Alle 2 del 7 maggio 1886, a Chioggia, nacque il terzo dei quattro figli di Giandomenico Venturini, piccolo commerciante via mare, e Carlotta Bellemo. Al fonte battesimale, il 17 maggio 1886 (il Sacramento venne posticipato per una malattia del padre), ricevette i nomi di Mario Vittorio Giuseppe.
A cinque mesi, la madre lo portò con sé al capezzale di un suo fratello, don Francesco Bellemo, giovane sacerdote. Di fronte alle sue gravi condizioni, dichiarò di essere disposta a sacrificare la vita del bambino perché lui guarisse, ma incontrò la sua opposizione: «Non puoi sapere quali disegni ha Dio su di lui».
La prima educazione religiosa del piccolo fu ad opera del nonno materno e della mamma stessa, che non nascondeva la propria ambizione di vederlo, un giorno, diventare prete. Per un breve periodo fu affidato a una zia, che lo spaventava con scherzi di gusto macabro: a causa di ciò, prese a soffrire di balbuzie.
Il 16 giugno 1895, Mario ricevette la Cresima nella cappella dell’Episcopio di Chioggia, per mano del Vescovo monsignor Lodovico Marangoni. L’anno dopo, il 31 maggio, fu la volta della Prima Comunione. Da quel periodo, prese a frequentare l’Oratorio tenuto dai padri Filippini per la gioventù.
Per proseguire gli studi dopo le classi elementari, venne iscritto al Seminario di Chioggia, ma come studente esterno, a causa di problemi economici del Seminario stesso. In seconda Ginnasio, subì la bocciatura, a causa dello scarso impegno e dell’impedimento ad esprimersi bene, prodotto dalla balbuzie. Il ritorno della mamma, trasferitasi a Pola col papà, lo rimise in riga tanto che non dovette più ripetere l’anno.
Nel frequentare l’Istituto San Giusto dei Salesiani, dove badava ai più piccoli e insegnava il catechismo, balenò in lui il pensiero di entrare tra le loro fila, ma i genitori si dissero contrari. Anche in seguito, però, rimarrà in ottimi rapporti coi figli di Don Bosco.
Al terzo anno del Liceo, il 7 aprile 1906, compì la sua vestizione nella cappella dell’Episcopio. Era desideroso di sostenere gli esami statali di maturità classica, ma gli venne impedito dai superiori. Il 16 agosto 1906, gli venne conferita la Tonsura dal nuovo Vescovo, monsignor Antonio Bassani. Quell’ulteriore passo verso l’altare, unito alla responsabilità di prefetto dei piccoli seminaristi dall’ottobre dello stesso anno, lo rese più determinato nei suoi propositi, compreso quello di guarire dal difetto di pronuncia. Nel settembre 1907 fu la volta dei primi Ordini minori, Ostiariato e Lettorato, conferiti da monsignor Bassani nella cappella dei Salesiani.
Un cambiamento nel suo percorso di studi avvenne quando, il 12 novembre 1907, il chierico Venturini entrò nel Seminario di Padova, pur restando incardinato in Diocesi di Chioggia. I motivi di quella scelta non sono mai stati chiariti del tutto: forse per allontanarsi dalle attenzioni eccessive della mamma, forse per problemi comunitari (ma i Superiori lo stimavano), forse per conseguire una qualifica più elevata dal punto di vista teologico.
Sulle prime i compagni lo ritennero un tipo aristocratico e tendevano a isolarlo, ma non durò a lungo. Il suo più caro amico fu il chierico Luigi Simoni, poi monaco certosino: dietro suo stimolo s’iscrisse, il 3 maggio 1910, all’Associazione Anime Vittime (oggi Oblazione con Cristo), istituita dalla Beata Maria di Gesù Deluil-Martiny per far condividere ai laici le finalità di riparazione e preghiera per i sacerdoti proprie del suo Istituto di vita contemplativa, le Figlie del Cuore di Gesù.
Quell’atto di devozione rientrava nella preparazione all’Ordine Sacro, le cui tappe si susseguivano: il 18 settembre 1909 era stato ordinato Suddiacono, mentre il 12 marzo 1910 divenne Diacono. Finalmente, il 24 agosto 1910, fu per sempre Sacerdote: era così consapevole del dono ricevuto che, mentre i suoi familiari e compaesani festeggiavano con fuochi d’artificio, si era ritirato in camera sua a pregare il Breviario. L’indomani celebrò per la prima volta l’Eucaristia nella cappella dei Salesiani, ma la sua Prima Messa solenne si svolse il 28, nella basilica di San Giacomo.
