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Ada Negri Laica

Festa: Testimoni

Lodi, 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945


Nasce il 3 febbraio 1870 a Lodi, figlia di operai, e presto orfana del padre, ha nella madre l’unico sostegno della sua adolescenza. Ancora giovanissima, è maestra in una scuola elementare di Motta Visconti. È cresciuta, con una religiosità cristiana più emotiva che fondata e reale.
Da bambina le era di consolazione recarsi con la mamma alla Messa domenicale in S. Maria del Carmine a Lodi. Ada ricorda: «Dolci lumi, dolci sentori di incenso, fiori di carta e sospiri d’organo; piccola gente ignota, tutta buona, mentre sta pregando; certezza di Dio Padre, serenità».

Assetata di giustizia

Ma quella religiosità soltanto sentimentale non reggerà agli scontri dell’esistenza e cadrà dolorosamente. Quando Ada viene a conoscenza dell’ingiusto trattamento riservato a sua madre operaia e agli operai in genere, sente un sordo rancore e un istinto di rivolta. Cerca di consolarsi con la poesia e pubblica le prime raccolte, ma non basta: Ada diventa socialista. Una moltitudine di poveri e di sfruttati vive angariata da pochi ricchi: l’indignazione della maestrina diventa forte e amara. Ma il suo socialismo resta di tinta sentimentale: tutti fratelli, non di nome ma di cuore; nobilitazione e elevazione dei lavoratori.
Assetata di giustizia sì, ma anche di amore, può soddisfare il suo bisogno interiore: nota ormai per le sue poesie e sistemata abbastanza bene socialmente, di animo populista, ironia della sorte, sposa un industriale di mentalità opposta alla sua. Incomprensione completa e amarezza. Le nasce una bambina che chiama Bianca, ma il suo matrimonio non dura a lungo e presto naufraga. Ada fugge con la bimba in Svizzera a Zurigo, in cerca di libertà: «Ognun va solo – scrive nelle liriche “Dal profondo” – col mistero di sé fino alla morte».
A salvarla dalla disperazione è la piccola Bianca, la quale prima di addormentarsi chiede alla mamma di farle il segno della Croce. Ada scrive, rivolta a lei: «Amor mio solo, / ecco t’addormi alla sommessa voce... / Ho tanto male al cuore, ho tanto male, / che mia vita strazierei coi denti. / V’è un modo pe fuggir l’affanno atroce. / Ma tu mi tieni con il tuo dolce laccio, / Tu che non puoi dormir s’io non ti traccio / in fronte a sera, il segno della Croce».
Dal cuore dell’esule, sale l’invocazione a Dio: «Fa’ almen ch’io non mi volga indietro, ch’io / non dubiti, non tremi, non mi penta / del già compiuto (nel bene, s’intende): e dentro di me ti senta / sola fiamma inesausta ardere, o Dio».

Il Rosario tra le mani


Finalmente, Ada Negri, professoressa alla “Scuola Normale”, giornalista e poetessa ormai nota in Italia e oltre, attraverso l’opera amorevole e assidua di Federico Binaghi, ritorna a Dio e si incontra definitivamente con Cristo. A don Silvio Riva, sacerdote coltissimo e catecheta, confida: «Ora sono al crepuscolo della vita e non desidero altro che raggiungere i miei morti che sono in Dio. Non so quando sarà, ma non ho paura. Ogni giorno leggo il Vangelo e quella lettura mi dà il coraggio di proseguire. Ora Gesù lo sento vicino». E ancora: «Quando ero giovane non praticavo la Fede, ma sentivo la grandezza del Cristo. Non conoscevo la bellezza intatta del Dogma cattolico, non riuscivo a penetrarlo. Poi i miei occhi si aprirono e il dolore mi restituì la fede».
Legge “Storia di un’anima” di S. Teresa di Gesù Bambino e ne prova una immensa pace: «È stata chiamata “la piccola Santa”, ma è una delle anime più formidabili della Chiesa. È fatta di infinito, ma tutto luce e carità operante». L’esperienza di due guerre mondiali, le malattie che si susseguono, la delusione riguardo a certi “grandi” della terra in cui aveva creduto, la rafforzano nella sua dedizione a Gesù. Vede attorno a sé diversi uomini e donne di cultura non credenti e pertanto tristi fino alla disperazione. Ada Negri si impegna per trasmettere loro la sua Fede: lo fa con la preghiera del Rosario alla Madonna, che scopre dolce e potente, e con la sua cultura.
Come quando incontra il romanziere fiorentino Giovanbattista Agnoletti, agnostico, malato di cancro e ospite in casa di cura a Milano. Ada, aiutata da Federico Binaghi e dalla Grazia di Dio, lo conduce alla Fede, alla Confessione e alla Comunione quotidiana. Prima che Agnoletti riparta per Firenze, gli offre una foto di S. Teresina e un Rosario avuto in dono dalla celebre soprano Rosina Storchio, terziaria domenicana. Agnoletti scenderà nella tomba con il Rosario di Ada Negri tra le mani, dopo averlo sgranato anche lui alla Madonna.
È l’ora in cui la poetessa rosariante scrive in poesia: «Avevo due Rosari... / uno te lo donai perché ti fosse / compagno nelle notti in cui più il male / t’era martirio; e con lo scorrer dolce / dei chicchi fra le dita, nel pensiero / di Dio, placasse in te spirito e carne, / fratello... E io sull’altro a me rimasto sgrano / a sera le solinghe Ave Marie / te ripensando e le procelle e il santo / vero amor di tua vita... / su di te chiamando la luce eterna».
Dall’indifferenza e dal socialismo, Ada Negri era arrivata alla Fede cattolica e all’apostolato coraggioso e convinto, decidendo, dopo la conversione, di scrivere solo più per il bene delle anime. L’11 gennaio 1945, a Milano, quando la guerra non era ancora finita e profondo era diventato il suo soffrire, ella andò incontro a Dio. Nella poesia “I due Rosari” or ora citata, aveva scritto: «... Quando anch’io sarò / entro la terra con le mani giunte / sul petto, all’un dei polsi avrò un Rosario, / questo; e gran pace finalmente in cuore».


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2013-09-02

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