Frederick William Faber nacque nel villaggio di Calverley, nello Yorkshire, il 28 giugno 1814. Suo padre, Thomas Henry Faber, era figlio del vicario anglicano del luogo e fu segretario laico del vescovo anglicano di Durham, Shute Barrington. Suo zio, invece, fu professore a Oxford e autore di libelli contro il Papa e la Chiesa di Roma.
Nella sua istruzione, vissuta a Bishop Auckland, Kirkby Stephen, Shrewsbury School e Harrow, sviluppò un grande amore per Cristo, influenzato in tal senso dal cappellano e dal preside di Harrow, quest’ultimo poi nominato Arcivescovo di Canterbury.
Nel 1832, iniziò a frequentare l’università di Oxford: fu dapprima allievo del Balliol College, poi dell’University College. Era l’epoca in cui si andava sviluppando il Movimento di Oxford, quindi ben presto udì personalmente il reverendo John Henry Newman, all’epoca vicario di Saint Mary, rimanendo molto impressionato dal suo modo di parlare. Ben presto, Faber si sentì lacerato tra una tendenza al calvinismo e al pietismo individuale, che gli veniva dalle sue lontane origini ugonotte, e il riavvicinamento a posizioni simili a quelle cattoliche.
Per superare almeno in parte quelle tensioni, si recava spesso nel Lake District, dove, grazie anche all’amicizia del poeta William Wordsworth, affinò la sua vena di scrittore, anche se poche delle sue poesie divennero note. Lo stesso Wordsworth, un giorno, gli fece presente che non poteva servire due padroni: avrebbe dovuto essere o sacerdote o poeta.
Alla fine, Faber aderì pienamente al Movimento di Oxford, decidendo d’impegnarsi nella traduzione delle opere dei Padri della Chiesa, cui Newman e compagni si richiamavano. Infine, si laureò nel 1836, ricevette l’ordinazione diaconale nella Chiesa d’Inghilterra nel 1837 e quella sacerdotale due anni dopo. Poco prima della laurea, inoltre, aveva vinto il prestigioso Premio Newdigate per la poesia.
In seguito alla laurea, venne nominato professore a Oxford, ma non era felice di insegnare lì: accettò prontamente, quindi, l’offerta di una collocazione più adatta a lui, quella di Ambleside, dove la sua predicazione era già famosa. Ciò nonostante, intorno al 1841, continuava ad essere indeciso tra Canterbury e Roma, come scrisse il suo biografo Chapman. Nel 1843, dopo molte sofferenze, accettò di diventare rettore di Elton, nell’Huntingdonshire.
Dal 1839 al 1843 compì due viaggi nel continente europeo, insieme ad alcuni colleghi di studio. In quel periodo, la sua tendenza al cattolicesimo romano si sviluppò maggiormente, come lasciano trasparire le lettere dove descrisse entusiasticamente i riti e la devozione dei cattolici, pur avendo ancora questioni irrisolte. In particolare, fu molto colpito dalla visita a Santa Maria in Vallicella a Roma e dalla tomba di san Filippo Neri.
Tornato a Elton nel 1844, si comportò in maniera particolare per essere un ministro anglicano: stabilì la pratica delle confessioni, instaurò la devozione al Sacro Cuore di Gesù e scrisse una biografia di san Vilfrido di York, descrivendo con toni elogiativi l’ispirazione ricevuta da quel santo vescovo nei suoi viaggi a Roma. Con Newman, che gliel’aveva pubblicata, proseguì la corrispondenza che aveva intrapreso già da tempo, mentre ipotizzava la creazione di una comunità monastica.
I suoi parrocchiani complessivamente non percepivano nulla dei suoi travagli, almeno finché, la sera di domenica 16 settembre 1845, comunicò loro che non poteva più restare in comunione con l’anglicanesimo. Così, il mese successivo, venne ammesso nella Chiesa Cattolica, a Littlemore, mentre a novembre venne ricevuto dal vescovo Wareing, a Northampton.
Con gli undici suoi seguaci, nel 1846, Faber fondò la comunità che aveva progettato, denominandola Fratelli della Volontà di Dio (Brothers of the Will of God). Il passionista padre Domenico Barberi (Beato dal 1963), che aveva ricevuto poco prima la conversione di Newman, commentò con una battuta bonaria: «Vorrai dire fratelli della “tua” volontà!».
