Il 18 dicembre 1838, in vicolo Porlezza a Milano, nacque il primogenito di Felice Pogliani, maniscalco, e Regina Guani, che si erano sposati nella basilica di San Nazaro a Milano il 1° maggio 1836, mentre imperversava una grave epidemia di colera. Il piccolo venne battezzato il giorno successivo alla nascita, nella chiesa di Santa Maria alla Porta (ma venne registrato negli Atti di nascita della parrocchia di Santa Tecla nel Duomo di Milano), coi nomi di Domenico Lazzaro Gerolamo.
L’oratorio di San Luigi, in via Cristina, fondato dal conte Giacomo Mellerio, fu il luogo dove Domenico si formò alla fede. A dodici anni, per verificare la propria vocazione al sacerdozio, fu ammesso nel Seminario diocesano, con gran gioia di entrambi i genitori. Col trascorrere degli anni la sua decisione si faceva sempre più salda; tuttavia, prima di intraprendere il corso teologico, volle terminare gli studi superiori. Così, nel 1858, entrò nell’allora sede di Corso Venezia a Milano, dove appunto studiavano i seminaristi teologi. Il suo primo impegno fu quello di prefetto dei giovani alunni del Collegio Rotondi di Gorla Minore.
Il 25 maggio 1861 Domenico venne ordinato sacerdote. Tra i propositi che formulò in quel giorno tanto solenne, vale la pena di segnalarne uno: «Grande carità cogli infermi, grande coi peccatori che raccomanderò al Signore e alla Madonna».
La prima destinazione del prete novello fu la parrocchia di Rosate, dove arrivavano solo lontani echi dei rivolgimenti politici che avevano portato alla costituzione del Regno d’Italia. Otto anni dopo venne inviato a Lecco, ma vi rimase solo quattro mesi: la sua fibra, nient’affatto robusta, s’indeboliva ancora di più a causa del clima del lago. Passò quindi a Trenno, ma già l’anno dopo ebbe una nuova consegna: coadiutore, ossia vicario, presso il Duomo di Milano.
Fu un passaggio notevole per lui, abituato a località ben diverse dalla grande città in fermento, ma seppe trovare il modo di stare ugualmente tra le persone a lui affidate, che si meravigliavano di vederlo spesso inginocchiato accanto a loro. L’Arcivescovo di Milano, Luigi Nazari di Calabiana, l’incaricò quindi d’insegnare la Dottrina delle donne (noi diremmo “catechesi degli adulti”, anche se unicamente al femminile), sempre in Duomo, e di occuparsi delle confessioni delle religiose.
Eppure non si sentiva di dare il massimo. Con una scelta che sapeva quasi di sfida alle leggi liberali del tempo, riprese la pratica degli Esercizi Spirituali ignaziani, anche se la Compagnia di Gesù era stata bandita dal Regno e da Milano nel 1859. Fu anche l’iniziatore del Circolo San Raffaele, una delle prime forme d’associazionismo cattolico ambrosiano. Tutte queste iniziative gli valsero il sostegno di molti benestanti della città, anche per gli anni a venire.
Nel 1883, il quarantacinquenne don Domenico partì per Cesano Boscone: era stato infatti nominato prevosto parroco della chiesa di San Giovanni Battista, che vantava origini risalenti alla regina longobarda Teodolinda; fece il suo ingresso solenne nel febbraio 1894. A qualcuno quel mandato poteva sembrare un modo per ripagarlo di tante fatiche, ma per lui, invece, costituì uno strumento per ricordarsi delle promesse formulate il giorno della sua Prima Messa.
Cesano, all’epoca, era in campagna e i suoi abitanti, perlopiù contadini, spesso versavano in miseria a causa di epidemie o di danni al raccolto, tanto che quasi tutti i defunti venivano sepolti unicamente in un lenzuolo, senza bara. Inoltre, i bambini correvano per le vie del paese senza una guida, dato che i genitori lavoravano nei campi.
