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Andrea Mandelli

Festa: Testimoni

3 febbraio 1971 - 29 novembre 1990

Andrea Mandelli è morto giovanissimo, ha seminato nei suoi amici l'entusiasmo della vita: non cose straordinarie, ma fare ogni piccola cosa con quel ‘accada di me’ che diceva la Madonna.



Andrea Mandelli, quarto di sette fratelli, nato a Lucca il 3 febbraio del 1971, viveva con la famiglia a Brugherio. Studente liceale dell’istituto Sacro Cuore di Milano, ha seguito con entusiasmo e dedizione il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione. Scopertosi ammalato di un tumore osseo nel 1988, ha vissuto con serenità e abbandono tutto il doloroso cammino della malattia, fino alla morte avvenuta il 29 novembre 1990, vigilia del suo giorno onomastico. Ha testimoniato alla famiglia ed ai numerosissimi amici la propria fede sicura in Gesù Cristo, affrontando il compimento prematuro della sua vita terrena come realizzazione della sua vocazione.
È stato il giovane che ho conosciuto e che ha segnato maggiormente la mia vita, per la capacità testimoniata di affermare l’ideale cristiano della vita in modo semplice, lieto e affascinante. Invito chiunque legga queste pagine a riflettere sulla esperienza di Andrea, per imparare a vivere con intensità e passione: in questo tempo in cui si sente parlare dei giovani con poca stima, sia questa vita un richiamo per tutti a guardare il cuore dell’uomo con rinnovato stupore.
 



Andrea cambiato dall’ideale
di Carlo Steiner
Il suono della campanella e un lieve brusio che in pochi secondi si trasforma in un baccano incontenibile fanno capire che è l’ora dell’intervallo. Centocinquanta bambini escono dalle aule e saettano su e giù per i corridoi. Siamo in una scuola elementare di Milano, sorta qualche anno fa per l’impegno di un gruppo di genitori che hanno voluto intitolarla ad Andrea Mandelli, un giovane morto all’età di 19 anni per un tumore osseo. Andrea: siamo qui per lui con mamma Sofia e la coordinatrice della scuola, per farci raccontare chi è e cosa è stata la vita di questo ragazzo, per capire che cosa affascina di lui ancora adesso, sei anni dopo la sua morte. Era un ragazzo normalissimo, tacciato normalmente di pigrizia, gli piaceva leggere e, come tutti, litigava spesso con qualcuno dei suoi sei fratelli. Legatissimo al padre, lo seguiva sempre dietro in montagna, animato da una vera passione nel seguire le orme di un “grande”. Ed era stata proprio la mancanza di un adulto, di una figura significativa cui andar dietro durante il primo anno del liceo, a far nascere in lui un senso di sfiducia e a provocare la bocciatura. La sua voglia di vivere non trovava uno sbocco in cui esprimersi. Finalmente cambia scuola e la sua tenacia, il rapporto con i nuovi professori e il rettore, l’amicizia dei compagni, fanno fiorire la sua personalità. L’impegno in Gioventù Studentesca e, attraverso questo, l’incontro con la compagnia di Cristo, costituiscono per Andrea l’inizio del compimento di sé; ma usiamo le sue parole per descrivere questo momento decisivo.

