il “Piano Montini” per le nuove chiese di Milano.
Il 27 aprile 1956 don Luigi venne insignito, in occasione del suo cinquantesimo anniversario di Ordinazione sacerdotale, del titolo di Prelato Domestico di Sua Santità e nominato in pari tempo Monsignore. Rifuggì il più possibile dagli onori che la carica comportava, ma il suo popolo era felice per lui.
La gioia di quella gente si tramutò in tristezza quattordici anni dopo: il 15 agosto 1968, appena alzato alle 5 del mattino, come usava tutti i giorni, monsignor Pessina venne colpito da paralisi. Conservò lucidità e la parola fino a sera, mentre nel frattempo era stato ricoverato in ospedale. Fu riportato a casa undici giorni dopo, per morirvi, attorniato dalla fedele Carolina, dai suoi sacerdoti e da molti parrocchiani, alle 5:30 del 26 agosto 1968. In quel momento, un pellegrinaggio parrocchiale, a cui avrebbe dovuto partecipare, giungeva a Lourdes. A succedergli come parroco fu don Giacomo Biffi, poi Cardinale Arcivescovo di Bologna, che comprese subito l’eredità che doveva raccogliere.
Mercoledì 25 settembre 1968, a meno di un mese dalla sua scomparsa, il Servo di Dio papa Paolo VI, che conobbe don Luigi quando era Arcivescovo di Milano, accennò al suo «animo sempre giovanile» durante un’Udienza Generale sul tema «Dare Cristo alla gioventù», a cui partecipava anche una delegazione di giovani ambrosiani. Il 3 dicembre, invece, l’Amministrazione Comunale di Milano gli conferì alla memoria la Medaglia d’Oro di Civica Benemerenza.
I resti mortali di monsignor Luigi Pessina vennero inizialmente sepolti presso il cimitero milanese di Musocco. Il 1 giugno 1980, dopo una sosta nella cappella Maria Regina Mundi e una veglia in Oratorio, furono poi traslati nella chiesa di Sant’Andrea, precisamente nella navata di destra, prima dell’altare del Santissimo Sacramento.
Il suo ricordo non è mai venuto meno in parrocchia, tanto che i suoi “ragazzi”, ormai nonni e bisnonni, hanno ottenuto la dedicazione in suo onore, l’8 dicembre 2012, di un giardino pubblico situato dietro la chiesa, tra le vie Giulio Romano e Livenza. Così sperano di non far morire l’impegno di un sacerdote e educatore che ha servito, fatto più unico che raro, la medesima comunità per cinquantacinque anni di seguito.
Autore: Emilia Flocchini
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