Un mese prima che lo ammazzassero, un monaco benedettino suo amico gli aveva chiesto se temeva per la sua vita. «Ho più paura di svegliarmi una mattina e sentire che mi hanno cacciato dalla Chiesa» era stata la risposta bruciante di Carlos Mugica, sacerdote terzomondista ucciso l’11 maggio 1974 davanti alla chiesa porteña di San Francisco Solano, dove aveva appena finito di celebrare la messa. Quarant’anni dopo, la Chiesa di Buenos Aires e di tutta l’Argentina fa memoria di don Carlos con una settimana di preghiera e iniziative di commemorazione, a cui prende parte anche il cardinale di Baires Aurelio Poli. L’equipe dei Curas Villeros, i sacerdoti che vivono e operano nelle baraccopoli della città, celebrano messe e organizzano festival popolari per rendere grazie a Dio della vita del prete martire che ha ispirato tanti di loro. Anche l’arcivescovo Josè Marìa Arancedo, parlando come presidente dei vescovi argentini, ha definito Mugica «un sacerdote che ha vissuto la sua fede e il suo mistero in unione con la Chiesa, e al servizio dei più bisognosi».
L’omaggio offerto oggi dalla Chiesa argentina al nome di Carlos Mugica ribalta i timori di incomprensioni e condanne ecclesiali che agitavano il sacerdote prima del suo assassinio. In questo contrasto, come in tanti altri dettagli della sua vita, la vicenda di Mugica racconta fuori da letture conformiste e interessate il cammino di buona parte del cattolicesimo latino, dal Concilio fino ai giorni di Papa Bergoglio.
Carlitos Mugica veniva da una famiglia benestante, che abitava nei quartieri ricchi di Buenos Aires: la madre ereditiera di latifondisti, il padre avvocato impegnato in politica, conservatore e anti-peronista. Era cresciuto con cuoche e domestiche, praticando tennis, calcio e rugby. La vocazione sacerdotale era emersa a 20 anni, complice un viaggio a Roma per il giubileo del 1950, grande prova di energia della Chiesa di Pio XII. Intelligenza vivida, cuore appassionato, temperamento risoluto: le sue doti umane non erano state ignorate nella Chiesa di Buenos Aires. Dopo l’ordinazione era stato per un erto periodo anche arruolato tra i collaboratori stretti del cardinale Antonio Caggiano. A guidare su altri percorsi la sua prorompente sensibilità sacerdotale fu nei primi anni Sessanta l’esperienza pastorale compiuta quasi per caso tra le cabecitas negras di Villa Retiro, i poveri e gli immigrati di una delle più antiche baraccopoli porteñe. Sull’onda del Concilio, Mugica è tra i primi preti argentini ad aderire al Movimento dei sacerdoti per il Terzo Mondo, che sulla linea di figure come il vescovo brasiliano Helder Càmara si coinvolgono nelle lotte popolari in nome del’opzione per i poveri. In Mugica, tale partecipazione assume la forma della militanza politica vera e propria nei movimenti della sinistra peronista, dopo il golpe che nel 1955 aveva rovesciato il governo del presidente Juan Domingo Peròn e lo aveva costretto all’esilio. «Sono un convertito al peronismo, e dicono che i convertiti sono più fanatici» diceva di sé padre Mugica. Nel 1972 ci sarà anche lui e l’altro sacerdote villero Jorge Vernazza nell’aereo che dall’Europa riporta Peròn in Argentina per il suo ultimo, effimero ritorno al potere. In tutti quegli anni, Mugica convive con il timore che le autorità ecclesiastiche lo costringano a lasciare l’abito sacerdotale per il suo impegno politico. Quella militanza che lui, in quel tempo e in quelle circostanze, vive come conseguenza concreta e inderogabile della sua opzione per i poveri: «Niente e nessuno mi impedirà di servire Gesù Cristo e la sua Chiesa lottando insieme ai poveri per la loro liberazione» scriveva Mugica con una frase che i Curas Villeros di oggi hanno scelto come slogan per le celebrazioni di questi giorni.