Subito dopo, andò a studiare al Collegio Inglese di Roma. Nel frattempo, era diventato amico di John Talbot, sedicesimo conte di Shrewsbury, che gli offrì del terreno di sua proprietà nello Staffordshire: poteva scegliere tra quello vicino alla chiesa di Saint Giles, nei pressi di Cheadle, o quello di Cotton Hall. Faber optò per quest’ultimo: nel giro di un mese, venne posta la prima pietra della chiesa, mentre i Fratelli presero ad andare, a due a due, ad invitare alle funzioni gli abitanti del posto.
L’edificio sacro venne progettato dall’architetto Augustus Pugin, il cui mecenate era il conte di Shrewsbury: divenne famoso per la costruzione, in quel periodo, di numerose chiese in stile neogotico e del Palazzo del Parlamento a Londra. Sia la chiesa che la parrocchia vennero dedicate a san Vilfrido, quindi anche la comunità religiosa ricevette il soprannome di Vilfridiani.
Gli sforzi cui Faber, che non aveva ancora ricevuto gli Ordini sacri cattolici, si era sottoposto, lo fecero cadere ammalato. Sentendosi in punto di morte, chiese l’Unzione degli Infermi, ma non era ancora giunta la sua fine terrena. Durante la convalescenza, riprese la sua attività in poesia e in prosa, sviluppando inoltre un’intensa devozione verso la Vergine Maria, che chiamava “Mamma” in italiano. Infine, il 4 aprile 1847, celebrò la sua Prima Messa. Ben presto, si poté affermare che era riuscito a convertire tutto il villaggio.
Nel 1848 venne a sapere che Newman, a Roma, era entrato nella Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Anche lui volle compiere qualcosa di simile, ma si trovò di fronte un ostacolo tecnico: un Oratorio si può stabilire solo in una città. Inoltre, il conte gli riferì che gli aveva donato denaro e terreno specificamente per fondare una comunità religiosa nello Staffordshire, così da far crescere il numero di conversioni nei dintorni della sua abitazione di Alton Towers.
Newman, che pure lo stimava, comprese che la decisione migliore era provvedere ad una separazione piuttosto che avere due case rette da quella di Birmingham, dove lui risiedeva. Padre Faber oppose resistenza, ma l’altro ribatté inviandogli due liste di sacerdoti e novizi proposti per l’adesione all’Oratorio di Birmingham e a quello, in prospettiva di fondazione, di Londra. A quel punto, si sottomise completamente a lui: entrò nell’Oratorio come semplice novizio e invitò i membri della sua comunità a fare altrettanto.
Nell’aprile 1849, quindi, insieme a padre Hutchison, Faber lasciò Cotton per trascorrere alcuni giorni a Birmingham prima di raggiungere la capitale. Nel frattempo, alcuni amici avevano provveduto a trovare una collocazione per l’Oratorio di Londra, precisamente in King William Street, nello Strand. L’ambiente, detto Lowther Rooms, non era dei migliori in verità: era scarsamente ventilato e aveva avuto varie destinazioni, non ultima quella di rivendita di liquori.
L’inaugurazione di una cappella, in ogni caso, suscitò gran scalpore: fino ad allora, nessuna organizzazione cattolica era stata autorizzata ad aprire una chiesa in città. Le forme di devozione, inclusa quella alla Madonna, venivano schernite perfino dai cattolici, in quanto sembravano imitare quelle dell’Italia, che appariva un Paese arretrato agli occhi dell’Inghilterra della rivoluzione industriale. Anche Pugin si unì al disprezzo: non riusciva a concepire come in quel luogo equivoco si tenessero momenti di preghiera. Non c’erano solo critici, ma anche simpatizzanti, come l’Arcivescovo di Westminster, poi Cardinale, Nicholas Wiseman (l’autore del romanzo sulla Chiesa delle catacombe «Fabiola»), che venne personalmente a predicare all’Oratorio.
