Biagio Verri, il futuro “apostolo delle giovani schiave”, nacque nel 1819 a Barni, un piccolo borgo che sorge sulle sponde del lago di Como. Sentì la vocazione sacerdotale quando era poco più che adolescente e ricevuta l’ordinazione a Milano nella primavera del 1843, si dedicò ai giovani nell’Oratorio San Luigi. Nel 1850 arrivò la svolta della sua vita: conobbe Niccolò Olivieri, uno straordinario sacerdote che dedicava la propria esistenza al “riscatto” delle giovani donne di colore in stato di schiavitù. Era ospite delle Suore Canossiane, alla ricerca di sovvenzioni, quando don Biagio si offrì d’aiutarlo. Nacque così un’amicizia e una importante collaborazione a vantaggio della “Pia Opera per il riscatto delle Fanciulle more”. Nel 1857, col consenso dell’arcivescovo e l’autorizzazione del Ministro provinciale dei Cappuccini - essendo terziario francescano - don Verri diede un commosso addio all’oratorio. Iniziò anch’egli il mestiere del “ghellaba”, il “negriero di Dio”, per contrastare il mercato clandestino di schiavi ancora fiorente - in particolare ad Alessandria d’Egitto e al Cairo - sebbene fosse stato abolito dal Congresso di Vienna. I due sacerdoti si prodigarono generosamente per quelle sventurate, affrontando grandi sacrifici. Giravano di paese in paese alla ricerca di offerte per liberarne quante più potevano. Data loro una nuova dignità, le circondavano d’affetto. Quante volte negli anni il servo di Dio attraversò il Mediterraneo, con le difficoltà di quei tempi. Numerose furono le collaborazioni che il Verrì stabilì con conventi e monasteri femminili dove faceva ospitare le giovani. In seguito continuava ad occuparsene, chiedendo notizie per lettera o, se possibile, andando a visitarle. Alcune di esse abbracciarono la vita religiosa e questo probabilmente fu, per il sacerdote comasco, la più grande soddisfazione. Al Cairo centinaia di esse furono affidate all’Istituto delle Francescane Missionarie d’Egitto fondato dalla beata Caterina Troiani (1813-1887). Intrattenne inoltre rapporti con san Daniele Comboni che in una lettera gli scrisse: “Io sono bramosissimo di vederla e di discorrere della nostra cara Africa…”. Amico di don Bosco, don Verri periodicamente trascorreva giorni di ritiro spirituale a Valdocco e fu nella chiesetta di S. Francesco di Sales che decise di consacrare la sua vita alla salvezza delle piccole schiave, dopo aver trascorso la notte dinanzi al SS. Sacramento. Don Biagio stabilì un rapporto di collaborazione anche con la savonese santa Maria Giuseppa Rossello, Fondatrice delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, che aprì le porte del suo istituto per alcune di quelle sfortunate ragazze. Dopo la morte dell’Olivieri, incoraggiato da papa Pio IX, don Biagio portò avanti l’Opera. Era ormai consolidata la rete di collaborazioni tra amici e benefattori, sia religiosi sia laici.
I preziosi scritti di don Verri testimoniano la sensibilità di un padre: “È sempre meglio mancare per troppa bontà che averne difetto”. Era quanto rispondeva a coloro che lo rimproveravano, affermando che alcune “riscattate” abusavano della sua bontà. In altra occasione disse: “Lasciamoci condurre dalla Provvidenza che ha le viste più lunghe di noi poveretti, ed ogni cosa volge in bene di chi a lei si affida”.
Don Verrì morì a Torino, ospite della Piccola Casa della Divina Provvidenza, il 26 ottobre 1884. Fu poi sepolto a Barni nella Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo. Il processo di beatificazione fu aperto a Milano nel 1921 dall’Arcivescovo beato Cardinale Ferrari. Il Cardinale beato Ildefonso Schuster, che nel 1935 aveva autorizzato la raccolta degli scritti, venti anni più tardi affermò: “Lo chiamano “l’apostolo delle Morette” e lo fu attraverso una lunga ed atroce “Via Crucis”. Ma la sua multiforme santità si affermò in tutto il vasto campo delle virtù sacerdotali… ”.
Autore: Daniele Bolognini
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