Il 27 novembre arrivò la sua prima destinazione: cappellano, cioè vicario parrocchiale, a Cavarzere. Subito diede nuovo impulso al culto eucaristico e alla devozione verso il Sacro Cuore, di cui già in Seminario si era fatto propagatore con l’amico Simoni. Allo stesso tempo, lavorava intensamente, per migliorare e perfezionare anzitutto sé stesso.
La svolta per il suo cammino avvenne il 7 marzo 1912. A letto con la febbre alta, don Mario si mise a contemplare un dipinto, dono di suo padre per l’ordinazione sacerdotale, raffigurante Gesù in preghiera nel Getsemani. Al pensare che, di lì a poco, il Signore avrebbe sofferto per il tradimento di Giuda e l’abbandono di quelli che aveva scelto perché stessero con Lui, l’ammalato capì che, a compiere quel medesimo atto nella sua epoca, erano i preti che rinnegavano, in vario modo, la loro missione fondamentale. Da allora, decise che avrebbe dedicato la propria vita per amare e far amare Gesù pregando e impegnandosi per i sacerdoti, specie per quelli in difficoltà.
Per molto tempo il sacerdote s’interrogò sui modi in cui attuare quella che definì la “Prima Idea” dell’Opera cui stava pensando. Ne fece partecipi alcune persone scelte con cura, tra le quali una giovane maestra, Beatrice Di Rorai. Notati in lei i segni della vocazione alla vita consacrata, la indirizzò presso le Figlie del Cuore di Gesù della Deluil-Martiny, precisamente nel convento che all’epoca avevano a Roma.
La sua esperienza lì non durò molto, a causa di alcuni problemi di salute, ma ella continuò a sostenere il suo padre spirituale, consigliandolo direttamente e accomunandosi a lui nell’offerta della vita per lo stesso ideale. Il 3 maggio 1917, infatti, don Mario scrisse il suo atto di oblazione vittimale a Dio per l’Opera e per la santificazione del clero.
Nella ricerca di un modello a cui conformare la propria preghiera e quella dei futuri confratelli, lo trovò nella cosiddetta “preghiera sacerdotale” contenuta nel capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni: quell’orazione di Gesù, infatti, conteneva tutto quello che Lui poteva chiedere al Padre per quelli che gli aveva dato, in tutti i tempi e luoghi.
Nel 1922 don Mario lasciò la cura d’anime per approfondire i propri studi teologici. Partì per Roma proprio il 28 ottobre, mentre i gruppi fascisti compivano la loro “marcia”, ma era animato da ben altri scopi: conseguire la laurea in Teologia e, soprattutto, cercare appoggi per concretizzare la sua Opera. Discusse la tesi, che aveva come titolo «De Iesu Christi Sacerdotio», il 14 giugno 1924, e trovò sostegno nel padre gesuita Giuseppe Petazzi. Col suo aiuto, stese le Costituzioni ancor prima che la futura Congregazione avesse altri membri al di fuori di lui, come si ripeteva spesso: «L’Opera sei tu!».
Dopo un primo tentativo di fondazione a Roma, gli venne suggerito dal Patriarca di Venezia di rivolgersi a don Giovanni Calabria. Il futuro Santo gli diede due importanti consigli: anzitutto, stare «buseta e taneta», ossia attendere nel nascondimento; poi, quando avrebbe avviato l’Opera, curarsi di istituire un Piccolo Seminario per i più giovani.
Infine, il 7 dicembre 1926, don Mario e tre compagni diedero inizio alla Pia Società dei Figli del Cuore Sacerdotale di Gesù, a Cavarzere. Seguendo le indicazioni di don Calabria, si occupò del Piccolo Seminario, intitolandolo a san Giuseppe, una volta trasferitosi a Trento, dove fu impiantata anche la Casa Madre.