In una riflessione scritta in quel periodo, padre Faber s’interrogava sul motivo della sua scelta: «Perché sono venuto qui? Non per trascorrere una vita pigra, non per avere compagni piacevoli, compiti congeniali, o una casa senza tentazioni. Ho voltato le spalle a tutte queste cose quando ho voltato le spalle al mondo. Sono venuto qui per poter amare con fervore Dio, e nient’altro che Dio; per provare ora ciò che spero sarà la mia beata occupazione in Paradiso per tutta l’eternità; per imparare a mortificare me stesso mediante la continua mortificazione e l’incessante preghiera; per santificare me stesso anzitutto, e poi provare a salvare anime per Gesù».
Le anime vennero e si trattava perlopiù di immigrati irlandesi, in fuga dalla grande carestia di quegli anni. I padri si presero cura anche di loro, sebbene in prima battuta quel compito poteva sembrare estraneo al carisma cui avevano aderito. Purtroppo, però, insieme alle persone arrivò il rischio di malattie come il colera e una vera e propria invasione di pidocchi: così, dopo due mesi dall’apertura nel maggio 1849, la cappella dovette chiudere per disinfestazione.
I parassiti si erano infilati perfino negli abiti dei padri, nei confessionali e nelle loro stanze e lo stesso Faber finì per trascorrere notti insonni a causa del prurito. Sicuramente, però, a tenerlo sveglio era anche il pensiero di tutti quegli uomini e donne, in fuga dalla loro terra, che riempivano le strade. Per loro fondò la Compagnia di San Patrizio, formata da collaboratori laici, che visitavano i bassifondi e invitavano i cattolici che vi trovavano a riaccostarsi ai sacramenti. Inoltre, aprirono sale di lettura e incoraggiarono la coesione sociale mediante concerti e altre attività culturali.
Terminata la disinfestazione, un parrocchiano suggerì a padre Faber di dare fuoco agli inginocchiatoi per precauzione, ma lui gli rispose che non era rimasto neppure un singolo pidocchio. Alcuni giorni dopo, ricordando l’episodio, scrisse, mescolando l’umorismo oratoriano a quello anglosassone: «Avevamo ragione entrambi, comunque; non era rimasto un singolo pidocchio nella cappella. Erano tutti sposati, con famiglie numerose!».
Dopo la riapertura, la vita riprese e lo stesso padre Faber si sentiva in condizioni di salute migliori. S’impegnò a promuovere la fama e l’opera di san Filippo Neri e fondò una Confraternita del Preziosissimo Sangue. Le critiche proseguivano e arrivavano anche dalla stampa: il noto settimanale «Punch», nelle sue caricature, prendeva spesso di mira gli Oratoriani e i loro abiti religiosi. A lui, come sempre, non interessava: ciò che gli premeva era dar gloria a Dio, alla Madonna e ai Santi, poco importava se il numero di candele che impiegava per le funzioni vespertine faceva preoccupare qualcuno tanto da far tenere all’erta i pompieri.
L’11 ottobre 1850, nella memoria di san Vilfrido, padre Faber venne eletto Superiore dell’Oratorio di Londra, che due giorni prima era stato definitivamente reso autonomo da quello di Birmingham; tuttavia, un mese più tardi, si ammalò di nuovo. I medici gli suggerirono un riposo di almeno sei mesi, che gli venne proposto d’impiegare con un viaggio in Terra Santa, ma dovette sbarcare a Malta a causa di un peggioramento delle sue condizioni. Come riferì nelle sue lettere a Newman, colse l’occasione per visitare Catania, Siracusa, Messina e Palermo, dove si riconciliò con il conte di Shrewsbury.
Infine, tornato a Roma, riuscì a ottenere un’udienza con papa Pio IX, il quale gli offrì dei privilegi. Padre Faber declinò gentilmente le proposte per la sua persona, ma non per la sua Congregazione: perciò gli presentò una richiesta per ottenere l’indulgenza plenaria per la chiesa dell’Oratorio. La risposta fu: «Questa deve andare alla Congregazione dei Riti». «Santo Padre», replicò l’altro, «se vuole può farlo Lei stesso». Il Pontefice scoppiò a ridere, poi firmò personalmente la richiesta.
Verso la fine di dicembre, padre Faber tornò a Londra, con gran sorpresa del suo momentaneo sostituto padre Dalgairns e di altri, che temevano una ricaduta. Provvidenzialmente, la madre di padre John Bowden offrì un terreno a Sydenham, per la costruzione di un ritiro di campagna e di una cappella, le cui fondazioni vennero impiantate nel febbraio 1852.
