Padre Lodovico, al secolo Antonio Acernese, nacque a Pietradefusi (Avellino) il 14 aprile 1835. I suoi genitori: Giuseppe e Teresa Petrillo, gente benestante dei campi, sana e religiosissima. Dotato di peculiari doti di mente e di cuore; carattere vivace e schietto, volontà intraprendente e ingegno acuto, P. Lodovico già da fanciullo sentì l’inclinazione al sacerdozio. Nel 1849 entrò nel seminario diocesano di Benevento, retto allora dai Padri Gesuiti, dove ricevette una solida formazione teologica e filosofica. Alla scuola del canonico Sanseverino e del P. Liberatore, divenne uno dei più fervidi rappresentanti del pensiero cattolico nella lotta accesa del suo tempo contro l’invadenza degli errori filosofici e sociali.
Nel 1855, terminati gli studi liceali, lasciò il Seminario e s'iscrisse ai corsi di Giurisprudenza in Avellino. L'anno seguente abbracciò l'Ordine Cappuccino. Vestì l'abito francescano nel giugno 1856, fu ordinato sacerdote il 18 giugno 1859 nella cattedrale di Napoli dal cardinale Sisto Riario Sforza, a 24 anni di età. Fu avviato alla vita cappuccina dal servo di Dio P. Tommaso da Miarianella, che da Maestro dei Novizi gli trasfuse tutta la sua fedeltà allo spirito serafico di preghiera, di povertà, di penitenza. Fu religioso integerrimo, tutto proteso verso la realizzazione dell’ideale francescano nella vita personale e comunitaria.
Rivelatosi ben presto di grande ingegno e santità di vita, fu maestro, superiore, professore di filosofia, poeta, scrittore e conferenziere illustre. Pubblicò centinaia di articoli dignitosi e apprezzati su Periodici regionali e nazionali, come Civiltà Cattolica, Annali Francescani, l’Eco di S. Francesco. Diede alle stampe diversi volumi di discorsi e conferenze e un trattato di filosofia, che meritò l’alto compiacimento del Papa Leone XIII, il Pontefice dell’enciclica Aeterni Patris. Molte altre opere rimaste manoscritte, inedite, tra cui emerge l’originale e vivace trattato di logica. Egli scrive e pubblica una trentina tra libri e opuscoli. Predica senza sosta in tutti i paesi e città della Campania, è instancabile nella sua attività, che affonda le radici nella preghiera, nello studio e nell’ascesi tradizionale più rigida.
Predicava e scriveva per un profondo bisogno della spirito, per riversare sui fratelli la pienezza esuberante della sua vita interiore, per esprimere il suo profondo tormento apostolico e l’intima commozione del suo sentimento religioso. Ingegno poliedrico, passava con la stessa freschezza e agilità dalla filosofia alla teologia e all’apologetica, dalla trattazione morale alle intuizioni della mistica e dalla storia alla poesia.
Scrisse e pubblicò molte poesie italiane e carmi latini, apprezzati per la sincera ispirazione, il gusto, la genialità, specie quando inneggiano a Maria, contemplazione sublime del suo spirito e passione purissima del suo cuore ardente.
All'epoca della generale soppressione dei conventi, fu destinato al convento di Sant’Egidio, in Montefusco, limitrofo del suo paese di origine Pietradefusi, dove si trasferì verso la fine del 1865. Riuscì a conservare all’Ordine detto Convento di Sant’Egidio e ivi rimase stabilmente per quasi un ventennio, ricoprendo per lunghi anni la carica di guardiano.
Dato il suo prestigio personale, nell'aprile 1885 con Bolla diretta del Ministro Generale fu nominato Provinciale della Provincia Napoletana, che versava in stato di abbandono e di inerzia a seguito della recente soppressione. Nella sua prima lettera pastorale, con umile sincerità, presentare ai frati dispersi dalle leggi laicistiche del nuovo Regno di Napoli, un quadro della sua vita intensa di preghiera e di apostolato durante il triste periodo della soppressione degli Ordini Religiosi:
«Per l’abbondanza della vita spirituale, Padri e Fratelli dilettissimi, come avvenne la soppressione delle nostre case, noi, ultimi tra voi, non ci siamo messi addentro agl’interessi secolareschi, non siamo per la grazia di Dio tornati indietro. La nostra vita non si nasconde; voi lo sapete. Ci siamo raccolti con la benedizione dei Superiori, sopra un Monte, cui appellano Fusco, ma per noi non è stato fusco; è stato raggiante di luce che viene da Lassù. Quel monte è stato la nostra piccola Alvernia: vi abbiamo orato, vi abbiamo studiato e vi abbiamo spiegato un’azione religiosa, morale e civile. A’ pie’ di quel monte sta la nostra nascente istituzione per la gloria di Dio e di san Francesco e per il bene della S. Chiesa e della società».