“Diciannove anni per quell’istante”
“La cosa più bella è che ho tanti amici, ma la cosa ancora più bella è che, questi 19 anni, è valsa la pena di viverli per l’istante in cui L’ho incontrato. Ho impiegato tanto! Diciannove anni, ma sono stati utili per questo solo istante. Ne ho sentito sempre parlare, ma la volta dell’incontro personale è una. E una volta accaduto, questo momento non lo dimentichi più e le cose difficili diventano facili”.
Andrea aveva capito che Dio non è una parola o un discorso, ma qualcosa che realmente basta alla vita e la rappacifica perché le dà compimento. Anche la grave malattia, nel frattempo manifestatasi in modo drammatico, non era diventata obiezione al cammino. Poche settimane prima di morire scrive sul suo diario: “Sembra che io stia facendo qualcosa di straordinario, di eccezionale o di eroico. Invece non è vero. Perché se Dio ci dona qualcosa che ci risveglia è perché sia chiara la ragione fra noi. Se Dio ci dà questo è perché la nostra vita sia totale. Bisogna dire un “sì” a Cristo che sia totale. La pienezza della vita sta nella verginità e nella morte. Ne sono gli atti supremi”. Cominciano, sempre più frequenti, le permanenze in ospedale anche se riempite dalla compagnia degli amici e dalla certezza che quello era il modo in cui il Signore lo stava facendo crescere umanamente. Mamma Sofia ci racconta un episodio significativo: nel reparto pediatrico dell’ospedale dove era ricoverato, venivano dei giovani volontari a far giocare i bambini, a tirarli un po’ su di morale; ma Andrea aveva percepito un modo di affiancarsi alle persone ammalate che non gli piaceva. Non serviva, perché implicava, magari inconsciamente, un giudizio negativo: la vita è un imbroglio e lui uno sfortunato; invece voleva che anche loro potessero capire che pur dentro la sofferenza si sentiva oggetto di amore.
Riapriamo il suo diario: “Ora sono a completa disposizione. Non devo più decidere. Chiedere al Signore la forza di sopportare ancora un po’ di fatica, questo sì, lo chiedo e devo chiederlo tutti gli istanti. Ho messo a posto i miei libri di scuola e da parte quelli non miei da rendere agli amici. La scuola è appena cominciata (e io ho già cominciato a saltarla) eppure voglio tutti i libri per poter seguire. Voglio concludere ogni cosa per poter non far altro che aspettare”.
Andrea muore il 29 novembre del 1990 e subito mamma Sofia invita i presenti a recitare l’Angelus.

“Farli crescere come è cresciuto lui”
Tutto finito? Macché, a sei anni dalla morte di questo ragazzo è sempre più chiaro a chi lo aveva incontrato, che era stata elargita una grande grazia, un segno da guardare con occhi nuovi tutti i giorni e dal quale lasciarsi commuovere. C’è qualcosa di lui che interessa tutti noi e anche tanta gente che non lo ha mai conosciuto lo sente come compagno di cammino, dicono gli amici. E come non desiderare che questa esperienza sia incontrabile anche dai bambini? “Il progetto di chi ha fondato questa scuola elementare - spiega la coordinatrice - è che i nostri figli possano imparare dai grandi uno sguardo positivo sulla vita, una coscienza delle cose come l’aveva questo ragazzo. Ma come si fa?
“Guarda - mi dice una maestra - il bambino apre gli occhi sul mondo se incontra qualcuno che questa apertura ce l’ha già. C’è un modo di far lezione, anche insegnando che due più due fa quattro, carico di questa preoccupazione educativa, per farli crescere come è cresciuto Andrea”.
E infatti più passa il tempo più i legami nati attraverso di lui diventano profondi e veri e si moltiplicano. Così una sua amica missionaria in Uganda, scrive alla madre: “Per me oggi è stata una giornata particolarmente piena della compagnia del tuo Andrea, del nostro Andrea. Sono già quattro anni che ci guarda da lassù, ma il suo volto è proprio amico dentro lo scorrere del tempo e, quando lo rammento, inevitabilmente mi ritrovo a dire con lui quell’“ok, va bene, andiamo” che sono state le sue ultime parole e che per me segnano, nelle varie circostanze, il momento della ripresa, della rinnovata disponibilità di fronte alla libertà di Cristo che mi interpella”.
Intanto il silenzio è tornato nei corridoi della scuola. L’intervallo è finito, si torna in classe; insieme ad Andrea.

 




