Non sa né leggere né scrivere ed è una gitana: con lei, il popolo zingaro ha la sua seconda beata, la prima donna, dopo Ceferino Gimenez Malla, elevato agli onori degli altari nel 1997.
Emilia Fernández Rodríguez nasce il 13 aprile 1914 nella cittadina di Tíjola (diocesi di Almería, in Spagna), in una famiglia gitana che si guadagna da vivere onestamente, costruendo canestri; per questo, in un certo senso, potrebbe entrare nel martirologio romano come “Emilia la canestraia”.
Non ha tempo per andare a scuola, in compenso si addestra fin da bambina nell’arte dell’intreccio, diventandone abilissima. Un lavoro, in ogni caso, che non le permette di arricchirsi, ragion per cui le sue condizioni economiche sono davvero più che modeste, al limite della povertà.
Battezzata nello stesso giorno della nascita, frequenta regolarmente la chiesa, tuttavia si sposa secondo il costume gitano: una scelta quasi obbligata, per la verità, visto che la chiesa parrocchiale è chiusa da parecchi mesi per evitare profanazioni, nel delicato clima che la Spagna vive nel periodo 1936/1939, con tante persecuzioni contro la Chiesa e una miriade di martiri. Il matrimonio è celebrato tra febbraio e marzo 1938, alla soglia dei suoi 24 anni e i festeggiamenti si protraggono tra balli e canti per una settimana intera, secondo il costume della sua gente.
La luna di miele è però improvvisamente interrotta dalla cartolina precetto, con la quale il suo giovane sposo Juan Cortés Cortés viene arruolato nella guardia repubblicana. Dinamica ed intraprendente, ma soprattutto innamorata, Emilia si reca allora in municipio, per chiedere ingenuamente al sindaco, in nome del recente matrimonio e del suo desiderio di non separarsi così presto dal marito, la dispensa dall’arruolamento, per combattere per di più una guerra civile da cui il popolo gitano si sente completamente estraneo.
Scontata la risposta negativa del sindaco, che semplicemente le ricorda come la diserzione sia punita con l’arresto, che scatterà dal 21 giugno, in caso di mancata presentazione all’ufficio reclutamento. Il che avviene puntualmente per Juan, che, non presentatosi nel giorno stabilito, viene rinchiuso nel carcere “El Ingenio”; anche Emilia è arrestata, per istigazione alla diserzione e favoreggiamento della latitanza, e portata nel carcere femminile di “Gachas Colorás” per scontare una condanna di sei anni, malgrado sia in evidente stato di gravidanza.
In cella fa vita comune con un gruppo di donne di Azione Cattolica, ricevendo quel conforto e quel sostegno necessaria sopportare, nelle sue condizioni, la carcerazione e la lontananza del marito. È in particolare una certa Dolores del Olmo a prendersi maternamente cura di lei, mentre Emilia, a sua volta, resta affascinata dalla loro delicatezza e dalla loro premura. Attratta dal loro modo di pregare, è soprattutto incuriosita dalla recita comunitaria del rosario, finora a lei sconosciuto.
Tanta è la pazienza delle sue improvvisate catechiste e, insieme, la sua innata intelligenza, da riuscire in fretta ad imparare quelle strane parole latine, al punto che il rosario diventa il suo inseparabile compagno di cella. E lo recita con un fervore e una devozione tali da insospettire i suoi stessi carcerieri, che la sottopongono a torture ed interrogatori senza fine per scoprire da chi lo abbia imparato.
La giovane zingarella, se pur prostrata, non si lascia sfuggire neanche una parola e non rivela il nome delle sue catechiste, neanche quando viene messa in cella di isolamento, che poi è un bugigattolo in cui a malapena una persona può stare sdraiata.
Qui, in completa solitudine, sulla semplice stuoia che le fa da materasso, Emilia partorisce una bimba il 13 gennaio 1939. È ancora Dolores a riuscire a battezzare la piccola di nascosto, dandole il nome di Ángeles, mentre per la mamma le cose non si mettono bene: una copiosa emorragia, contro la quale a nulla serve un tardivo e breve ricovero in ospedale, la porta alla morte dodici giorni dopo il parto.
Il suo cadavere è sepolto in una delle tante fosse comuni di quel periodo, ma il peggior torto è fatto nei confronti della sua piccola creatura, che non viene affidata ai parenti, ma portata in istituto e, come “proprietà dello Stato”, data in adozione, senza che a tutt’oggi si sappia che fine abbia fatto.
Autore: Gianpiero Pettiti
Nascita e famiglia
Emilia Fernández Rodríguez nacque a Tíjola, nella provincia e diocesi di Almería, il 13 aprile 1914. Il giorno stesso fu portata al fonte battesimale della locale chiesa di Santa Maria.
I suoi genitori, di etnia rom, si guadagnavano da vivere intrecciando canestri di vimini e le insegnarono, sin da piccola, lo stesso mestiere, tanto che in paese divenne nota come “Emilia la Canastera” (“la canestraia”). Non imparò mai a leggere né a scrivere e condusse una vita tranquilla secondo le usanze del suo popolo, compresa la partecipazione alle funzioni in chiesa.
Il matrimonio
Tra febbraio e marzo 1938, a 24 anni, si sposò con un uomo del suo stesso ceppo, Juan Cortés Cortés. A causa dell’imperversare della guerra civile spagnola e della persecuzione antireligiosa, la chiesa era stata chiusa per evitare profanazioni, così le nozze si svolsero secondo il costume gitano, con balli e canti per una settimana intera.
