Cesare Degli Esposti venne alla luce a Gesso, in provincia di Bologna, alle 22 dell’8 agosto 1934 e, già al mattino seguente, venne portato al fonte battesimale. Suo padre Adelmo era un commerciante, mentre la madre, Mafalda, era casalinga. Dopo pochi anni, alla famiglia si aggiunse il secondo figlio, Paolino.
Nei primi venti giorni di vita il piccolo, sin da allora soprannominato Cesarino, manifestò un’intolleranza al latte materno, dalla quale guarì mediante l’intercessione della Madonna. Circa verso gli otto mesi cominciò a muovere i primi passi, ma, come spesso succede, cadeva per terra.
Verso i quattro anni, la madre lo iscrisse all’asilo parrocchiale, ma le risultò così attaccato che, nonostante l’accoglienza positiva delle suore, dovette ritirarlo. In famiglia imparò da subito ad avere un comportamento improntato alla bontà e a un intenso impegno, sull’esempio di entrambi i genitori.
Alle scuole elementari si mostrò sveglio e pieno di voglia d’imparare. Dopo la quarta elementare entrò al Collegio San Luigi di Bologna, diretto dai padri Barnabiti, per intraprendere la quinta e le scuole medie. Col suo carattere allegro non ebbe difficoltà a formarsi nuovi amici, alcuni dei quali ebbero ricordi interessanti da riferire su di lui.
Mario Zaffagnini, ad esempio, descrisse come, nell’estate 1946, i collegiali erano in colonia estiva a Gabicce: durante una gita al castello di Gradara, Cesare e un gruppo di amici tagliarono per i boschi, per arrivare alla villa della colonia prima degli altri, ma finirono col perdersi. Cesare solo rimase calmo e prese a consolare i compagni. Finalmente tornati alla base, vennero tutti rimproverati, ma lui si assunse la piena responsabilità dell’accaduto.
Giovanni Gasbarrini, che lo conobbe in quinta elementare, raccontò invece che faceva parte di una banda di ragazzi, rivale di quella di cui Cesarino era membro. Un giorno, mentre era da solo, venne preso a palle di neve da alcuni avversari, ma non reagì. Alcuni giorni dopo, lui era con alcuni amici, mentre Giovanni con un solo compagno. Il capo del suo gruppo fece per aggredire i due ragazzi, ma lui lo dissuase.
Una professoressa, Eugenia Cantucci, riferì invece delle sue materie preferite. Ad appassionarlo era soprattutto la storia antica, in particolare quella dei primi secoli del cristianesimo, mentre in latino manifestava una difficoltà tale da non riuscire a trovare, senza essere aiutato, alcune parole sul vocabolario.
Un giorno, durante l’intervallo, Cesare si mise a guardare Mario Zaffagnini mentre disegnava una nave da guerra. Approfittando della sua distrazione, l’altro diede un bel morso alla fetta di pane e marmellata che aveva con sé come merenda. La professoressa redarguì l’affamato allievo, ma lui lo scusò prontamente, affermando di non aver tanta fame.
Jolanda Vivarelli, un’altra insegnante, rammentò come, il giorno del suo matrimonio, lo vide assorto in preghiera. «Ho pregato Iddio, perchè lei sia felice, Signorina», le rivelò più tardi.
Verso i primi di ottobre 1942, probabilmente il 2, a Casalecchio di Reno, conobbe don Guerrino Ghelfi, parroco a Ceretolo, distante due chilometri da quel capoluogo bolognese. I genitori volevano offrire una vetrata per la nuova cappella di san Giovanni Bosco, facendovi incidere il nome di Cesarino, ma ad una condizione: quando il Cardinale sarebbe venuto a inaugurare la cappella, il loro figlio sarebbe stato ammesso alla Cresima e Comunione. Il tutto aveva già ottenuto il benestare dell’Arciprete.
Don Guerrino guardò il piccolo, che annuiva sorridendo alle parole della mamma, e gli chiese:
«Desideri proprio di fare la tua prima Comunione?».
«Sì, tanto, tanto!».
«E la vorrai fare bene?».
«Bene come la faceva San Luigi!».
Da quella sera, Cesarino venne ogni giorno per lo studio del catechismo, sempre puntuale e molto volentieri e sempre ben preparato. Più che delle formule a memoria, al sacerdote premeva che si imprimesse nella sua mente il loro significato.
La lezione durava un’ora, durante la quale spesso gli presentava figure di bambini santi e martiri. Il giorno in cui gli narrò di san Tarcisio, all’improvviso venne interrotto:
«Allora i martiri sono quelli che hanno amato di più degli altri il Signore?».