La prima emergenza che don Domenico tentò di riparare, quindi, fu quella educativa. Mise insieme i suoi risparmi con i mezzi della signora Maria Monegherio, una proprietaria terriera. Il progetto andò così bene che la signora volle prendersi l’intero merito della costruzione. Il prevosto accettò, forse non senza contrasti, solo per il bene dei suoi bambini. L’asilo venne inaugurato nel 1894 e gestito dalle Suore di Carità dette di Maria Bambina.
Dopo l’asilo, fu la volta dell’oratorio parrocchiale, almeno nelle intenzioni del sacerdote, che però aveva ben presenti anche altre categorie di persone. «I poveri e i disgraziati della città», scrisse nei suoi diari, «sono sotto gli occhi dei facoltosi che, per la maggior parte, abitano in città e perciò sono facilmente soccorsi, anche i non credenti, per naturale compassione, talora largheggiano assai verso i colpiti da qualche disgrazia. Ma dei poveri della campagna si può veramente dire: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. E, ai nostri giorni, essendosi moltiplicati i bisogni fisici e morali, vi è più necessità dell’opera della carità, quindi quello che bisogna sacrificare e mandare a martirio è il borsellino». Inoltre, era consapevole che molti cesanesi partivano attirati dalla città e vi si perdevano spesso, attirati dalle ideologie contrarie alla fede cristiana, abbandonando quelli che già allora finivano per diventare scarti della società.
Il “prevostino”, come lo chiamavano tutti per la sua esile corporatura, aveva un modello a cui ispirarsi: san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Non solo per la grandiosa opera che finì per portare il suo nome e a darlo, per estensione, a molte strutture analoghe, ma soprattutto per la sua incrollabile fiducia nella Divina Provvidenza.
Non tutti furono d’accordo con lui. Tre erano le categorie in cui aveva inserito le opinioni ricevute: quella degli ottimisti, quella degli incerti e quella di coloro che, come alcuni esponenti del Comune, erano apertamente contrari.
Il tormento di don Domenico fu tanto grande che portò a un tracollo della sua salute, nel 1892. Mentre i medici disperavano di salvargli la vita, lui chiese un segno alla Madonna: se l’avrebbe tenuto in vita, significava che l’opera andava fatta. Dopo una convalescenza tanto breve da far gridare molti al miracolo, ebbero inizio i lavori, nella primavera del 1894.
La signora Monegherio, ancora una volta, influì donando un suo terreno, ma non bastava. Il sacerdote, quindi, intraprese un vero e proprio giro di questua, bussando alle porte di tutte le persone facoltose che aveva conosciuto nel suo ministero a Milano. Anche l’Arcivescovo, Andrea Carlo Ferrari (Beato dal 1987), diede il proprio contributo.
La voce della nuova fondazione, intanto, si diffuse tra gli abitanti delle campagne, che vennero momentaneamente ospitati in un locale di proprietà delle suore di Maria Bambina. La cerimonia ufficiale d’inaugurazione del primo edificio fu fissata per il 1° giugno 1896, ma già dal mese prima erano stati ricoverati i primi ospiti.
Il nome di tutto il complesso fu «Casa della Sacra Famiglia. Ospizio per gli incurabili della campagna milanese» o, per brevità, «Ospizio della Sacra Famiglia». Il perché di quella denominazione veniva così presentato dal fondatore stesso: «Essa è intitolata alla Sacra Famiglia e perché il povero disgraziato per sentimento di umanità e religione a tutti deve essere cosa sacra e perché questo Ospizio si pone sotto la protezione di Gesù, Maria, Giuseppe, quella Famiglia cioè dalla quale irradiò la civiltà cristiana, apportatrice della vera eguaglianza e fraternità».
