Il giorno 29 ottobre 1961 si si spense a Milano il P. Atanasio di S. Dionisio, più volte Priore e Provinciale, erede spirituale di Padre Gerardo Beccaro l'ideatore della Basilica del "Corpus Domini ", oggi Basilica Minore.
Di fronte a tutta la civiltà che scorre a fiumane di persone e di veicoli, sembrava tanto piccola quella salma composta nella Cappella del Suffragio per l'omaggio dei fedeli: primo il Sindaco di Milano affettuosissimo amico.
"L'ardimento del pensiero, la rapidità dell'azione, la profonda carità accostarono Padre Atanasio a tutti gli spiriti grandi che illustrarono il cattolicesimo italiano in questa prima metà del secolo: da Guanella a Semeria, da Don Minozzi a Benedetto Galbiati, da Meda a Gemelli, a Don Carlo Gnocchi che lo venerò di filiale affezione.
Tutti trovarono in Milano un tetto amico, comprensione e consiglio, solidarietà nel convincere una civiltà ribelle che i valori dello spirito l'avrebbero resa più efficace ed eterna"
P. Atanasio praticò vastamente l'apostolato della penna, non ignaro di scienze storiche, teologiche ed ascetiche: pensava - e l'avrebbe attuata se non fosse stato indotto a confidare di più nella virtù dell'adorazione - a una rivista di studi superiori Eucaristici.
Curò con amore le edizioni delle opere di S. Teresa di Gesù e di S. Giovanni della Croce . Intuì la segreta profondità della dottrina di S. Teresa del Bambino Gesù , e fece del Corpus Domini un centro di irradiazione nel mondo della dottrina della "Infanzia Spirituale". È viva ancor oggi la rivista "La Rosa di Lisieux" (*) , mentre l'altra rivista, "L'aurora del secolo del Sacramento" fu soppressa d'autorità nel periodo della guerra, per la coraggiosa posizione presa dai suoi scrittori.
Fu nell'Ordine, P. Atanasio, maestro, oltre che docente di Scienze Eucaristiche, ad alcune generazioni di sacerdoti impegnati oggi nel governo delle Comunità e in forme coraggiose di apostolato. Sembrò così proiettato al di fuori, nella molteplicità delle sue iniziative; eppure nell'impeccabilità dell'osservanza, nella austerità della vita, nell'assiduità della preghiera attinse - e senza esitazione manifestò - una fedeltà incrollabile alla sua vocazione carmelitana. E lo studio fu alimento alla pietà.
Fu sacerdote, dunque, nella integrità e lealtà del suo Ministero e della sua fede. Ancorato nell'eterno, e così sensibile alle vicissitudini del suo tempo!
Sedeva lunghe ore in Confessionale, dirigeva con ogni mezzo gli spiriti; ma fu pronto a balzare con P. Gerardo , in soccorso delle popolazioni colpite dal terremoto di Reggio Calabria (1909) per raccoglierne gli orfani e affidarli alla carità dei Milanesi.
Sotto questo profilo lo commemorò di fronte a centinaia di amici nella messa in "die trigesima" della sua morte il prof. Stocchetti, figlio spirituale e fedelissimo amico:
"Il pensare alla sua vita e considerarne una Ad una le tappe, vuol dire proporre alla nostra meditazione un sessantennio di storia nel quale si incontrano, fondendosi, esperienze che esternamente possono parere antitetiche: quelle dell'Otto e del Novecento.
Padre Atanasio Galletti, formatosi e cresciuto alla scuola forte, dura, eppure dolcissima del Carmelitano Padre Gerardo Beccaro , fu uno di quei religiosi che seppero inserire i cattolici nella storia di quella nuova Italia, quando molti ancora non sentivano e non accettavano, se non passivamente il nuovo stato di cose. Non era facile allora, quello che oggi sembra così ovvio e naturale e giusto.
La lunga consuetudine con lui, ci ha permesso di entrare nell'anima sua e di scoprirne le ricchezze che la modestia scontrosa e la umiltà quasi scontrosa nascondevano.
La sua conversazione quotidiana era con Dio; sapeva, viveva e insegnava i quattro tempi del pregare: la composizione, la contemplazione, l'adorazione e l'invocazione; insisteva particolarmente sul primo, ossia sul momento iniziale che crea la solitudine il distacco da tutto il reale per avviare il colloquio con il Signore Iddio. In questo l'Ordine gli veniva incontro, quasi sempre in rinascente giovinezza spirituale, dagli scritti di santa Teresa la Grande , di san Giovanni della Croce e di Santa Teresa di Lisieux.
Nessuno come Lui conobbe, penetrò, volgarizzo , la forte e dolce dottrina dell'"infanzia spirituale". Diceva che questa è una specie di assunzione diuturna in Dio, attuata con semplicità, con naturalezza, come di figlio al padre; diceva che l'"infanzia spirituale" rivelava l'anima a se stessa e Dio a lei.