Appunti, iniziative, lettere di Andrea
La certezza della vittoria è Cristo! “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”. Il cambiamento non è diventar “buoni”: è la SUA PRESENZA. Beato, non più infelice, perché puoi DIRE “TU” A CRISTO. Chiedo al Signore di prendermi finché ho questa certezza. Oggi finalmente posso piangere e ridere quando ho voglia, scherzare e giudicare e prendere in giro gli altri e soprattutto amarli. Anche prima lo facevo, ma ora amo.
Carissimi, a cosa serve la vita se non per essere data? Io adesso sono a completa disposizione. Non devo più decidere. Chiedere al Signore la forza di sopportare ancora un po’ di fatica, questo sì, lo chiedo e devo chiederlo tutti gli istanti. Ma a questo punto è tutto nelle Sue mani. Forse per i dolori che oramai si fanno insistenti, mi sembra che si sia arrivati ad un momento decisivo, se non alla fine. Anch’io voglio essere pronto in ogni istante. Ci tengo ad essere ordinato e lavato (ieri mi sono persino fatto la barba). Ho messo a posto i miei libri di scuola e da parte quelli non miei da rendere agli amici. La scuola è appena cominciata (e io ho già cominciato a saltarla) eppure voglio tutti i libri per poter seguire. Adesso leggerò Hard Times. Voglio concludere ogni cosa per poter non far altro che aspettare.
Quel che conta accade. L’unica cosa che vale è il momento. È in forza di un’unità che si può stare da soli. Sembra che io stia facendo qualcosa di straordinario, di eccezionale o di eroico. Invece non è vero. Perché se Dio ci dona qualcosa che ci risveglia è perché sia chiara la ragione fra noi. Se Dio ci dà questo è perché la nostra vita sia totale. Bisogna dire un “Sì” a Cristo che sia totale.La pienezza della vita sta nella verginità e nella morte. Ne sono gli atti supremi.

 




Omelia di Don Giussani nella festa di S. Andrea
30 novembre 1990
“Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare poiché erano pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti, e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca, lo seguirono”. (Mt. 4, 18-22)
È facile immaginare che per Andrea il ricordo di quell’accaduto dominò la coscienza della sua vita. Non poté pensare ad altro e questo lo ha reso così diverso da tutta la gente. Si usa un termine per indicare questo tipo di uomini che non possono far altro che pensare a ciò che è accaduto in tutto quel che fanno (anche se restano pescatori e lavorano come tutti gli altri): santo. Ma perché a loro accade ciò? Affinché dal loro volto - dal volto di tutti coloro che furono chiamati come Andrea - fisso nella memoria di quello che era accaduto, il mondo e gli altri si accorgessero di una diversità attraverso cui era veicolato qualcosa di impensato e di inimmaginato, eppur desiderato con tutto il proprio essere: una salvezza. Chiunque avrà invocato quel nome, la sostanza della memoria di quell’accaduto, sarà salvo. È per una missione che Andrea Lo ha incontrato, la missione per cui tutti gli uomini fossero salvi. È solo nel nome di Cristo che l’uomo può essere salvato, che la vita può assumere il suo significato e una coerenza impossibile, miracolosa, che l’uomo può legare ogni azione della giornata, può legare il bene a un’attesa sempre più profonda e coerente e può legare il male a questo bene, renderlo scala, gradino a questo bene.

