«Ricordo con trepidazione la prima santa Messa, celebrata nella cappella dell’Immacolata, nella chiesa di san Francesco a Faenza: ero solo con i miei compagni di ordinazione, mentre i bombardamenti accompagnavano la celebrazione con la loro tragica musica».
A distanza di anni, il padre conventuale Luigi M. Faccenda ricordava perfettamente l’inizio della sua grande avventura mariana e missionaria, sulle orme di padre Massimiliano Kolbe e sotto il manto dell’Immacolata.
Era nato a San Benedetto Val di Sambro, ridente paese dell’Appennino tosco-emiliano, il 24 agosto 1920, e ultimate le scuole elementari era entrato nel Seminario dei Frati minori conventuali a Faenza. La sua salute estremamente delicata lo costringeva però ad uscirne poco dopo e a tornare in famiglia, interrompendo gli amatissimi studi e il cammino appena iniziato.
Non si diede per vinto e cercò qualcuno che lo potesse aiutare a continuare la sua preparazione. Fu un parroco di un paese vicino, don Guido Zambrini, che ebbe cura della sua vocazione; padre Luigi in futuro gli avrebbe manifestato eterna riconoscenza per aver salvato, come lui diceva, il dono divino del sacerdozio.
Dopo la Professione semplice, emessa ad Assisi il 12 agosto 1938, e quella solenne, a Faenza nel 1941, viene ordinato prete il 18 maggio 1944 a Fognano, piccolo paese poco lontano da Faenza, dove si era trasferito il vescovo, mons. Giuseppe Battaglia, in seguito alle drammatiche vicende della guerra.
Da giovane sacerdote, padre Luigi ha un grande sogno, quello di diventare missionario, di partire per terre lontane per portarvi la luce della fede e la gioia del messaggio di Cristo. Coltiva nel suo cuore l’ardentissimo desiderio della missione, e magari di morire anche martire per testimoniare l’amore di Cristo.
La malattia, invece, gli impedisce di realizzare materialmente questo sogno, che si trasformerà in un altro progetto, non meno importante del primo. Per desiderio dei suoi superiori, infatti, sarà chiamato a lavorare per la diffusione della spiritualità e dell’ideale di san Massimiliano Kolbe.
Una nuova missione. A Bologna, nei primi anni Cinquanta, il giovane frate esercita il ministero di assistente spirituale della locale Milizia dell’Immacolata, raccogliendo pian piano attorno a sé alcune ragazze desiderose di vivere la consacrazione all’Immacolata in maniera totale.
Nasceva in questo modo nel 1954 l’Istituto delle Missionarie dell’Immacolata-Padre Kolbe. Era un po’ strano, anche nel 1954, vedere un cavallo trascinare per le vie della città un carretto carico di poche e povere masserizie: rappresentavano il primo arredamento della casa che avrebbe ospitato alcune giovani, ormai da tempo preparate e decise a dare inizio all’Istituto delle Missionarie dell’Immacolata-Padre Kolbe. Un istituto che oggi ha tre rami, corrispondenti a tre diverse forme di vita e di donazione a Dio. Il primo ramo è quello costituito dalle Missionarie, consacrate secolari che vivono in comunità o in famiglia la loro donazione a Dio con i tre voti di castità, povertà ed obbedienza; ad esse si affiancano i consacrati del ramo maschile, i Missionari dell’Immacolata-Padre Kolbe nati poco più di dieci anni fa in Brasile, ed i Volontari dell’Immacolata-Padre Kolbe, laici e sacerdoti, che sono aggregati all’Istituto, condividendone la spiritualità e missione secondo il proprio stato di vita.
Tutti insieme formano un’unica, grande famiglia con un comune denominatore: la consacrazione all’Immacolata. E con un unico progetto: portare l’amore di Dio sulle strade del mondo come apostoli di Maria, nello spirito di san Massimiliano Kolbe, il grande martire di Auschwitz.
Essere tutti di Maria. Missionario instancabile, con la penna e con la corona del rosario in mano, sulle orme di san Francesco e di Massimiliano Kolbe, padre Faccenda si farà promotore nel corso degli anni di molteplici iniziative di evangelizzazione. L’attività attività mariana e missionaria fiorisce con la pubblicazione della rivista mensile Milizia Mariana e con lo sviluppo delle Edizioni dell’Immacolata che offrono ancora oggi pregevoli libri di formazione, di studio e di spiritualità, soprattutto mariana e kolbiana.
A seguito di tale infaticabile e feconda attività, il 17 maggio 1995 la pontificia facoltà teologica San Bonaventura in Roma, con l’approvazione della Congregazione per l’educazione cattolica, gli conferì la laurea ad honorem in sacra teologia per il contributo offerto, con la parola scritta e con la predicazione instancabile, all’approfondimento e alla diffusione del pensiero e della spiritualità mariana di san Massimiliano Kolbe.
Il giovane frate che voleva partire e morire martire in terre lontane ha capito, col tempo, che un altro martirio, quello delle sue innumerevoli malattie, e un’altra opera missionaria, quella fatta con la penna e i libri fasciati di parole, lo aspettava. «Porgere la mano a tutti e tutti portare a Dio per mezzo dell’Immacolata, bella missione per la quale vale la pena di vivere, lavorare, soffrire e anche morire», diceva padre Massimiliano Kolbe, e padre Luigi si può dire che farà suo questo programma di vita in ogni istante della sua esistenza operosa. Nei molti libri da lui scritti sono raccolte numerose catechesi ed esperienze, riflessioni teologiche e pastorali, da cui emerge il suo amore appassionato per Dio, per l’Immacolata e per la salvezza di ogni uomo.
«Imitare Maria: questo è il primo passo – scriveva – che scaturisce dalla consacrazione a lei e che, giorno dopo giorno, dà spazio in noi al volto di Cristo e ci rende suoi testimoni. La consacrazione a Maria ci proietta totalmente nel piano della salvezza: non solo per la nostra personale santificazione. Essa diventa infatti lo stimolo ad operare anche per la santificazione di tutti gli uomini. "Tutto tuo, Maria, per portare a Dio tutti gli uomini", potrebbe essere il motto del cristiano di oggi».
La Madonna è sempre stata nel cuore del padre Faccenda, ed egli non si stancava di inculcare nei suoi figli e figlie spirituali l’amore per la Madonna e la necessità di «essere tutti di Maria».
Ma perché appartenere all’Immacolata? Perché Dio, nel suo progetto, l’ha voluta come mezzo più efficace, come via più breve per raggiungere lui. Non certo più breve o più facile perché ci tenga lontano dalle prove, dalle difficoltà; ma questa è la via che Dio stesso ha percorso per manifestarsi al mondo, e pertanto è la migliore. La totale appartenenza all’Immacolata era dunque il suo "segreto", che però non volle tenere per sé e che costituirà il fulcro di tutta la sua attività e di ogni suo scritto. Già avanti negli anni, fiaccato nel fisico, ma non nello spirito, e sentendo ormai prossima la fine, il Padre scriveva: «Non mi considero né un relitto, né un sorpassato. Non sopravvivo, vivo. Non sono un tronco secco, ma un albero che mette foglie e rami, che dona frutti… Sono come un albero che morendo trasmette vita e che, generando vita, continua la propria».
La mattina del 9 ottobre 2005, domenica di resurrezione, padre Luigi Faccenda è tornato alla Casa del Padre, a 85 anni di età, dopo un’esistenza laboriosa e santa, per ricevere da Dio il premio del servo buono e fedele. E Maria l’avrà atteso quel giorno sulla porta del Cielo, aprendogliela con un sorriso.
Autore: Maria Di Lorenzo
|