Albert Loiseau nacque a Moulins, in Francia, ma più tardi i suoi genitori si trasferirono ad Angers. Sembrava quasi che in lui ci fossero due anime: una sfrenata e incline allo scherzo, l’altra pronta a commuoversi e a pentirsi per le sue cattive azioni. Il padre lo castigava spesso: a quel punto lui teneva il broncio, ma poi rientrava in sé stesso e si pentiva. La madre, invece, non lo puniva e neppure lo rimproverava, perché sapeva quanto facilmente sentisse dispiacere per quanto faceva di sbagliato.
Per correggersi, prese ad annotare le sue colpe in un libriccino. Ecco un estratto: «Sono un fannullone, una testa dura, voglio quel che voglio. Sono un indolente, la mattina non trovo mai il momento di fare un salto dal letto».
Quel temperamento volitivo aveva pure un risvolto buono: lo portava, infatti, a difendere i più deboli, come sapeva bene suo fratello Eugène, che correva da lui per farsi proteggere dai compagni.
Ma Albert mostrava un ardore ancora più grande quando andava in chiesa a visitare Gesù. Un giorno, credendo di essere solo, proruppe in un’esclamazione: «Mio Gesù, io ti amo!». Qualcuno, tuttavia, lo udì e credette opportuno chiedergli, guardandolo in faccia: «Che cosa pensi di diventare?”. La sua schietta risposta fu: «Io divento un santo».
Santo sì, ma non da solo: trasferitosi ad Angers, fece amicizia con alcuni monelli del posto. Preoccupatosi della loro scarsa attenzione alle cose di fede, dopo aver notato che all’Eucaristia domenicale era l’unico ragazzo insieme ad alcune donne e a pochi anziani, durante una giornata di giochi particolarmente sfrenati lanciò una proposta: «Amici, volete farvi cavalieri della Croce? Volete servire Gesù e difendere l’Ostia santa?».
I compagni di gioco, sulle prime, rimasero senza parole, ma presto condivisero il programma stabilito da Albert per il gruppo dei “Cavalieri della Croce”: pregare ogni giorno; ricevere spesso la Comunione; fare sacrifici per amore di Gesù; essere apostoli, lavorare per Gesù. Quando gli associati tendevano a non essere coerenti con quelle regole, il piccolo capo raccomandava loro: «Amici, restiamo fedeli!».
Lui per primo s’impegnava a vivere quanto aveva deciso: appena sveglio rivolgeva il suo cuore a Dio, ancor prima di far colazione. Ogni giorno assisteva alla Messa e si accostava alla Comunione tutte le domeniche, ma desiderava riceverla più spesso. Quando decise di farlo anche nei giorni feriali, la sua gioia divenne incontenibile: «Gesù vive in me!», confidò alla mamma.
Inoltre, ogni giorno recitava il Rosario, premettendo, ad ogni mistero, un’intenzione particolare: per la mamma, per un suo compagno affinché si conservasse buono, per i poveri, per gli ammalati e per i peccatori.
A interrompere la sua serena vita venne la malattia, che gl’impedì di frequentare la chiesa. Albert, tuttavia, non si scoraggiò: a fianco del letto teneva il Crocifisso e un quadro della Madonna, cui indirizzava le sue preghiere. Aveva con sé il taccuino, dove non annotava più le sue colpe, ma le sue offerte: «I dolori mi martoriavano tanto, ma non mi lamentavo»; «Di fuori i fanciulli mi cercavano, sentivo il richiamo dei loro fischi»; «Dovevo prender la medicina e dormire e me ne stavo lì paziente, pensando a Gesù».
Per cercare di guarire, dovette cambiare aria, secondo le prescrizioni del medico. Senza esitare, il ragazzo partì, ma non dimenticò i suoi amici: «Conservatevi veri Cavalieri della Croce! Proteggete l’Ostia santa!», «Arruolate nuovi cavalieri per la nostra crociata eucaristica!», erano le sue esortazioni.
L’aria di campagna sembrò giovargli, tanto che Albert si fissò nuovi propositi: «Voglio mangiare tutto ciò che prepara la mamma. Voglio ubbidire al minimo cenno. Voglio andare di frequente in Chiesa. Voglio diventare un buon sacerdote».
Tornato a casa, fece amicizia con alcuni ragazzi aderenti a un gruppo scout, ma non per molto tempo poté godere della loro compagnia: il male, infatti, lo colpì di nuovo, con febbre e dolori brucianti. Cercava di sopportare tutto, perfino le visite indesiderate e gli inviti, da parte degli amici a venire con loro, per i peccatori e le anime del purgatorio.
La mamma, già provata dalla perdita del marito, soffriva insieme col figlio, il quale, dal canto suo, cercava di farla contenta per quanto possibile, ad esempio mangiando anche quando non aveva appetito. Di notte, per farla riposare, fingeva di dormire anche se respirava a fatica.
Un giorno, mentre la mamma non c’era, venne a trovarlo un sacerdote, con il quale si aprì completamente. All’improvviso, la madre tornò e lo colse mentre, in lacrime, raccontava i suoi dolori al suo interlocutore. Subito Albert si calmò e, sorridendo, le disse: «Mamma, non piangere!». Il tono di quelle parole fermò il suo pianto.
Sul suo libricino, il ragazzo trascrisse un dialogo interiore che ebbe con Gesù dopo averlo ricevuto nella Comunione.
«Io ti voglio bene. Che cosa vuoi da me?».
«Figlio mio, vuoi essere il mio cavaliere? Vuoi diventare un mio sacerdote?».
«Sì, ma allora che devo fare?».
«Sii un ragazzo buono e sincero, non lasciarti sviare, dà buon esempio».
Dopo quelle parole, Albert aggiunse:
«Cara Madonna, piccola santa Teresa, aiutatemi voi! Voglio essere un cavaliere di Gesù. Fate ch’io diventi sacerdote. È questo il mio desiderio. Perché? Perché voglio essere un buon figliolo, voglio far felici le anime, voglio patire, voglio essere vicino a Gesù!».
L’unico dispiacere di Albert era quello che, se fosse morto, non avrebbe potuto, da sacerdote, prolungare la missione di salvezza di Gesù, ma col tempo capì di poterlo fare in maniera diversa, arrivando a dichiarare, mentre i dolori continuavano a crescere: «Signore, io amo la mia malattia. Gesù, fammi patire; io salvo già le anime».
Per ottenergli la guarigione, gli fu proposto di andare a Lourdes. Albert sostò a lungo davanti alla grotta dell’apparizione, pregando in ginocchio e singhiozzando. Durante il viaggio di ritorno, invece, fu tanto di buon umore da stupire la zia che l’accompagnava: la Madonna gli aveva almeno dato la grazia di rasserenarsi.
Appena giunse a casa, domandò, lasciandosi cadere sul letto: «Dov’è il confessore?». Era ormai in fin di vita. Mentre la madre lo supplicava di non andarsene, lui ebbe la forza di sospirare le sue ultime parole: «Incominciate le preghiere dei moribondi». Dopo aver baciato per l’ultima volta le piaghe del Crocifisso, ricadde con la testa all’indietro e si spense. Il giorno della sua morte cadde nell’ottava della festa del Sacro Cuore di Gesù.
La storia di Albert Loiseau e di tanti altri piccoli amici di Gesù, quasi tutti sconosciuti o dimenticati ai nostri giorni, fu sintetizzata dalla scrittrice Maria Schmidtmayr nel libro «Bambini Santi».
Autore: Emilia Flocchini
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