Il 10 gennaio 1994 i medici del pronto soccorso che se lo trovano davanti, pensano di aver a che fare con un barbone: quell’uomo, che per l’anagrafe ha poco più di 60 anni, ne dimostra almeno venti in più, tanto il suo fisico è provato, deperito e stanco, come di chi si alimenta poco e male. Non per nulla la diagnosi del ricovero parla di “occlusione intestinale” come conseguenza di un’alimentazione non corretta. Morirà quattro giorni dopo, ed a rafforzare l’idea che si tratti di un barbone sono le “strane” visite di tanti clochard che si avvicendano al suo letto, eludendo la stretta sorveglianza e in barba al divieto assoluto di visite. Jean Merlin nasce il 1° novembre 1931 in una famiglia della media borghesia parigina, le cui condizioni economiche sono tali da permetterle di avere al proprio servizio, oltre ad alcuni dipendenti, anche un autista e un giardiniere. Papà, forse per essere andato a scuola dai preti, è un anticlericale convinto; mamma e nonna, invece, assicurano a lui ed al fratello un minimo di formazione religiosa. A sedici anni anche lui è, come papà, lontano dalla chiesa e dai sacramenti; in più è nauseato dai discorsi che si fanno in casa e che hanno come unico argomento i soldi, la ricchezza e il commercio; non è neppure uno studente modello, visto che sembra essere abbonato agli esami di riparazione; non per ultimo è anche balbuziente. Nonostante tutto riesce a laurearsi in giurisprudenza nel 1957 ed anche a raddrizzare la sua vita spirituale, grazie ad un gesuita che lo affianca nel suo cammino di fede. Comincia ad avere una particolare sensibilità per i malati ed un’attenzione tutta particolare per i “lontani”. Fa il militare in Algeria, a Costantina: 27 mesi in zona di guerra, vissuti tutti con dedizione e disponibilità, non nascondendo la sua avversione per le armi e la sua opposizione ad ogni forma di tortura. Infatti, è l’unico soldato francese a poter liberamente entrare, anche in divisa, nei vicoli della casbah, dove fa distribuzione di pane formaggio e cioccolata ai ragazzi algerini ed aiuta i poveri, magari anche solo con un sorriso. Al momento del congedo non fa valere la sua condizione di ex combattente e neppure la sua laurea, rifiutando posti lavorativi di prestigio e ben remunerati per andare a lavorare nell’ufficio di assistenza sociale del 18° distretto di Parigi. Che da subito diventa un frequentatissimo crocevia di tutte le miserie umane: barboni, stranieri, delinquenti, ex carcerati, famiglie numerose. Con professionalità, delicatezza e lungimiranza, Jean arriva dove può, attingendo spesso e volentieri dalle proprie tasche quando l’aiuto pubblico tarda ad arrivare o è troppo inadeguato. Raccontano i testimoni che molte volte il suo stipendio serve interamente a saldare bollette, a comprare pane, a pagare gli affitti scaduti dei suoi protetti. Raccontano anche delle volte in cui fa dormire il barbone di turno nel suo letto, adattandosi a dormire sul pavimento; di come sa mettere a frutto le sue qualità organizzative per passare da una carità occasionale ad un impegno associativo di solidarietà, distribuendo pasti e viveri, offrendo ai senzatetto la possibilità di una “domiciliazione” per farli uscire dall’anonimato e dare loro un minimo di dignità. Ormai tutti hanno capito che quella fonte inesauribile di carità che gli sgorga dentro attinge direttamente dall’Eucaristia, ed è nutrita dalle opere di Santa Teresa, Sant’Agostino e San Giovanni della Croce: solo così in ogni povero riesce a vedere un Gesù da aiutare, consolare soccorrere. Nessuno quindi si stupisce quando, alla soglia dei 50 anni, fa il suo passo decisivo verso il diaconato permanente, offrendo la sua vita al servizio della chiesa e dei più poveri, come d’altronde già ha fatto fino ad allora. Ordinato il 3 maggio 1980, si divide tra il lavoro d’ufficio, il servizio in parrocchia, il soccorso dei poveri. Sono questi ultimi, insieme ai più “lontani”, ad apprezzare particolarmente il suo ministero umile, la sua predicazione semplice e concreta, il suo interesse verso chi fa più fatica a sentirsi “a casa” nella Chiesa. “Essere per gli altri è già una forma di trascendenza”, è solito ripetere: per questo vive e muore poverissimo, con vestiti logori, divorato dalla sua ansia di aiutare tutti. E non è certo un caso che sia stato proprio un militante comunista a sollecitare per primo il vescovo di Parigi ad avviare nel 2005 la causa di beatificazione di un diacono permanente, diventato veramente “servo” di tutti.
Autore: Gianpiero Pettiti
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