«Sì, e perchè?».
Con un sorriso, chinò il capo e mormorò: «Allora io...».
Prima di separarsi, andavano a visitare il Santissimo Sacramento e a rivolgere un saluto alla Madonna.
Gli ultimi tre giorni precedenti la Prima Comunione li passò in ritiro spirituale, stando in chiesa il più possibile, per essere molto vicino a Gesù. Dopo che l’ebbe ricevuto per la prima volta nell’Eucaristia, don Guerrino domandò a Cesare che cosa gli avesse confidato. «Gli ho detto quello che disse il piccolo Guido [il servo di Dio Guy De Fontgalland, ndr], ho detto di sì. Ho promesso a Gesù, che farò volentieri tutto quello che mi chiederà!».
Alla domenica e negli altri giorni di festa veniva sempre, accompagnato dalla mamma alla Messa dei fanciulli, durante la quale si accostava alla Comunione, non prima di essersi confessato.
Importantissimo per lui fu il cammino associativo nell’Azione Cattolica. Ne era così coinvolto da attirare i suoi coetanei in chiesa, a Messa e al catechismo e da presentarli al parroco. Era assiduo alle adunanze di sezione e soprattutto stimolava gli amici a mettere in pratica i piccoli suggerimenti che riceveva.
Ad interrompere quella serenità giunse la seconda guerra mondiale. Prima di sfollare da Casalecchio, Cesare andò a salutare don Guerrino, che rivide saltuariamente durante il conflitto. Finalmente, al termine dell’agosto 1947, si rincontrarono dopo circa un anno: il ragazzo lo tirò letteralmente per la veste e l’obbligò a salire in casa sua. Gli parlò delle vacanze al mare e dei suoi giochi preferiti, ma la mamma portò il discorso su un piano meno lieto: le sue difficoltà col latino, a causa del quale doveva affrontare gli esami di riparazione. Don Guerrino, per toglierli dai guai, offrì il proprio aiuto.
Trovò Cesare cresciuto nel fisico, ma il suo spirito gli sembrava identico ai giorni della Prima Comunione. Alla mattina, il ragazzino arrivava presto in bicicletta, partendo in tempo dalla città per risparmiare soldi nel biglietto del tram che lo portava fino a Casalecchio, così da darli in elemosina. Dopo aver salutato per primo il vero “Padrone di casa”, correva a giocare in compagnia degli altri Aspiranti, finché non era il momento di studiare: vi dedicava due ore e mezzo al mattino e circa due ore al pomeriggio. Ogni tanto, gli veniva da guardare fuori dalla finestra, ma quando il sacerdote lo richiamava all’attenzione si rituffava sui libri. Quando riusciva bene, gli veniva concessa una mezz’ora di riposo.
Nei momenti di svago giocava con gli altri e si arrampicava sugli alberi, in particolare su quelli di noci. Nel gioco era sempre leale, mai scorretto, evitava la rissa. Don Guerrino ricorda anche come, dal punto di vista della purezza e della modestia, fosse da lodare.
Pronto all’obbedienza, anche quando doveva affrontare la terza declinazione in latino che tanto gli risultava ostica, sapeva di doversi impegnare per piacere a Dio e soddisfare i genitori. In tal senso, compiva piccoli fioretti, come non bere di pomeriggio nonostante, dopo aver giocato, fosse accaldato. Terminata la giornata di studio, inforcava la bicicletta e salutava il sacerdote con «Sia lodato Gesù Cristo!».
Per il 21 settembre 1947 era stato organizzato un convegno nazionale della Gioventù Cattolica Italiana (GIAC) a Bologna, in occasione della traslazione delle spoglie del Fondatore, il conte Giovanni Acquaderni, nella Cattedrale cittadina, e per l’ottantesimo anniversario di quel ramo dell’Azione Cattolica. La sezione di Ceretolo venne impegnata da don Guerrino anzitutto con la preghiera: sabato 6 settembre, tutti i soci e gli aspiranti vennero convocati per la confessione mensile e Cesare fu il primo, ma non si comunicò in parrocchia.
Dal 7 al 14 settembre, infatti, si svolse a Bologna il Congresso Eucaristico Diocesano. Il ragazzo vi assistette sempre volonteroso e pieno di entusiasmo, a costo di sacrificare alcune ore di sonno per riuscire anche a studiare.
Il Congresso era stato preceduto da alcuni giorni di missione popolare, in occasione della quale in Cattedrale era ospitata la sacra immagine della Madonna di San Luca. Prima della processione notturna con cui dal Duomo l’immagine venne portata alla Certosa, Cesare e sua madre avevano partecipato alla Messa di mezzanotte, presieduta dal medesimo Cardinale che gli aveva dato la Prima Comunione.