Carmelitano di assidua osservanza, ora suddito e ora superiore..., rimase se stesso, fierissimo sempre di essere Carmelitano. Spiritualmente era ricchissimo di sentimento, ma senza squilibri, perché tra il contemplare ed il fare, aveva raggiunto uno stato di felice misura per cui era in terra abitando il cielo.
A questo lo aiutava la devozione mariana che sentì con tenerezza e insegnò con persuasione discorrendo, anche, ma senza dolciastre conclusioni, sulle gentilezze di Maria-Madre....
La carità, era l'altro modo con il quale, saldamente vivo sopra la terra, guardava i cieli e li scopriva, donandoli a quanti da ogni parte venivano a lui.
Di qui le sue amicizie, sia nella vastissima famiglia dell'Ordine, sia tra il clero e il laicato;
di qui la sua carità del consiglio illuminato e pratico a Don Carlo Gnocchi e a Don Primo Mazzolari, a Padre Giovanni Semeria e a Padre Agostino Gemelli, particolarmente per le opere loro;
di qui il gran cuore con il quale raccolse più di una volta e confortò dolori pene in Don Carlo e in noi;
di qui anche taluni giudizi asciutti e severi su uomini e istituti dei quali aveva intuito, nella luce dello Spirito Santo, difetti ed illusioni;
di qui, ancora la carità che gli fece accogliere in pace persuasa, le prove del Signore, anche in quello che amava di più. Quando, per sprovvedutezza innocente, per il solo desiderio di una benefica azione più vasta, la raffica si abbatté sulla Famiglia Carmelitana Milanese (**) , Padre Atanasio non accusò, pur potendolo fare, nessuno; accettò disinvolto la croce grave e greve, e fatto parve più diafano, più trasparente, più bello con quell'antica aureola di capelli d'argento. Giunse al perdono, non quello che si dà perché non si può fare diversamente, ma a quello che si dà in senso assoluto.
Di qui certe caratteristiche del Suo parlare così distaccato e così vicino, così terreno e così celeste; di qui la sorridente carità verso se stesso nel tempo dell'infermità, con il cruccio solo, ma lancinante, di non poter lavorare ancora per guadagnarsi il magro suo pane".
Le opere
P. Atanasio fu insignito dal Comune di Milano della medaglia d'oro alla memoria, 7 dicembre 1960(?) , per la sua testimonianza e le sue opere. "Lo ricompensavano in quel giorno di S. Ambrogio, uomini di scienza e di lettere, uomini dell'industria benemeriti della rinascita materiale e spirituale della città dalle rovine della guerra".
Innanzi tutto il Monastero delle Carmelitane Scalze di v. Marcantonio Colonna.
Assecondando lo zelo del P. Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, e della sua sposa resasi Carmelitana, "lo sognò, lo pensò, lo volle, lo attuò come naturale barriera contro il dilagare di tante vergogne. Disse che lo sentiva come una propiziante offerta di anime innocenti, immolate per il bene di tutti; disse che là dentro trovava le Sue delizie, quelle che gli erano necessarie per volere e per attuare altre ed altre opere nelle quali la sua molteplice carità documentò se stessa".
Lo diresse spiritualmente per lunghissimi anni. Perciò giustamente, mentre veniva portato al cimitero maggiore (Musocco), egli poté sostare nella Chiesa del monastero "a consolazione delle sue figlie spirituali, che ne serbano gli indirizzi preziosi e la commossa memoria".
Furono a loro volta benemerenze di P. Atanasio le occasioni per le quali si aprì definitivamente in Monza una "Scuola Apostolica" per le vocazioni. Fondata da lui "con quattro soldi e molte speranze", essa si arricchì presto di un Santuario di S. Teresa del Bambino Gesù".
A lui si deve la fondazione di "Arte e Parola" per conferenze di religione e di varie culture.
Per opera sua, intorno alla basilica dedicata al "Corpus Domini" fiorì l'Istituzione dell'Opera Santa lega Eucaristica riparatrice, il cuoi fine era la promozione del culto al SS. Sacramento e che, diffusa da convinti zelatori, raggiunse fino a un milione di iscritti, sparsi nei cinque continenti: adoratori di Cristo, che precedettero quel movimento, oggi universale, della consacrazione della famiglia e della vita civile al S. Cuore.
Per diffondere questo semplice ed immenso concetto P. Atanasio resse una Tipografia - "La Lega Eucaristica" -, che offrì alla rinascita dello spirituale non solo immagini devote e libri di pietà, ma fonti di ispirazione e di pensiero. Immane è la fatica di coloro che oggi stanno ricostruendo tutta la produzione che vide la luce per i tipi della "Santa Lega".
Sono scritti di teologia e di ascetica, di storia e di filosofia, di morale, di agiografia: erano i segni precorritori di quella vigorosa editoria cattolica che oggi è una vastissima realtà, ma che mosse i primi passi dalla umile sede di via Guerrazzi".
Come potesse essere tutto a tutti potrebbe pare incomprensibile a chi non conobbe la Sua giornata aperta, chiusa e vissuta senza stanchezza, senza remissione, nella preghiera e nella carità, dall'alba al tramonto.