L’arruolamento forzato del marito
La gioia della coppia venne interrotta quando a Juan venne intimato di arruolarsi nell’esercito repubblicano. Appresa la notizia, Emilia si diresse al Municipio ed espresse vivamente il suo diniego: «Mie Uhté Señoh Arcarde, nusotros semos unoh gitanicoh guenoh, semoh probecicosh pero honraoh, nusotroh no noh metemoh con naide y noh habemoh casao el otro día y no noh queremoh desapartah eluno delotro» («Signor Sindaco, noi siamo gitani buoni, siamo poveri ma onorati, non ci siamo compromessi con nessuno e ci siamo sposati l’altro giorno e non vogliamo separarci l’uno dall’altra»).
La risposta fu di questo tono: «Il 21 giugno del corrente anno 1938, il garzone Juan Cortés Cortés dovrà presentarsi a questi uffici di reclutamento al fine di aggregarsi al Fronte di Guerra per la difesa degli interessi della Repubblica. Nel caso di non comparizione, verrà dichiarata la diserzione e verranno dati gli ordini pertinenti per la sua cattura e il suo incarceramento».
L’arresto di Juan ed Emilia
Venuto il giorno fissato, Juan non si presentò. Per evitargli il servizio militare, Emilia gli mise negli occhi alcune gocce di verderame, così da renderlo temporaneamente cieco. La Guardia Civile, però, scoprì l’inganno: catturò lui per diserzione, ma anche la moglie, che era in stato di avanzata gravidanza, per averlo appoggiato. I due vennero separati: lui nella prigione detta “El Ingenio”, lei nel carcere femminile di “Gachas-Colorás”.
Emilia entrò in carcere la sera del 21 giugno 1938 e fu rinchiusa insieme a un gruppo di donne cattoliche, che dalle quaranta iniziali passarono a trecento. Nel processo dell’8 luglio venne condannata a sei anni di detenzione.
Imparò a pregare in carcere
Un gruppo di prigioniere, tra le quali alcune religiose e donne di Azione Cattolica, recitavano quotidianamente il Rosario. Incuriosita da quel modo di pregare, Emilia chiese loro d’insegnarglielo: fu una certa Dolores del Olmo a farle da catechista. Benché fosse analfabeta, la gitana aveva un’intelligenza sveglia e imparò presto le nozioni della fede.
La semplicità con cui ella praticava le sue preghiere davanti a tutti destò in poco tempo la preoccupazione della direttrice del carcere. Credendo che fosse la più debole del gruppo, l’interrogò perché riferisse le presunte azioni sovversive cui prendeva parte. Emilia non aprì la sua bocca e non disse mai il nome della sua catechista, pur sapendo che sarebbe andata incontro a ulteriori punizioni.
La nascita di Ángeles e la morte di Emilia
Infatti, in segno di castigo, venne chiusa in cella d’isolamento. Quello fu il luogo dove, alle due del mattino del 13 gennaio 1939, sdraiata su di un pagliericcio, diede alla luce una bambina, priva dell’assistenza necessaria. La piccola venne battezzata col nome di Ángeles, alle cinque del pomeriggio, dalla catechista della madre.
A causa delle condizioni in cui versava, Emilia venne condotta nottetempo in ospedale, salvo essere riportata in cella dopo quattro giorni. Il 25 gennaio, alle 9 del mattino, la giovane madre rese l’anima a Dio, senz’avere mai denunciato le persone che l’avevano portata a dare la vita per la fede. Se fosse vissuta altri tre mesi, avrebbe visto la fine della guerra.
I suoi resti mortali vennero sepolti in una fossa comune. Quanto alla piccola Ángeles, venne portata in orfanotrofio e non si seppe più nulla di lei.
La causa di beatificazione
Emilia Fernández Rodríguez venne inclusa nel gruppo di potenziali martiri della diocesi di Almería, che già contava 93 nomi, ma la sua vicenda, insieme a quelle di altri, venne ritenuta possedere i requisiti per essere valutata come martirio. L’inchiesta diocesana per lei e gli altri martiri aggiuntivi venne celebrata dal 26 febbraio al 9 aprile 1999.
Nel 2009, l’annuale Giornata dei Martiri spagnoli della diocesi di Almería è stata solennizzata nella sua parrocchia, in occasione del settantesimo anniversario dalla sua morte.
Il 14 giugno 2017, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che ufficializzava l’uccisione in odio alla fede di Emilia e degli altri 114 martiri.
Sono stati beatificati sabato 25 marzo 2017 al Palazzo delle Esposizioni e dei Congressi di Aguadulce, presso Almería, col rito presieduto dal cardinal Amato come delegato del Santo Padre.
Preghiera (con approvazione ecclesiastica)
Dio Padre misericordioso,
per la forza dello Spirito Santo,
hai concesso alla tua fedele Emilia
di essere testimone di Cristo
fino alla morte.
Per intercessione di Maria,
che la aiutò a superare la prova
del martirio, ascolta, o Signore,
le suppliche di questa figlia
del popolo gitano e di quanti,
come lei, si rivolgono alla Vergine
con la preghiera del Rosario.
Aiutaci anche a trasmettere la fede
alle nuove generazioni.
Per Gesù Cristo, nostro Signore.
Amen.
Autore: Emilia Flocchini
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