Lucrecia García Solanas nacque ad Aniñón, presso Saragozza, il 13 agosto 1866. Il 9 ottobre 1910 si sposò con José Gaudí Negre, il quale morì nel 1926. Da allora in poi, visse nel convento delle monache Minime di Barcellona, in un’abitazione esterna alla clausura, per stare vicino a una sua sorella, madre Maria di Montserrat. Sempre a disposizione delle monache, accorreva in portineria a ricevere i messaggi per loro. Si era abituata a seguire la preghiera della comunità, da donna molto religiosa qual era. Non è dato sapere se avesse figli.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, venne costretta ad abbandonare il convento e, insieme alla sorella e ad altre otto monache, si rifugiò in un edificio vicino, la Torre Arnau. Nonostante le fosse stata offerta la possibilità di rifugiarsi presso alcuni parenti a Barcellona, Lucrecia non volle abbandonare madre Maria di Montserrat e le altre.
Alle tre e mezza della notte del 23 luglio, alcuni miliziani, informati da Esteban, il portinaio del convento, assaltarono la torre in cerca di dieci monache. Entrati nella sala da pranzo, videro nove donne che recitavano il Rosario e chiesero chi di loro fosse la superiora, per ottenere da lei i valori del convento.
Le nove monache e Lucrecia vennero gettate in un camion e, dopo essere fatte scendere, torturate e uccise. Al momento del martirio, la vedova aveva settant’anni. Insieme alle sue compagne di martirio, è stata beatificata a Tarragona il 13 ottobre 2013, inclusa nel più vasto gruppo di cinquecentoventidue martiri caduti durante la guerra civile spagnola.
Autore: Emilia Flocchini
Era il 19 di luglio del 1936 quando, alle 9 di mattina, una donna arrivò di corsa al convento per dire alle religiose di scappare al più presto. I responsabili della persecuzione anticattolica avevano cominciato a bruciare le chiese di Barcellona e presto avrebbero fatto lo stesso con la loro. La madre superiora, che fino ad allora, nonostante le violenze, non aveva mai voluto lasciare il convento, disse alle suore di cambiarsi i vestiti. Le fece uscire in abiti civili e le nascose in una torre vicina, appartenente al padrone di quel terreno. Da lì si sarebbero poi spostate una alla volta, per cercare rifugi migliori.
Alcune suore si nascosero con la futura beata Lucrecia García Solanas, che rimasta vedova e senza figli, era andata ad aiutare la sorella (la madre superiora) e le altre suore. Lucrecia viveva con loro da più di dieci anni, in una casa fuori del convento, facendo da interfaccia tra il monastero e il mondo esterno. Il rifugio scelto dalle religiose era una cantina, dove il padrone delle terre circostanti teneva i suoi attrezzi da lavoro. Da lì le donne sentivano il rumore dei miliziani del Fronte popolare che, con l’aiuto dei cani, cercavano le loro vittime.
Il 21 luglio un gruppo armato fece ingresso in monastero, forzando il portone con la dinamite. I “rossi” entrarono nella chiesa adiacente, la profanarono e poi la bruciarono. Dopo aver setacciato il monastero per saccheggiarlo, i repubblicani profanarono anche i corpi di due suore sepolte pochi mesi prima, lasciandoli esposti al pubblico ludibrio. Il 22 luglio, il gruppo delle religiose rifugiate aumentò per via del ritorno di alcune di loro che non potevano più rimanere nelle loro case, ma il giorno successivo il portiere del convento, che conosceva il nascondiglio, le tradì. Gli anticattolici le trovarono nella torre mentre pregavano il rosario. Chiesero della madre superiora per interrogarla sulle ricchezze che si aspettavano di trovare nel monastero. La badessa si fece avanti e offrì la propria vita in cambio di quella delle consorelle. Disse ai miliziani anche che Lucrecia era una laica, ma quelli non ascoltarono e vollero sapere dove fossero le altre suore. Le trovarono nella cantina, anch’esse in ginocchio a pregare. Tutte le donne furono arrestate e per loro cominciò il calvario.
I repubblicani insultarono le religiose, strinsero loro i rosari al collo e schernendole le misero in fila per trascinarle in strada. Si salvò solo una monaca, sorella di un famoso anarchico. Le altre fecero la fine descritta da Amparo Bosch Vilanova, testimone oculare, che in seguito raccontò: «Le hanno messe in fila come se dovessero ricevere l’Ostia, le hanno spinte in strada dove c’era un camion in cui le gettarono come sacchi di patate, con una violenza tale da rompere loro le ossa». Il camion poi si diresse a San Andrés, dove le donne, dopo essere state sottoposte a lunghe torture, furono uccise. Testimoni hanno detto che verso le sette di sera di quel giorno si udirono diversi spari. I corpi delle suore furono trovati accatastati. In tutto erano dieci, nove suore più una laica. Avevano ferite da armi da taglio sul petto e nelle parti intime, con i vestiti strappati e bucati da armi da fuoco.
Mentre venivano torturate dai “rossi”, tutte le monache, e con loro Lucrecia, temettero più lo stupro che la morte, tanto che sui loro corpi furono trovati i segni di una lotta durissima. Una donna ha riferito che i repubblicani stessi rimasero sconvolti dal coraggio di quelle donne, tanto che, al bar, dopo averle martirizzate, commentavano: «Guarda che suore coraggiose che sono morte oggi». Secondo altri testimoni, le dieci martiri avevano reso la vita pregando in ginocchio per il perdono dei loro carnefici.
Autore: Benedetta Frigerio
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