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1891 circa – Majiazhuang, Weixian, Cina, 22 luglio 1900
Andrea Wang Tianqing, di nove anni, è uno dei martiri del villaggio cinese di Majiazhuang, nella provincia dello Hebei. Dopo che sua madre, Lucia Wang Wangzhi, si fu opposta all’affidarlo a uno dei soldati dei Boxer, il che avrebbe comportato una sua educazione da pagano, precedette nel martirio lei e la sua sorella minore, di cinque anni. È incluso nel gruppo dei 120 martiri cinesi che furono canonizzati a Roma il 1 ottobre 2000.
Martirologio Romano: In località Majiazhuang vicino a Daining nella provincia dello Hebei in Cina, santi martiri Anna Wang, vergine, Lucia Wang Wangzhi e suo figlio Andrea Wang Tianqing, uccisi per il nome di Cristo nella persecuzione dei Boxer.
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La storia di Andrea Wang Tianqing (traslitterato anche “Tien-K’Ing”), uno dei più giovani tra i martiri cinesi, ricorda per certi aspetti quella di san Quirico, figlio della martire santa Giulitta (IV secolo), o quella del piccolo, ancora lattante, che subì il martirio con la madre santa Perpetua (III secolo). Le poche notizie sul suo conto ci dicono che viveva nel villaggio di Majiazhuang, nella provincia cinese dello Hebei, educato dalla madre, Lucia Wang Wangzhi. Aveva una sorella minore, di cui non ci è giunto il nome.
Quando alcuni membri della rivolta dei Boxer arrivarono a Majiazhuang, anzitutto incendiarono la chiesa del villaggio, decisi ad eliminare il Cristianesimo perché visto come destabilizzante per la società. Il capo della squadriglia pose gli abitanti del villaggio di fronte all’alternativa fra apostatare o affrontare la morte, poi andò via coi suoi uomini. Lucia e i suoi bambini, quindi, si rifugiarono nella scuola del villaggio, custodita dall’anziano Giuseppe Wang Yumei, e vennero raggiunti da una ragazzina che in quella scuola aveva studiato, Anna Wang. Il maggior conforto di cui potevano godere i rifugiati era la celebrazione della Messa, all’alba, grazie a un padre missionario.
I roghi appiccati dai Boxer, però, si facevano sempre più vicini. Quando i soldati arrivarono, Giuseppe disse a tutti di rifugiarsi nel sotterraneo della scuola; lui avrebbe cercato di sviare gli aggressori accogliendoli sull’ingresso principale. Dato che si rifiutava di parlare, il capo ordinò di sparare contro le finestre dell’edificio: il fragore dei vetri spaventò i bambini, che, urlando, fecero scoprire il nascondiglio. Tutti i presenti vennero quindi costretti a salire su di un carro e condotti al villaggio dov’era il quartier generale dei Boxer.
Verso sera, alla luce delle fiaccole, i prigionieri vennero sottoposti ad un interrogatorio. Mentre i bambini, giustamente impauriti, piangevano, Lucia cercò di far valere le proprie ragioni, ma le sue parole non vennero tenute in considerazione, come pure quelle di Giuseppe, che, anzi, venne colpito alla gola da una lancia e decapitato.
Dato che i prigionieri inorridivano, ma non si smuovevano, i persecutori adottarono un sistema per farli cedere: separarono i figli dalle madri, poi li condussero in una saletta adiacente a due stanze. Una, situata ad ovest, era indicata da un cartello con scritto “Liberazione”, dove i soldati avevano ammassato giocattoli, ventagli e altre mercanzie; se vi fossero entrati, sarebbero stati salvati. L’altra, a est, era contrassegnata dalla scritta “Morte”.
Di fronte alla perplessità dei piccoli, venne deciso di far venire alcune delle donne e di porle di fronte alla medesima scelta. Lucia e i suoi bambini scelsero di restare fedeli a quanto credevano, così, insieme a quanti non avevano apostatato, subirono una nuova minaccia: tornare alla religione dei padri, o essere sepolte vive insieme ai figli. Venne loro concessa una notte di riflessione, che trascorsero, invece, in preghiera, guidati dalla giovane Anna Wang.
L’indomani, il 22 luglio 1900, donne e bambini vennero condotti in uno spiazzo, dove erano state preparate delle fosse. Prima avevano subito un nuovo interrogatorio a cui non risposero, perché incoraggiate dallo sguardo di Anna. I soldati dissero loro che, se fossero rimaste ostinate nel loro proposito, sarebbero dovute entrare nelle fosse insieme ai figli. Le donne avanzarono, ma la ragazza suggerì loro, a voce bassa, d’inginocchiarsi rivolte verso la chiesa del villaggio. Il capo, allora, ordinò che tutte venissero colpite con la spada, a cominciare dalle più anziane, e spinte nelle buche.
Venuto il turno di Lucia, il capo dei Boxer cercò di convincerla a rinnegare la fede facendo leva proprio sui suoi figli. Ella ribatté: «Io sono cattolica, e cattolici sono pure questi miei figlioletti. Se voi uccidete me, per la mia fede, sopprimete anche loro».
Dopo queste parole, Andrea scoppiò a piangere e a lamentarsi di aver sete. Un soldato, allora, tagliò a metà un cocomero giallo, così poté almeno rinfrescargli le labbra. Al vedere quella scena, l’uomo si rivolse al capo per chiedergli di poter tenere lui il bambino. Ma Lucia, al pensiero che, se il figlio avesse avuto salva la vita, avrebbe corso il rischio di essere educato da pagano, si oppose: «Io sono cristiana», ripeté, «e anche mio figlio. Uccideteci entrambi, ma lui per primo e io per ultima!».
Andrea, quindi, gettò via il frutto e si preparò a morire. Con un sorriso, salutò Lucia per l’ultima volta, poi chinò il collo per venire decapitato; immediatamente dopo, fu il turno della mamma e della sorella. Tutti e tre vennero seppelliti nella medesima fossa. Dopo di loro fu il turno di altre madri e figli, il più piccolo dei quali aveva appena dieci mesi.
Il 6 novembre 1901 si procedette alla riesumazione dei cadaveri, per concedere loro una degna sepoltura. Padre Albert Wetterwald, che presiedeva alla cerimonia, scrisse nella sua relazione: «Quando gli incaricati, lavorando con precauzione, tra un silenzio solenne tolsero lo strato di terra che ricopriva i cadaveri; allorché tutti gli sguardi avidi videro apparire confuse, ma intatte le membra e le teste delle vittime, fu un grido solo di ammirazione e di dolore insieme. I pagani gridavano al miracolo. I cristiani piangevano, ma più di gioia che di tristezza».
La causa di canonizzazione per Andrea Wang Tianqing venne inserita in quella del gruppo capeggiato dal gesuita padre Leone Ignazio Mangin e composto in tutto da cinquantasei martiri. Il riconoscimento del loro martirio venne sancito il 22 febbraio 1955. Il 17 aprile dello stesso anno, domenica “in albis”, si svolse invece la beatificazione. La canonizzazione del gruppo, inserito nel più ampio elenco dei 120 martiri cinesi, avvenne invece il 1 ottobre 2000.
Autore: Emilia Flocchini
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