Nel settembre del medesimo anno, invece, si giunse a un accordo per la nuova sede dell’Oratorio londinese, situata in Brompton Road, presso il quartiere di South Kensington. Anche in quel caso, le opposizioni non mancarono: ci fu perfino chi presentò una petizione in Parlamento, dichiarando che un insieme di edifici cattolici avrebbe rovinato il distretto. In ogni caso, nel 1854 furono pronte una biblioteca, una chiesa provvisoria e la casa per i padri, che vi si trasferirono.
Le fatiche per l’inaugurazione, avvenuta nel mese di marzo, prostrarono nuovamente padre Faber, obbligandolo a sempre più frequenti periodi di riposo a Sydenham. Da lì continuò a preoccuparsi per i suoi confratelli e per i novizi, dei quali era stato nominato Maestro nel 1856. Ebbe anche momenti di sollievo, ad esempio quando la duchessa di Argyll donò all’Oratorio un organo tanto imponente da costringere ad ampliare la chiesa.
Il suo stato di salute, tuttavia, era sempre più declinante. Nel 1861 dovette interrompere a lungo la sua attività, ma solo nel 1863 il medico gli consentì di predicare ancora durante la Quaresima: vi riuscì per quattro volte, l’ultima delle quali fu dedicata a Gesù Crocifisso mentre chinava il capo. Celebrò la sua ultima Eucaristia poco dopo Pasqua.
Verso il mese di luglio fu certo che non aveva più speranze di vita: la nefrite aveva fatto il suo corso. Con gran gioia di padre Faber, gli fu concesso di rivedere un’ultima volta Newman, che aveva definito «il più grande studioso dai tempi di sant’Agostino» e anche «colui che mi ha insegnato tutto il bene che conosco».
Nei suoi ultimi istanti, alla presenza del confessore padre Dalgairns, fissò il suo sguardo su di un gran crocifisso, spostando gli occhi di piaga in piaga, fino alla fine. Morì quindi il 26 settembre 1863, con un’espressione che padre Bowden, suo primo biografo, definì a metà fra la dolcezza e la sorpresa.
La fama di padre Faber, nel suo Paese e non solo, è dovuta a una grandissima quantità di opere poetiche e prosastiche. Prima dell’abiura, il suo scopo era difendere la Chiesa anglicana, ma, non appena si avvicinò al cattolicesimo, decise di spendere in maniera diversa il suo talento. Scrisse quindi opere teologiche, ma anche quarantanove vite di Santi, tese a far risaltare il lavoro della Grazia divina nelle storie degli uomini.
Anche in Italia sono arrivati alcuni suoi lavori: quello intitolato «All for Jesus» («Tutto per Gesù») fu particolarmente apprezzato da papa Giovanni XXIII, che lo teneva tra i suoi libri da comodino, stando a quanto dichiarò il cardinal John Carmel Heenan.
Compose inoltre centocinquanta inni sacri, sorti dal suo desiderio di dare ai cattolici inglesi un repertorio di canti di alta qualità musicale e metrica, che non sfigurassero con quelli diffusi nel protestantesimo. Questi brani, il più famoso dei quali è «Faith of our Fathers», dedicato ai martiri inglesi del 1600, hanno avuto una fortuna tale da essere entrati in uso anche dai fratelli separati, con ovvie modifiche nei testi per questioni dottrinali. A padre Faber è infine attribuita una poesia, intitolata in italiano «Valore di un sorriso», diffusa largamente tramite cartoline e immaginette.
I suoi resti mortali riposano presso l’altare di san Vilfrido nella chiesa dell’Oratorio di Londra, non molto lontana dal celebre Victoria and Albert Museum. Nello stesso luogo è stata collocata una statua del suo grande maestro Newman, che la Chiesa cattolica onora come Beato dal 2010.
Preghiera composta da padre Faber
Possa la grazia di Dio preservarmi
da una vita amante delle comodità,
da una lingua irrefrenabile,
da una mente dissipata,
da preghiere pigre,
da sacramenti trascurati,
dalla stima di me stesso
e dall’amore per qualsiasi cosa tranne Dio.
Amen.
Autore: Emilia Flocchini
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