Anche Beatrice Di Rorai, che aveva partecipato alla nascita vera e propria dell’Opera, era venuta a vivere a Trento con alcune compagne, cui don Mario affidò la propria madre. L’8 dicembre 1929, quindi, sorse il ramo femminile, la Pia Società delle Figlie del Cuore di Gesù, con Beatrice, ora madre Lorenza, come Superiora. Ma la sua cagionevole salute non le concesse di proseguire a lungo: malata di tubercolosi intestinale, morì il 14 luglio 1930.
Dal canto suo, don Mario, ormai Padre fondatore, non si risparmiava. Apprezzatissimo come predicatore di ritiri spirituali, li teneva anche a distanza, grazie a due periodici: «Ritiro Mensile» per le religiose e «Sacerdos» per i sacerdoti. La sua pubblicistica fu varia, ma tesa a un unico scopo, quello che aveva intuito contemplando quel quadro da giovane sacerdote. In base al suo intenso impegno, nel 1939 venne nominato Consigliere Nazionale dell’Unione Apostolica del Clero divenendone poi nel 1947 Direttore nazionale.
Il 28 giugno 1946, nella memoria del Sacro Cuore, avvenne l’erezione canonica della Congregazione sacerdotale dei Figli del Cuore di Gesù; il nome era stato cambiato per evitare complicazioni teologiche circa l’attributo “sacerdotale” applicato al Cuore presso la Congregazione vaticana dei Religiosi.
Gli anni successivi furono marcati da nuove fondazioni: la prima fuori Diocesi a Intra, seguita da Loreto, da un’esperienza in Sicilia e, nel 1951, a Roma. Il medesimo anno vide anche la nascita della Scuola Ecclesiastica Vocazioni Adulte (SEVA), a Trento.
Il Venerabile papa Pio XII diede in più di un’occasione il proprio plauso a padre Mario per il bene che compiva verso il sacerdozio cattolico. Il suo zelo per i sacri ministri si era espresso anche nel suggerimento di un’iniziativa, che pochi sanno essere venuta da lui: l’organizzazione, a partire dal 1948, della Giornata Mondiale di Santificazione Sacerdotale, nel giorno dedicato al Sacro Cuore.
Negli anni ’50, inoltre, fu a sua volta consigliere e amico di qualcuno che stava per far nascere qualcosa di nuovo nella Chiesa: padre Stefano Igino Silvestrelli, fondatore della Famiglia Ecclesiale “Opera Famiglia di Nazareth” (morto l’8 febbraio 2012).
Giunto ai settant’anni, padre Mario non dava cenno di volersi riposare. Il 18 marzo 1957, dopo un’intensa giornata di preghiera, attività e organizzazione della festa di san Giuseppe (come altri Fondatori, lo aveva nominato “Economo dell’Opera”), si sentì affaticato. Verso le 23, fece chiamare i suoi collaboratori più fidati: chiese perdono per aver dato loro dei cattivi esempi, poi si dispose agli ultimi Sacramenti. Mezz’ora dopo, chiudeva gli occhi al mondo, poco dopo aver pronunciato le ultime parole chiaramente udibili: «Ecce venio ut faciam, Deus, voluntatem tuam!... Pro eis!...» («Ecco, io vengo per compiere, o Dio, la tua volontà!... Per loro!...»).
Il 21 marzo si svolsero i funerali, nella parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Trento, mentre il 16 maggio si tennero le solenni esequie in Cattedrale. Il corpo di padre Mario venne inizialmente ospitato nella cappella cimiteriale dei Salesiani, per essere traslato, il 20 aprile 1961, nella cripta della chiesa della Casa Madre di Trento, in via dei Giardini 36/A.
Oggi il ramo maschile dell’Opera, che ottenne il riconoscimento pontificio l’8 dicembre 1982, è denominato Congregazione di Gesù Sacerdote (i suoi membri sono più comunemente detti “Padri Venturini”), mentre quello femminile, di diritto diocesano, è detto Istituto delle Figlie del Cuore di Gesù. Oltre alle case in Italia, curano tre parrocchie in Brasile.
Sia i Padri che le suore, insieme agli aggregati laici, continuano la missione del Fondatore, che dal Cielo voleva essere «la continua intercessione per i sacerdoti», affiancando i preti in difficoltà con vari mezzi, anche con un supporto psicologico.
Autore: Emilia Flocchini e padre Gian Luigi Pastò
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