La vita nuova
Giovedì mattina ero andato all’ospedale a Gorgonzola con l’intenzione di leggere ad Andrea una pagina che avevo meditato la mattina precedente e che subito mi era apparsa inverata nella situazione di Andrea: “Il progetto reale del Signore della vita, il progetto del mistero che Cristo ha rivelato, è che la sofferenza è in funzione di qualcosa di più grande, di una perfezione che si chiama gloria futura. Non è perdita di nulla: la morte è per la resurrezione. Nel rapporto con Cristo, nella compagnia con Lui, la resurrezione della carne è gia cominciata, come un’alba che darà luogo alla giornata. Ogni istante ci è dato perché noi abbiamo a sperimentare queste primizie dello spirito. Già ora siamo resi veri, siamo salvati nella speranza. La speranza è la certezza nel futuro che si compie ora, che inizia ad avverarsi oggi.”…
Queste parole sono state documentate dalle vicende di questi ultimi giorni, di questi ultimi mesi, di questo ultimo anno e mezzo. La sofferenza è una condizione. L’esito dell’azione di Dio, la scelta che Dio fa, non è mai per una morte ma per una vita, per una pienezza di gioia: è la vita nuova. La vita non ha consistenza perché è lunga, come diceva il Libro della Sapienza, o perché realizziamo i nostri progetti, ma perché il Signore chiama. Andrea è stato docile a questo disegno, ai tocchi che Dio imprimeva alla sua vita e umilmente, nella semplicità, senza fracasso e senza rumore, nel quotidiano, ha seguito questa volontà. Come diceva negli ultimi giorni: “Nel mio stare a letto, nel mio cantare, quanti globuli ho, nel mio non potermi muovere: perché il senso della vita è uno solo: è Cristo e Cristo vince.” e questa è la resurrezione che ha cominciato a rivelarsi, proprio come un parto. Una cosa che mi ha colpito moltissimo era la sua attenzione sempre più acuta a tutto ciò che aveva attorno, non come uno che avesse chiuso con la vita, ma come uno che diventava più intenso. Era attento ai particolari di tutte le persone e a chiunque lo andasse a trovare aveva qualcosa da dire, di specifico per lui. Ed erano tante le persone che andavano a visitarlo e nessuna che uscisse. Senza esserne edificata. Perché quanto più sembrava che la morte prendesse possesso del suo corpo e della sua vita, tanto più si vedeva che stava già sorgendo la vita nuova, che era già in atto la resurrezione: era già visibile dalla luminosità dello sguardo, sempre più pacificato e più sereno, dall’essenzialità del suo parlare, dalla profondità di quello che diceva. Diceva poche parole, quasi buttate lì per caso, ma chi le ascoltava non poteva dimenticarle. E mentre l’apparenza del suo umano andava disfacendosi, consumata dal male, la verità della sua personalità trasfigurava dalla carnalità e dalla fisicità del suo essere, dalla sua parola, dal suo atteggiarsi: era l’inizio della resurrezione. E l’inizio della resurrezione è questo popolo che è qui: il mondo nuovo è questo, è la speranza di questi volti, di questi fratelli, di questi amici, che la fede fa emergere come una novità di popolo. Cristo incomincia il suo trionfo da qui. È una umanità nuova che scaturisce, che brilla, che comincia ad apparire magari come un albore, ma già nella verità.
dall’omelia di don Gianni al funerale, 1/12/’90

Omelia della Messa celebrata da don Giussani in suffragio di Andrea Mandelli
30 gennaio 1991
Ringrazio don Giorgio che mi dà la possibilità di esprimere la profonda amicizia che ho con i genitori di Andrea e l’interesse al bene di ognuno di voi, il desiderio che ognuno di voi abbia a vivere un po’ di quella esperienza che ha reso così nobile Andrea, la vita di Andrea tra di noi. Perché tu, Andrea, sei vissuto con noi, sei stato nostro compagno, hai cantato, parlato, camminato, studiato: eri uno di noi, ma sei stato diverso da noi. È apparso soprattutto alla fine, ma sei stato diverso da noi, e per un pezzo abbiamo potuto accorgercene. Perché diverso da noi? Perché tu hai accettato di riconoscere, di riconoscere Dio e di riconoscere Cristo, di riconoscere che tutto viene da loro. Così in te si sono veramente incarnate le viscere di tua madre quando, di fronte alla tua morte, appena tu sei morto, ha invitato gli astanti a dire l’Angelus: “L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria”. La nostra vita è qualcosa che ci è dato, un messaggio che ci è richiesto di eseguire. Tu lo hai riconosciuto, hai accettato di riconoscerlo: sei stato intelligente. l’intelligenza tua che, innanzitutto, ti ha reso diverso da un certo clima, e non sto parlando di quell’intelligenza che si può vedere a scuola o nello studio, ma dell’intelligenza della vita. Tu sei stato fra noi l’esempio di una intelligenza della vita. Nella vita infatti non avrebbe senso niente, sarebbe ingiusto che una donna facesse nascere un essere umano, se non fosse per quello che Dio ha preparato e, attraverso Cristo, ha comunicato e richiesto. Tu hai accettato di riconoscere, sei stato intelligente fra di noi e ora lo vediamo sempre più. Ma la fine dell’Angelus dice: “Avvenga di me secondo la tua parola”. “Tutto è deciso”, hai detto ad un certo momento. “Avvenga di me secondo la tua parola”: questo è amore. Hai amato Dio, hai amato Cristo, hai amato la volontà dei Mistero. Per questo è commovente il pensiero che abbiamo di te, sarà sempre più commovente quanto più diventeremo maturi. Ti ho chiamato per nome e ti dico “Tu, Andrea”; ti dico “Tu, Andrea, adesso che vivi incomparabilmente più di prima, che sei fra noi molto più intelligentemente di prima, molto più amorosamente di prima, perché partecipi direttamente alla sorgente della vita e dell’essere, aiutaci ad essere sempre più come te”. Perché io ed ognuno di noi possiamo essere come lui, dobbiamo essere come lui.

