Nascita e famiglia
Il 15 novembre 1822, a Milano, nacque la secondogenita di Giuseppe Orsenigo, membro della servitù di una famiglia nobile, e Giovannina Chiesa. Il giorno stesso della nascita, al fonte battesimale della chiesa di San Fedele, ricevette i nomi di Maria Carolina Geltrude.
Trascorse l’infanzia prendendosi cura dei fratelli nati successivamente e osservando la madre compiere visite presso gli ammalati più gravi e bisognosi e i carcerati.
Uno stimolo alla conversione
A circa sei anni, la sua zia materna e madrina di battesimo, Carlotta Chiesa, domandò di tenerla per un po’ di tempo presso di lei a Brescia. Lei e il marito ebbero mille attenzioni per la piccola Carolina, che imparò ad andare a cavallo e visse spensieratamente.
Appena sua madre intuì che forse era un atteggiamento troppo permissivo, la richiamò a Milano e, per reprimere le sue ambizioni, le tagliò i capelli biondi, per cui era molto ammirata. Quel gesto segnò per lei uno stimolo alla conversione: come dichiarò più tardi, sentiva amore alla preghiera, ma non vi si applicava molto.
La madre, quindi, procedette alla sua educazione anche dal punto di vista religioso, preparandola ai Sacramenti. Carolina vi s’impegnò a tal punto che, ad appena nove anni, venne incaricata da don Luigi Bosisio, prevosto parroco di San Marco, di insegnare il catechismo alle bambine della Prima Comunione.
I suoi orizzonti si allargarono quando si rese conto di non doversi limitare a loro, ma anche alle ragazze del quartiere e agli spazzacamini che popolavano la città.
Un freno alla sua vocazione
Col trascorrere del tempo, si sentì incline alla vita contemplativa e decise di entrare tra le Clarisse. Tuttavia, quando aveva già preparato il suo corredo e si stava congedando dal suo parroco, si sentì frenare da lui, che pure l’aveva incoraggiata: «Il Signore ti destina a un’opera grande; per ora sta nel mondo, questa la volontà di Dio!». Di tal parere fu anche l’Arcivescovo di Milano (le fonti discordano se fosse Bartolomeo Romilli o Carlo Gaetano Gaisruck), cui don Bosisio l’aveva inviata.
Impegno nella scuola di carità della parrocchia di San Marco
Così, in attesa di capire quale fosse quell’ “opera grande”, Carolina uscì dalla casa paterna e riprese il suo impegno in parrocchia, facendosi guidare da don Giovanni Riboldi, coadiutore a San Marco. Costui aveva fondato in parrocchia una scuola di carità, ossia una scuola pubblica per i poveri.
Carolina, che aveva ottenuto privatamente la patente di maestra, si occupò di loro, insegnando a leggere, scrivere e far di conto, mentre la compagna Maria Rosa Morlacchi era incaricata del lavoro manuale. Dopo tre anni, venne aperta anche una scuola civile, in via Fiori Chiari, per le figlie della piccola borghesia.
L’opera rischia di chiudere
Nel 1854 don Riboldi iniziò a delineare, per le giovani insegnanti, il progetto di una pia associazione di carità, con Carolina come superiora. Tuttavia, l’anno successivo, don Bosisio morì e il nuovo prevosto dichiarò la soppressione dell’oratorio festivo di San Marco; poco dopo, dovette chiudere anche la scuola. Se in parrocchia quelle iniziative non sembravano più gradite, lo erano tuttavia da un ignoto benefattore, che offrì dei locali per proseguire la scuola e le riunioni delle giovani volontarie.
L’incontro tra Agnese Salazar e don Carlo Salerio
Il 19 luglio 1858, incredibilmente, vennero gettate le basi per un proseguimento dell’opera. Una giovane contessa, Agnese Salazar, volle andare a confessarsi presso il santuario di San Calocero, sede del Seminario Lombardo per le Missioni Estere (primo nucleo del futuro PIME).
A causa di un fraintendimento, finì per confessarsi da don Carlo Salerio, uno dei primi missionari partiti per l’Oceania, costretto a rimpatriare dalle malattie che l’avevano colpito. Divenne il suo nuovo confessore, dopo la perdita di don Riboldi.
La contessa gli chiese consiglio se unirsi o meno al gruppetto di donne che operava a San Marco, non lontano da casa sua. Il sacerdote, che da tempo andava meditando circa la costituzione di un istituto femminile dedito alla riparazione alle offese ai cuori di Gesù e di Maria, le chiese di poter parlare personalmente con Carolina.