A mezzogiorno del 20 settembre, fu di ritorno dall’esame. Alla domanda su come era andato l’esame rispose: «Mamma, mi pare di avere fatto bene!». Subito dopo, prese a insistere per andare a Ceretolo. La signora Mafalda rifiutò, dato che ormai l’esame lo aveva già fatto. Ma lui aveva la risposta pronta: «Ho ancora l’esame orale. Don Guerrino mi prepara bene!».
Salutò il fratello Paolino, che giocava con un loro amico, Petronio, poi scese le scale. Dandogli un bacio, la mamma gli chiese se proprio non volesse restare a giocare, ma Cesare non volle ritirare la parola data.
Alle sette di sera, al suo posto si presentò don Guerrino, a riferire che il ragazzo voleva per forza rimanere a Ceretolo, per essere pronto per venire al Convegno con gli altri giovani ed Aspiranti, ma aveva bisogno del tesserino d’ingresso all’Ippodromo. I genitori, sapendo del suo entusiasmo, non ebbero nulla in contrario, così affidarono al sacerdote un vestito nuovo e la tessera d’ingresso.
Per gli ultimi preparativi il parroco, Cesare e un quattordicenne, Roberto Fornasari, si sistemarono in un salone al pian terreno della canonica. Contrariamente a quanto indica la sua biografia, Cesarino non cantava allegramente canzoni religiose, ma era semplicemente intento al suo lavoro.
Mentre Roberto mostrava al parroco un cartellone da lui preparato, verso le 20:45, si udì un’esplosione, tanto potente da essere avvertita nei quartieri occidentali di Bologna e nei paesi vicini, incluso quello dove i Degli Esposti erano sfollati. Le indagini successive appurarono che si trattava di un bidone di latta pieno di esplosivo, innescato con una miccia. L’esplosione distrusse i mobili e danneggiò anche l’esterno: l’unica vittima fu Cesare, ritrovato con le mani quasi incrociate sul petto. Don Guerrino fu colpito da alcune schegge e perse l’uso del braccio destro, mentre Roberto, ricoverato in ospedale, ne uscì guarito dopo una decina di giorni.
Verso mezzanotte i genitori, che avevano scambiato l’esplosione per un tonfo dell’ascensore del palazzo, vennero avvisati della bomba in canonica, ma l’autista che li accompagnò fu evasivo. Arrivati in canonica, videro le macerie, ma non il corpo del ragazzo. Speravano di andare in ospedale, ma la macchina si fermò davanti alla loro casa con la scusa che i medici non permettevano le visite finché non si fosse fatto giorno.
L’indomani, al vedere che l’auto non si dirigeva in ospedale, la mamma intuì che il figlio era morto. Non poté ancora vederlo perché le autorità si stavano occupando degli accertamenti previsti dalla legge, ma vi riuscì nel pomeriggio. Durante la giornata della domenica, ricevette conforto nella fede da Sua Eccellenza Monsignor Danio Bolognini, che insieme all’Assistente Ecclesiastico della GIAC era venuto a visitarla.
L’indomani, a Ceretolo, si svolsero i funerali. Prima che chiudessero la bara, il dottor Carlo Salizzoni, Presidente diocesano della GIAC, si chinò sul ragazzo e gli appuntò sulla giacca il proprio distintivo dell’Azione Cattolica, affermando che se l’era ben meritato.
Per questioni di prudenza, la notizia della bomba non venne inizialmente diffusa al Convegno, ma la voce si sparse presto. Perfino i dirigenti nazionali dell’associazione, con in testa il Presidente centrale, Carlo Carretto (poi nei Piccoli Fratelli di Gesù), vennero a rendergli omaggio.
Poco più di un anno dopo, giunsero notizie di grazie singolari attribuite all’intercessione di Cesarino, precisamente la guarigione di due Aspiranti come lui. A Sermide, nel Napoletano e in Puglia gli vennero intitolate alcune sezioni di Aspiranti e venne pure pubblicata una sua biografia, «Piccolo Martire», fonte per queste note biografiche insieme ai ricordi personali di Roberto Fornasari, tuttora (2013) vivente e contattato telefonicamente da chi scrive.
Sessant’anni dopo, giovedì 20 settembre 2007, è stata celebrata una Messa in suo ricordo presso la Parrocchia dei SS. Andrea e Antonio a Ceretolo, seguita da una cerimonia presso la targa che ricorda il tragico episodio, alla presenza di una delegazione del Consiglio Comunale di Casalecchio di Reno e del parroco don Luigi Garagnani.
Autore: Emilia Flocchini
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