Quello che conta accade...
Tutte le volte che ho incontrato Andrea ho sempre avuto la sensazione - nettissima - di un abbandonarsi nelle mani di un Altro, con la certezza che in questo abbandono tutto acquistava spessore e consistenza. Voglio dire che ho sempre avuto la percezione di uno sguardo “che vedeva l’invisibile”, nel senso di una concretezza a cui nulla sfuggiva. Ecco, lo sguardo alla concretezza, all’oggi, al qui e ora, a te, che eri lì, davanti a lui, con la tua storia, il tuo volto, la tua domanda. Per me l’andarlo a trovare a casa e soprattutto in ospedale, ha spesso avuto il sapore di un incontro affascinante (sentivo il cuore che mi diceva “mettiti in ginocchio”, per l’evidenza di un miracolo, di una Presenza trasfigurante), incontro in cui nulla più era particolare (sia che parlasse della studenti-card, che stavamo realizzando anche a Monza - “vi raccomando, sul volantino segnate bene i giorni in cui siete presenti, se no la gente che vi cerca, se non vi trova, si disaffeziona a ciò che proponete” - sia che gli raccontassi le vicende della scuola e della comunità). Nulla era particolare perché ciò che definisce la persona non è ciò che fa ma colui a cui appartiene. Ai ragazzi che si preparavano alla Cresima, Andrea aveva detto: “L’importante è capire che l’amicizia vera ci chiama a volte a rinunciare al nostro progetto. Il Signore ci chiama in ogni momento e tocca a ciascuno di noi dirgli di sì. Se uno lascia che il suo progetto venga cambiato da Dio, è più contento”.
“Lo Spirito Santo non è l’accadere di un “miracolo”, ma per me è stato restare legato a una compagnia con dei volti precisi. Questo dà significato nuovo al dolore, alla fatica, alla malattia…Vi prego date credito al fatto che Cristo cambia la vita! Chi resta “dentro”, anche se ha capito pochissimo, impara e cresce moltissimo.”
Mi sembra che la cosa più vera e grande che ci ha testimoniato è che lo stare dentro una compagnia concreta (don Pietro diceva “che stringe i fianchi”) abbia generato una capacità di amare la vita e il disegno di Dio in modo vero e lieto, creatore di vita e di gusto (ricordo sempre come, una volta, mi disse: “Chiedimi ciò che vuoi, fammi fare tutto, ma non chiedermi di studiare”. - Nella fedeltà alla compagnia incontrata anche lo studio era diventato per lui non più una faticosa obiezione od obbedienza per “dovere”, ma una esperienza vissuta intensamente). Ma mi pare che la cosa più bella sia proprio questa fedeltà alla Compagnia, in una domanda tenace e insistente.
Scriveva: “Chiedo al Signore di prendermi finché ho questa certezza.” Mi pare la consegna più grande, perché dice la libertà nel donarsi, la libertà di donare la vita qui e ora, senza calcolo, perché, qui e ora, sa che il Signore, presente, lo ama e lo chiama. La vita si compie nell’oggi, nell’istante: ecco il segreto di Andrea. Non il progetto di un dono, ma un dono per come mi è chiesto oggi, per come l’ho capito ora.
Guardando Andrea ho spesso chiesto al Signore di rendermi capace di dire quel sì che solo fa grande la vita. E l’averlo visto dire fino alla fine “Va bene, andiamo” e “O. K.”, è forse la grazia più grande che il Signore mi ha fatto, e ci ha fatto. Quel Signore “che mi ama, e io non ne sono capace”, come ha detto nelle sue ultime parole coscienti. Andrea, prega per noi.
Don Gabriele
29 novembre ‘91


Fonte:
www.culturacattolica.it

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Aggiunto/modificato il 2013-04-09

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