Vengono in mente i libretti pii, dolci memorie della nostra incantata età fanciulla, i libretti delle "Scintille eucaristiche", belli anche nella assai maneggevole veste; vengono in mente gli scrittori suoi, dal Barbieri al Grossi, dal Gorla al Martire, dal Facchinetti al Calcara. Aveva saputo unirli in gruppo, primizia fidente ed antica insieme di altri ed altri gruppi che da varie vie si sarebbero costruiti in più comodi tempi.
Del libro Egli aveva un senso quasi vibratile e prensile. Diceva che esso deve essere sempre aristocrazia, libertà dello spirito, distacco della persona, dono purissimo. Di autori ne confortò molti, non ne encomiò nessuno, mai. Seppe anche sorridere di certe voglie letterarie e di certe presuntuose eleganze in pubblicazioni di ecclesiastici.
Rifiutò - lo ricordiamo benissimo - un'opera valida perché non riusciva a vedervi l'umiltà dell'autore e, con l'umiltà la volontà vera di servirvi le anime. Quando iniziative Sue diventarono, anche in condannabili modi, proprietà e vanto altrui, sorrise pacato dicendosi lieto di avere seminato un campo nel quale venivano a mietere altre mani ed altre tese. La Sua carità gli permise anche questi superamenti che oggi, a sommesso parere nostro, non esistono più.
La Messa della Carità
Ma la pupilla del suo Sacerdozio fu la "Messa della Carità" e tutta quell'assistenza quotidiana agli ultimi, i "clochards" - o come li chiamano a Milano "i barboni" - che pernottavano di notte sulle panchine del Parco o al riparo dei pubblici monumenti, gelosi di una loro libertà sdegnosa e polemica, a causa di quella società nella quale nessuno tiene conto di loro. Essi sono per questo più singolarmente affidati alla pietà della Chiesa.
P. Atanasio ne visse circondato; a certe ore del giorno colmavano del loro brusio monotono la sua cella, sita al di sopra della portineria, dove essi ricevono conforto fisico e spirituale.
«C'è Padre Atanasio?»: domandò con voce roca alla porta del convento un vecchietto smilzo, minuto, male in arnese che spuntava da un cappotto dieci volte più malconcio del suo proprietario. «Ma non sa? Padre Atanasio è morto !», rispose il portinaio. E rimase lì a guardare l'ombra di dolore che si era disegnata sul viso del povero vecchio, uno dei tanti "clochards" dei diseredati della società, di quelli, per intenderci, che dormono sulle panchine del parco o sotto le arcate fredde e inospitali della stazione.
Questo dialogo si volse pochi giorni dopo la morte di P. Atanasio (1960) sulla soglia del convento dei Padri Carmelitani Scalzi di via Canova, 4.
Per comprendere il dolore di quel mendicante, però, occorre risalire al lontano 1932, anno in cui Padre Atanasio Galletti fondò, presso la chiesa del Corpus Domini in via Mario Pagano, "La Messa della carità", opera benefica per l'assistenza materiale e spirituale dei poveri.
Da allora, alla domanda: «C'è Padre Atanasio?", la risposta, ben diversa, era:«Si, si accomodi pure»; e, con quel "si accomodi" nelle orecchie, centinaia e centinaia di poveri entravano in convento, venivano rifocillati, vestiti, aiutati, consolati.
P. Atanasio li radunava a centinaia la domenica nel tempio inferiore, per gli atti fondamentali della vita cristiana: e nell'interrato del convento offriva poi loro "l'unico pasto decoroso della loro settimana" - come disse il sindaco prof. Ferrari nella commemorazione che di lui fece nel Salone dell'Alessi, a Palazzo Marino, il Comune di Milano -. E il medesimo sindaco ne ricordò "l'ardimento nel chiamare a sé quelle turbe di indisciplinati, nel quartiere che è tra i più signorili di Milano, quasi imponendo quella realtà sociale ai fortunati, per imporre con l'esempio le valutazioni e gli apprezzamenti di Gesù nei confronti dei poveri". E aveva concluso il suo discorso con queste nobili parole: "Ma anche questa è la Milano che merita di essere premiata...!".
Un altro sindaco, l'avv. Antonio Greppi, aveva dedicato affettuosa amicizia e assistenza preziosa a P. Atanasio e ai suoi poveri nelle vicende in cui i meschini finiscono sempre per essere coinvolti. E fu presente al lutto della Comunità.
Alla Messa della 11,30 nella domenica successiva alla sua morte (morì in giorno di sabato, il giorno propizio dei grandi carmelitani), un giovane Sacerdote [l'autore dell'articolo] invita i presenti (la Chiesa contiene più di duemila persone!) ad unirsi al lutto della Comunità, e del defunto tratteggiò brevemente la vita. Il pubblico si levò silenzioso in piedi, misurando la statura dell'estinto e la gravità' della perdita. Nel silenzio seguito alla brevissima commemorazione, era sospeso nell'aria un senso di vuoto e di solitudine.
Se non fosse che sempre le stesse pietre, al Corpus Domini, parleranno di lui, e nei giovani religiosi incuteranno il senso e la consapevolezza di una eredità non destinata a perire".
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