Nelle circostanze della morte si ritrovano le cifre e le tensioni che hanno accompagnato tutta la vicenda di Mugica, sacerdote e militante peronista. Negli ultimi mesi di vita Carlos finisce sotto attacco da destra e da sinistra, nella sanguinosa deflagrazione delle fazioni e degli apparati legati a Peròn che aprirà la strada agli anni della dittatura militare. Mugica entra in conflitto col controverso Josè Lòpez Rega, ministro dei servizi sociali nel governo, conosciuto per la sua appartenenza a ambienti occultisti massonici e burattinaio della Alianza Anticomunista Argentina, l’organizzazione paramilitare a cui anche i parenti di Carlos attribuiranno l’assassinio del sacerdote. Ma negli ultimi tempi, la sua fedeltà a Peròn scatena contro di lui anche l’ostilità dei gruppi che imboccano la guerriglia e l’opzione rivoluzionaria a colpi di bombe, rapimenti e attentati, a partire dai Movimento Peronista Montonero. Mugica, che in precedenza non aveva escluso l’insurrezione popolare come risposta all’oppressione, assume posizioni nette contro il ricorso alla violenza politica. «I gruppi che pretendono di arrogarsi la rappresentanza popolare per perpetrare atti violenti» scrive in quel frangente il sacerdote «non solo si oppongono gravemente alla Legge di Dio, ma disprezzano anche un popolo che ha manifestato lealmente la sua volontà». E ancora: «Molti guerriglieri non sono affatto del popolo: sono intellettuali piccolo-borghesi che imparano la rivoluzione sui libri, e non nella realtà».
La sera dell’11 maggio di quarant'anni fa, l’ultima giornata di padre Mugica fu la giornata ordinaria di un sacerdote della Villa: aveva giocato a pallone con alcuni ragazzi villeros, poi aveva incontrato le coppie di giovani fidanzati nella parrocchia di san Francisco Solano, e infine aveva celebrato la messa prefestiva vespertina. Il suo assassino lo aveva freddato fuori dalla chiesa. Al suo funerale parteciparono più di 20mila persone. «Quelli che militavano in formazioni politiche lo consideravano un leader politico» ha spiegato padre Guillermo Torre, suo attuale successore nella chiesa villera di Cristo Obrero (Cristo Operaio) «ma per la gente della Villa lui era semplicemente “el padrecito”».
Jorge Mario Bergoglio non conosceva bene Mugica. Lo aveva incontrato qualche volta all’Università del Salvador, dove Carlos aveva tenuto dei corsi di teologia negli anni Sessanta. Ma da arcivescovo di Buenos Aires, il 9 aprile 1999, è stato Bergoglio a presiedere la cerimonia di traslazione delle spoglie di Mugica nella cappella di Villa Retiro dove aveva speso buona parte del suo sacerdozio. Così pregò l’attuale vescovo di Roma in quell’occasione: «Per la morte di padre Carlos, per i suoi assassini materiali, per quelli che furono gli ideologi della sua morte, per i silenzi complici di gran parte della società e per le volte che, come membri della Chiesa, non avemmo il coraggio di denunciare il suo assassinio, Signore abbi pietà». A quarant’anni da quella morte, le accuse e i sospetti che influenti settori ecclesiali rovesciavano a quel tempo su Mugica e su molti dei Curas Villeros si sono dissolti. Per i preti trentenni e quarantenni che oggi operano nelle Villas, Mugica e gli altri della prima generazione di Curas Villeros sono i precursori di una esperienza ecclesiale che continua a confessare in forme sempre nuove la sua sorgente evangelica. «Il tempo che scorre rende più chiare le cose» ha detto ancora padre Torre: «adesso si vede meglio che anche per i primi l’unico criterio era il Vangelo. Amare i poveri vivendo in mezzo a loro, come ha fatto Gesù».
Autore: Gianni Valente
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