La nascita delle Pie Signore Riparatrici
Dopo mesi trascorsi a stendere un abbozzo di Regola e alla ricerca di una casa, il 2 ottobre 1859, festa dei Santi Angeli Custodi, Carolina e le sue compagne Maria Rosa Morlacchi, Teresa Gatti e Angiolina Arnaboldi andarono ad abitare in via Brera, oggi via degli Orti.
Il nome che venne dato alla nuova comunità fu “Pie Signore Riparatrici”, mentre la loro casa fu detta “Casa di Nazareth”, per ricordare il luogo da cui ha avuto inizio la Redenzione. Lo scopo che venne a delinearsi fu l’assistenza alle donne più in difficoltà, quasi a riprendere le espressioni che don Carlo aveva scritto a padre Angelo Ramazzotti, fondatore del Seminario per le Missioni, il giorno prima di diventare prete.
Incontro ai bisogni della Milano di metà ottocento
I bisogni a cui andarono incontro le Riparatrici furono numerosissimi: anzitutto i feriti della seconda guerra d’indipendenza, specie quelli di parte avversa; poi le ragazze a rischio di cadere nella prostituzione, le lavandaie del “tombone di San Marco” e le operaie della vicina Manifattura Tabacchi.
In collaborazione con l’abate Giovanni Spagliardi, fondatore del riformatorio maschile di Milano in via Quadronno, accolsero inoltre le donne e le ragazze uscite dal carcere. A loro andavano i consigli di madre Carolina, ad esempio: «L’amore di Cristo mendica il nostro cuore per raggiungere il cuore di tutti».
Da Pie Signore a Suore della Riparazione
Il gruppo, frattanto, cresceva di numero, tanto che bisognò trovare una nuova casa, in corso Magenta 79; venne anche aperta la prima filiale, “Casa della Provvidenza”. Nel 1862 venne inaugurato il noviziato canonico e, nel contempo, madre Carolina e le altre assunsero, in via ufficiale, il nome di “Suore della Riparazione”, ciascuna delle quali viene chiamata “madre”. A loro don Carlo non fece mancare le proprie esortazioni, come quella contenuta nella lettera del 25 luglio 1869: «Questo vi auguro e vi desidero, che la carità di Cristo sia tutta la vostra vita».
La morte di don Salerio e l’unione con le suore di madre Anna Maria Marovich
Quasi un anno dopo, il 25 settembre 1870, madre Carolina si recò a visitare don Carlo, ormai in fin di vita, presso la sede del Seminario per le Missioni. Fu l’ultima volta che lo vide vivo: morì, infatti, quattro giorni dopo.
Nel frattempo, le Suore della Riparazione avevano preso contatto con un’opera analoga, la Casa della Sacra Famiglia, sorta a Venezia per iniziativa di Anna Maria Marovich (Venerabile dal 2007). Nell’ottobre 1868 venne quindi stilato un Atto formale di unione.
Dopo la morte del Fondatore (Venerabile dal 2019), vennero fondate altre case al di fuori della città di Milano, mentre la buona fama dell’istituto venne premiata perfino all’Esposizione industriale di Milano del 1871. Le ispezioni attuate dall’autorità civile per le leggi di soppressione degli istituti religiosi non ne intaccarono l’opera, dato che era vista come prevalentemente assistenziale.
La morte di madre Carolina
Quanto a madre Carolina, col passare degli anni iniziava a essere di cattiva salute. Nel 1877 venne obbligata al riposo assoluto, nel 1880 colpita da crisi cardiache e, un anno dopo, dall’asma, che la costrinse a letto.
L’8 luglio 1881 la febbre particolarmente alta fece intensificare le preghiere e le cure dei medici. Il Superiore dell’istituto, monsignor Giuseppe Bordoni, le portò il Viatico, ma ormai era preda dei deliri febbrili. Verso mezzanotte, infine, madre Carolina emise l’ultimo respiro.
I suoi resti mortali riposano attualmente nella cripta della Casa Generalizia delle Suore della Riparazione, che dopo la seconda guerra mondiale si trasferì in quella che ora è via padre Carlo Salerio 62, a Milano. Le sue figlie ora continuano il loro compito, oltre che in Italia, in Myanmar, Brasile e Papua Nuova Guinea, insieme ai Laici della Riparazione.
Preghiera (con approvazione ecclesiastica)
Ti ringraziamo SS. Trinità, che ti compiacesti di arricchire di doni speciali l’anima della tua Sposa Madre Maria Carolina Orsenigo e per lo zelo che ebbe per la salvezza delle anime e per la fedeltà con la quale corrispose ai tuoi divini disegni, ti preghiamo di concederci la grazia... che tanto desideriamo.
Gloria...
Autore: Emilia Flocchini
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