Il triennio del suo provincialato fu una rinascita, un generale risveglio tra i Cappuccini napoletani.
Allo scadere della sua carica di Provinciale, fu rimandato a Montefusco con la nomina di Padre Guardiano.
Rimasto solo nel convento di Sant’Egidio in Montefusco, dove rimase appena come rettore della Chiesa conventuale, il P. Lodovico passò dalla vita contemplativa all’azione apostolica e sociale. Nella lotta che doveva sostenere la Chiesa di allora, si affermava l’urgenza di organizzare l’apostolato dei laici, di formare il laicato alla santità. Pio IX aveva benedetto gli albori dell’Azione Cattolica e Leone XIII faceva appello al Terz’Ordine Francescano per rinnovare la vita cristiana dei fedeli e risolvere la questione sociale. P. Lodovico intuì l’attualità di questo orientamento, lo fece suo e lo sviluppò con tutti i mezzi che ebbe a disposizione. E mentre una valanga di accuse, di sarcasmi e di calunnie calava sulla vita monastica, il P. Acernese riusciva ad attirare nella solitaria e vecchia Chiesa cappuccina folle di anime ed a queste anime, che innamorava della perfezione evangelica, sapeva offrire il primo e classico strumento di santificazione e di apostolato nel mondo: il Terz’Ordine Francescano. In pochi anni istituiva e formava ad una vita cristiana fervente le Fraternità Terziarie di Montefusco, Pietradefusi, Monteaperto, Montemiletto, Montefalcione, Santa Paolina, San Giorgio del Sannio, Passo, Venticano, Taurasi, Mirabella, Bonito Lapio.
Da questa felice intuizione ed efficace applicazione dell’attualità del Terz’Ordine Francescano, il P. Lodovico giunse all’opera che doveva costituire la missione principale della sua vita, la fecondità perenne del suo apostolato, la sofferenza più profonda e prolungata e la gloria più alta della sua storia: la Congregazione delle Suore Francescane Immacolatine.
La sensibilità ai problemi sociali del suo ambiente gli aveva fatto aprire una scuola elementare nel convento di Ant’Egidio in Montefusco, che aveva affidata al confratello P. Gabriele da Dentecane, per 40 anni maestro di tutta la zona circostante, riconosciuto e decorato dall’autorità civile di medaglia d’oro.
Ma il P. Lodovico aveva avvertito che urgeva una istituzione vasta e duratura per formare le ragazze, le “figlie del popolo”, che allora cominciavano ad essere prese di mira dalla società laicizzata. Il Signore gli mandò le anime predestinate, prima fra tutte la giovane Teresa Manganiello di Montefusco, che nel 1873, si recò dal Sommo Pontefice Pio IX per esporgli il piano di fondazione del novello Istituto. Il Sommo Pontefice edificato dal fervore e dalla umiltà della giovane terziaria, l’accomiatò con queste consolanti parole: «Benedico il tuo santo proposito, il P. Direttore, le sue opere e la nascente Congregazione».
La benedizione del Pontefice incoraggiò gli animi e fu il più felice auspicio dell’opera progettata. Il P. Lodovico pensava di mettere a capo della nuova famiglia religiosa la giovane terziaria Teresa Manganiello e cominciò a scrivere la “Piccola Regola” per il progettato Istituto. Ma Dio dispose diversamente. Teresa muore il 4 novembre 1876, a 27 anni, “proclamata santa da tutto un popolo per le sue virtù”.
La morte prematura di Teresa Manganiello fu come la caduta del chicco di grano; il suo esempio fece germogliare le vocazioni e rassodò il progetto di una nuova famiglia religiosa.
Il P. Lodovico andò avanti coraggiosamente, divenne audace, anche se l’opera progettata appariva irta di difficoltà. Completò la “Piccola Regola” per le sue Suore, che ebbe una lusinghiera elogio dall’amico P. Lodovico da Casoria e, il 4 novembre 1880, l’approvazione del Ministro Provinciale dei Cappuccini di Napoli, P. Feliciano da Sorrento. Il 2 agosto 1881 l’Arcivescovo di Benevento, Camillo Siciliano Di Rende, riconosceva la nuova famiglia religiosa, confermandone il fine particolare: la formazione cristiana e professionale delle figlie del popolo.
