Giuseppina Tozzi Condivi è nata ad Ascoli l’11 giugno 1928 in una casa nel centro abitata da nonno Tancredi, papà Renato, mamma Maria e la piccola sorella Anna.
La mamma era gravemente malata quindi la piccolina fu subito portata via e affidata a una balia. La mamma si fermava ogni giorno davanti a un gran finestrone dal quale poteva vedere la collina dove era la sua bimba e faceva un grande segno di croce a benedire la sua creatura: Pinetta è nata sotto quel segno di croce e di benedizione. La mamma sarebbe morta a maggio del 1929: papà Renato si raccolse con i suoi amici e, dopo il ritorno alla casa del Padre di sua moglie, cantò con loro il Magnificat, come lei gli aveva chiesto. Renato Tozzi Condivi aveva ventisette anni. Non si sarebbe più risposato.
Pinetta era una bambina dall’intelligenza sveglia, precoce. Quando ebbe compiuto quattro anni, il padre la giudicò pronta per la prima esperienza all’eremo francescano di Campello sul Clitumno, dove viveva la sorella della moglie. Quell’eremo sarà molto importante nella vita di Pinetta. C’era, nell’eremo, un luogo chiamato “Il prato del silenzio” dove le persone si raccoglievano in preghiera e non si poteva parlare. Un giorno Pinetta vide un uomo che, seduto su una panchina, piangeva. Era un sacerdote. Pinetta ci pensò un poco, poi si avvicinò e disse piano piano: “Questo è il prato del silenzio, non si può parlare, ma quando uno piange, una parolina si potrà dire…”. L’uomo alzò la testa e abbracciò la bimba dicendo: “Una bambina buona può parlare dappertutto”. Quel sacerdote era don Primo Mazzolari. Questo episodio dice molto del suo carattere: lei è sempre stata secondo il cuore di Cristo, per cui il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato.
Pinetta crebbe e cominciò ad aiutare sorella Maria, fondatrice dell’eremo, nella corrispondenza: arrivavano lettere da Gandhi, da Fr. Roger di Taizè… venivano persone da ogni dove… Pinetta poteva respirare una grande apertura spirituale che si andava ad unire alla fede, alla rettitudine e alla generosità, che le venivano trasmesse in casa. Arrivò ai diciotto anni, ignorando nella maniera più assoluta la nobiltà e l’importanza della sua famiglia, con grande soddisfazione del padre, che un giorno le disse: “Sono contento che tu non dia valore a queste cose… non conta la nobiltà di nascita, ma la nobiltà della bontà!”.
Fondò ad Ascoli la scuola materna Montessori, dimostrando d’essere un’educatrice nata, nel senso più profondo della parola. In seguito si sarebbe occupata con amore anche di ragazzi che le venivano affidati dal Tribunale dei minori, dimostrando d’essere un’educatrice eccezionale. Era continuamente al centro dell’attenzione e costantemente ricercata per consigli e suggerimenti.
Il 15 agosto 1957 si sentì chiamata al Carmelo: era per lei lasciare una strada luminosa, di affetti, di stima, di consensi ed entrare in una strada buia… dove c’era solo Gesù. Pinetta lo seguì, entrò nel Carmelo di Arezzo e così divenne Sr. Paola Maria di Cristo.
I suoi cinquantaquattro anni di vita consacrata furono segnati ben presto dalla malattia: avrebbe convissuto sempre con problemi di salute, ma era solita dire sorridendo “Infirmitas, sed robur Christi”.
Fu curata in un sanatorio in Liguria e anche lì lasciò il segno: una giovane infermiera cercava il suo conforto e la sua protezione, mentre un medico le portava spesso una rosa. Quel medico aveva una situazione morale pubblica complicata, ma Sr. Paola Maria, non era il tipo di persona da condannare o da allontanare qualcuno. Sapeva chiamare peccato ciò che merita questo appellativo, senza far sentire la pesantezza del giudizio sul peccatore. Un giorno, molto tempo dopo il suo rientro in monastero, ricevette un biglietto con grafia quasi illeggibile. Era del medico che l’aveva curata… aveva avuto un incidente terribile ed era in fin di vita. In quel momento pensò a lei e le scrisse: “Mi può salvare solo la suorina che ho curato.” Sapeva che qualunque fosse stata la sua vita, qualunque cosa avesse commesso, lei avrebbe teso la sua mano… lei aveva in sé la stessa misericordia di Cristo. Di fronte a qualunque peccato era come se riconoscesse l’errore, ma fosse sempre pronta all’accoglienza, alla comprensione, senza alcuna durezza di giudizio o di condanna.
Non ha mai avuto cariche nel monastero e, mentre la vita esteriore si svolgeva in maniera quasi banale, nel lavoro quotidiano e nelle consuetudini monastiche, la sua vita interiore era straordinariamente ricca, originale, affascinante. Amava soffermarsi sulla Sacra Scrittura, c’era sempre la possibilità che “s’incendiasse” per un versetto, per una parola… Amava stare davanti al tabernacolo: è presente, ripeteva, è presente davvero, sempre… era innamorata della Regola del Carmelo “è il testo più autenticamente evangelico della storia carmelitana, senza contraffazioni”, diceva con entusiasmo!
Ormai anziana, conobbe una giovane che si affacciava alla vita carmelitana. Forti di una comunione in Cristo, salda e leale, realizzarono, se pur in luoghi diversi, una nella vita monastica, l’altra nella vita eremitica, l’ideale della comunità cristiana primitiva: essere un cuore solo e un’anima sola, mai chiuse, mai isolate, pronte sempre all’accoglienza. Chi entrava nella vita e nel cuore dell’una, entrava anche nella vita e nel cuore dell’altra. La diversità delle vocazioni non impedì a Sr Paola Maria di seguire e accompagnare la crescita di quest’eremita carmelitana e della sua consorella. Si interessava costantemente del loro cammino spirituale, del lavoro, della salute, della loro serenità, proprio come una buona mamma.
Sr. Paola Maria è tornata alla casa del Padre il 6 maggio 2013.
Una piccola grande sofferenza che aveva in comune con le sue figlie nel Carmelo, era l’idea di morire senza che loro fossero presenti e, secondo l’uso monastico, non avrebbe mai chiesto il permesso di averle vicine… ma Dio che è Amore - così come accontentò S. Scolastica - ha esaudito anche il suo, il loro desiderio. È morta fra le loro braccia e loro hanno cantato il Magnificat, così come lei aveva chiesto, nella serenità di una presenza nuova, ancora più intima, libera dalle barriere del tempo e dello spazio, sentendola più che mai presente, sentendosi come portate da lei in Cielo. E così hanno raccolto la sua eredità, un’eredità preziosa e infrangibile. L’eredità di una donna traboccante di entusiasmo, di passione per Cristo; “Oro e argento non ho, ma ciò che ho ve lo do… ed è Gesù!”, l’eredità di una donna piena di tenerezza e di comprensione verso tutti perché in lei è sempre apparsa la “Benignitas et Humanitas Salvatoris Domini nostri JesuChristi”.
Autore: Eremite Carmelitane di Arezzo
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