Mentre la Sacra Famiglia si espandeva sempre di più e venivano accolti sempre nuovi ospiti, venne il momento di pensare alla chiesa parrocchiale, già ampliata ma a rischio di crolli. La consacrazione della chiesa nuova si svolse il 4 settembre 1899, da parte del Vicario Generale monsignor Angelo Mantegazza. L’anno dopo, il cardinal Ferrari poté ammirarla durante la sua visita pastorale.
Nel 1905, in ottemperanza alle raccomandazioni dell’Arcivescovo che voleva un oratorio per ogni parrocchia, arrivò anche la struttura per i giovani, da lungo tempo rimandata. Era stata costruita anche una casa per il coadiutore o assistente dell’oratorio, che in precedenza doveva alloggiare in affitto presso qualche parrocchiano. Cinque anni dopo, come si evince da una lettera al sindaco, il parroco mirava anche alla costruzione di una palestra, unicamente a favore dei suoi parrocchiani più giovani.
Per garantire alla Sacra Famiglia una continuità, il fondatore chiese e, pur tra molte riserve, ottenne il riconoscimento pubblico come Ente morale, nell’agosto 1916. Era l’ultima possibilità che gli restava per superare i debiti.
Ormai prostrato dalle numerose fatiche, don Domenico si preparò a passare da questo mondo. Avvenne il 12 giugno 1921, ad Arizzano Alta, presso Verbania. Le sue ultime parole furono: «Avanti, avanti sempre, fate del bene a tutti». La salma, per volere dello stesso defunto, venne trasportata a Cesano Boscone. A tutt’oggi, riposa nella chiesa dell’Istituto Sacra Famiglia, sulla sinistra, guardando l’altar maggiore.
La sua buona fama, nel corso degli anni, non è venuta meno. L’Associazione «Amici della Sacra Famiglia», nata negli anni ’80 del secolo scorso grazie a ex dipendenti e ex membri del Consiglio d’amministrazione che volevano continuare a sostenere l’opera, si è resa attore del processo di beatificazione. Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 14 dicembre 2002, l’Arcivescovo di Milano, cardinal Carlo Maria Martini, ha proceduto all’apertura della fase diocesana, svolta proprio nella chiesa della Sacra Famiglia. Il suo successore, il cardinale arcivescovo Dionigi Tettamanzi, ha solennemente chiuso il processo nella chiesa di San Giovanni Battista il 9 settembre 2005. Dopo il decreto di validità sull’inchiesta diocesana, giunto il 24 maggio 2008, la causa procede ora nella sua fase romana.
L’Istituto Sacra Famiglia, nel 1997, si è trasformato in Fondazione privata ed è diventato, l’anno successivo, una ONLUS. Attualmente prosegue il suo compito, oltre che a Cesano Boscone e nel reparto staccato a Fagnano di Gaggiano, presso le cinque sedi di Cocquio Trevisago, Regoledo di Perledo, Andora, Verbania Intra e Pietra Ligure, e nei servizi decentrati.
PREGHIERA (con approvazione ecclesiastica)
Padre Santo, noi ti ringraziamo perché nel tuo servo mons. Domenico Pogliani
ci hai donato un Sacerdote testimone della Tua paternità
e segno vivo della Tua provvidenza.
Fa’ che per sua intercessione il nostro cuore si apra
all'ascolto della Tua parola ed alle necessità dei nostri fratelli.
Signore Gesù, che hai donato a mons. Pogliani
una particolare comprensione del mistero del dolore
e lo hai guidato a servirti nei poveri e negli ultimi,
fa’ che per sua intercessione sappiamo accoglierti
ed amarti nel fratello sofferente, al di là di ogni confine di razza e religione.
Spirito Santo, artefice di santificazione e di unità
che hai trovato in mons. Pogliani un docile strumento della Tua carità,
fa’ che per sua intercessione possiamo diventare apostoli del tuo amore
e operatori di pace nel mondo di oggi.
Autore: Emilia Flocchini
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