«L’8 dicembre 1881 segnò l’atto di nascita della Congregazione delle Suore Francescane Immacolatine: sull’alba di quel giorno, le giovani candidate, accorrendo dai dintorni, si raccolsero nella casa della Ministra del Terz’Ordine, Sig.ra Maria Grazia Nuzzolo. Qui in un oratorio bellamente apparecchiato, si svolse la funzione della vestizione religiosa… Nella suggestiva cerimonia, al taglio delle forbici, caddero chiome d’oro e d’ebano, offrendosi allo Sposo Celeste. La semplicità e l’umiltà del rito fecero rivivere la scena di San Damiano di Assisi. … Ancora una volta San Francesco recava al trono di Maria una schiera di vergini: “Omaggio novello al Suo candore”…Verso le ore nove, da quella casa si snodò una processione di “monachelle” che si recavano a prendere possesso del loro monastero. Passarono benedette fra il pianto di commozione: una visione di gigli e di angeli…».
P. Lodovico vi profuse tutte le sue energie di padre e fondatore, convinto del motto che ripeteva spesso: «Se vi è la Suora, vi è anche la donna, la fanciulla, la Madre. Se non vi è la Suora, non vi sarà mai né la donna, né la fanciulla, né la madre!». Con tale programma la Congregazione crebbe e fiorì, apportando frutti ubertosi di bene specialmente tra l’infanzia e la gioventù femminile.
Come ogni Fondatore, anche Padre Lodovico doveva salire il suo calvario: una forte persecuzione: da una parte critiche e calunnie di gente paesana, dall’altra cala su di lui e su l’Istituto la freddezza e l’opposizione del nuovo Superiore Provinciale, P. Feliciano da Sorrento, che rimane in carica per 20 anni.
Per questi venti anno Padre Lodovico fu costretto a rimanere, suo malgrado, in talare nera come sacerdote diocesano, fuori dell’Ordine Cappuccino che lui tanto amava. Si stabilì in Pietradefusi nell’Ospizio da lui fondato, proprietà che aveva ereditato da suo zio Sacerdote.
Non appena il p. Feliciano morì, il 17 dicembre 1907, P. Lodovico fece domanda di riammissione all'Ordine. L'istanza fu accolta con grande sollecitudine e con grande gioia dei confratelli, che lo stimavano e lo amavano. Il 27 gennaio rivestì l’abito cappuccino, in una festa più trascendente che reale.
Durante il periodo vissuto come prete secolare, incardinato nell’Arcidiocesi di Benevento, il P. Lodovico continuò a svolgere la sua attività di scrittore, di oratore, e di apostolo.
Fu sempre ammirato per la sua scienza e per le sue esimie virtù. Molto apprezzate furono le sue spiccate doti umane e morali: grande dirittura morale, dolcezza di modi, fermezza nella difesa della verità, equilibrio, grande laboriosità, intraprendenza e costanza nelle opere di bene. Queste sue molteplici doti gli furono riconosciute da testimoni oculari sia all'interno del suo Ordine che all'esterno.
Morì a Pietradefusi in concetto di santità il 16 febbraio 1916. Fu sepolto nel cimitero locale. L'anno successivo le Autorità Civili di Pietradefusi vollero rendere un pubblico e solenne omaggio alla memoria del p. Ludovico, organizzando un Comitato. Alle pubbliche onoranze non poté partecipare il Provinciale del tempo, p. Enrico da Napoli, che però inviò una lettera molto sentita ed elogiativa dell'estinto. Nel 1966, celebrandosi il cinquantenario della morte, i suoi resti mortali furono esumati, traslati e tumulati nella cappella delle Suore Francescane Immacolatine, dove tuttora riposano, dove continuano a ricevere l’attestato di amore riconoscente della gente, delle sue figlie, dei suoi concittadini.
Padre Ludovico Acernese fu senza dubbio uno dei più qualificati Cappuccini della Provincia Napoletana del suo tempo. Effettivamente, fu una personalità poliedrica: oratore, scrittore, poeta, filosofo, confessore e direttore di spirito, fondatore, religioso di virtù distinte, per cui godette, in vita e dopo morte, di una vera fama di santità, che si va affermando e diffondendo sempre più, in particolare nelle località, paesi e nazioni dove operano le Suore Francescane Immacolatine: Italia, Brasile, Filippine, India ed Australia.
Nel 1966, celebrandosi il cinquantenario della morte, i suoi resti mortali furono esumati, traslati e tumulati nella cappella della “Casa Madre” delle Suore Francescane Immacolatine, in Pietradefusi, dove tuttora riposano e continuano a ricevere sempre più affettuoso e riconoscente l’attestato di amore della sua gente, delle sue figlie, dei suoi concittadini, in attesa del riconoscimento dell’eroicità delle sue virtù.
Autore: Giuseppe Fiore
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