Faenza, Ravenna, 3 marzo 1962 - Acorma, Perù, 18 marzo 1997
Daniele Badiali nasce a Faenza il 3 marzo 1962. Aiutato dal suo parroco, conosce l’Operazione Mato Grosso e si coinvolge in molte azioni caritative. A ventidue anni parte per un’esperienza missionaria di due anni a Chacas, in Perù: rientra in Italia tre anni dopo, per iniziare gli studi in vista del sacerdozio a Bologna. Nel 1991, due mesi dopo l’ordinazione sacerdotale, don Daniele ritorna in Perù come “fidei donum” della diocesi di Faenza-Modigliana. Il 16 marzo 1997, mentre torna con alcuni collaboratori da un impegno pastorale, si sostituisce a una di questi volontari, che alcuni uomini armati vogliono rapire per chiedere un riscatto. Due giorni dopo, il suo cadavere viene trovato in una scarpata; viene riportato a Ronco, il paese dov’era cresciuto, e sepolto nel cimitero del luogo. L’inchiesta diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per la verifica delle virtù cristiane in grado eroico, si è svolta nella diocesi di Faenza-Modigliana dal 20 marzo 2010 al 19 ottobre 2014. Tuttavia, il 15 ottobre 2021, la diocesi ha reso nota una formale comunicazione da parte della Congregazione delle Cause dei Santi, secondo la quale i Consultori teologi non hanno ravvisato l’eroicità delle virtù da parte di don Daniele. Papa Francesco ha quindi disposto che la causa non proceda ulteriormente.
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Il “don” della sua parrocchia di Ronco, nella Romagna faentina, gli fa per tempo fare esperienza di volontariato, chiedendogli di faticare per il prossimo, per provare la gioia di offrire il suo tempo agli altri e così viene in contatto, tra l’altro, con l’Operazione Mato Grosso: Daniele Badiali, però, è un generoso che non si accontenta di amare a distanza o per procura. Così, nel 1984, a ventidue anni appena compiuti, parte per fare un’esperienza di due anni a Chacas, in Perù, dove si trova don Ugo de Censi, salesiano, fondatore dell’Operazione Mato Grosso. Qui, insieme agli altri, impara la strada dell’umiltà, la verifica della vocazione, la correzione e la limatura del carattere: un vero e proprio “noviziato” che lo prepara a scelte definitive ed importanti. Nel 1987 il vescovo gli chiede di rientrare in Italia, per iniziare il percorso di studi nel seminario di Bologna. Daniele sente forte la mancanza del Perù, ma sta imparando cos’è l’obbedienza e come si fa a rispettare i tempi della Provvidenza. Tanto che non gli sembra neppur vero quando vi può ritornare nel 1991, a due mesi dall’ordinazione, come prete “fidei donum”, assumendo la responsabilità della parrocchia di San Luis, sulle Ande; il che vuol poi dire prendersi cura di sessanta paesini, da tempo senza prete, raggiungibili solo a piedi o a cavallo, perché le strade non ci sono. La sua casa diventa subito punto di riferimento per i tanti poveri, continuamente assediata da chi viene «per chiedere viveri, per chiedere medicine, per chiedere, per chiedere, per chiedere... Sono intontito da questi assalti continui, mi è difficile uscire di casa, subito vedo che mi corrono dietro per cercarmi, per chiedere. Non so cosa fare... scapperei di fronte a tutto questo, perché non so dire di sì e sento bene che non posso negargli l’aiuto... sono chiamato a dare via tutto sapendo che domani ricomincio daccapo e devo dare via ancora tutto». A cominciare dal suo tempo, di cui si lascia volentieri spogliare, al punto da dover ammettere: «Non so più cos’è la quiete, le ore di sonno si accumulano. A volte penso che morirò per non riuscire più a tenere gli occhi aperti dalla stanchezza... che bello morire così!». Le sue giornate sono vorticosamente vissute «tra feste nei villaggi, ritiri con i ragazzi, confessioni, preparazione alle prime comunioni, oratorio da seguire, lezioni in seminario da fare, senza contare matrimoni, battesimi, funerali. Sono a San Luis solo la domenica per la Messa e poi scappo. Ormai dormo anche sui sassi». Agli amici in Italia scrive di non sapere «come trasmettere la sofferenza che provo nel vedere tante pecore senza pastore!!! e come dire la sofferenza che provo nell’accorgermi che Dio conta sempre meno nella vita delle persone che cerchi di educare alla religione!». Mentre si sente «un prete ai primi passi del cammino dell’amore», sente anche tutta la fatica del credere, soprattutto a confronto con la fede genuina e semplice dei suoi parrocchiani. Così, mentre gli altri restano affascinati dalla sua «allegria contagiosa” e ammirano in lui soprattutto «la grande fede”, lui confessa di sentirsi «un peccatore, un incredulo in cammino verso il Vangelo». «Questa scoperta della mia incredulità mi fa stare coi piedi per terra, mi fa soffrire, però non mi toglie il desiderio di sperare nel Signore e nella sua bontà»: così, volando tra un impegno pastorale e l’altro, pur avvertendo il dramma del vuoto e dell’assenza di Dio e «la delusione che questo Dio crocifisso non è quello che la gente cerca», cerca «di imparare a vivere ciò che Gesù ci ha detto, … imparare a dar via la propria vita…». Ecco perché la sera del 16 marzo 1997, mentre torna con i suoi collaboratori dai soliti impegni pastorali e la sua macchina viene fermata da un gruppo di banditi armati che vogliono un italiano in ostaggio per chiedere un forte riscatto a don Ugo, don Daniele non ha un attimo di esitazione: «Tu rimani, vado io», dice alla volontaria Rosamaria, che già sta avanzando verso il gruppo armato. Lo ritrovano due giorni dopo in una scarpata, con le mani legate e finito con un colpo alla nuca. I suoi cristiani ricordano immediatamente quando insegnava «a guardare in faccia alla morte, solo così si capisce quale direzione dare alla vita». Il suo corpo viene riportato in Italia e sepolto nel cimitero di Ronco, il paese dov’era cresciuto. L’inchiesta diocesana della causa di beatificazione di don Daniele, per la verifica delle virtù eroiche, fu celebrata dal 20 marzo 2010 al 19 ottobre 2014 nella diocesi di Faenza-Modigliana. Il 15 ottobre 2021 monsignor Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, ricevette formale comunicazione da parte del prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinal Marcello Semeraro. Nella lettera era scritto che, sebbene i Consultori Teologi avessero riconosciuto elementi positivi nella vita cristiana di don Daniele, il materiale raccolto durante l’inchiesta diocesana non permetteva loro di definire come eroico il suo esercizio delle virtù cristiane. Di conseguenza, papa Francesco dispose che la causa non procedesse ad ulteriora.
Autore: Gianpiero Pettiti
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