Per il solo fatto che lo definiscano “il volto sorridente del santuario di Tolentino” vuol dire che non è certo uno di quei cristiani, come dice papa Francesco, con “la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo”. E già questo non è poco. Però non dice messa, non confessa, non predica e non fa scuola, in quanto semplice frate converso, e per qualcuno ciò potrebbe significare che appartiene ad una classe inferiore in un’ipotetica scala gerarchica ecclesiale: inutile dire come ciò sia smentito dall’affetto con cui, anche a dieci anni dalla morte, si ricorda il fraticello che per 64 anni è vissuto in simbiosi con il celebre santuario di San Nicola, in quel di Tolentino appunto. Si tratta, in realtà, di un fraticello minuscolo come il paese da cui proviene, Colmurano, nel maceratese, dove nasce nel 1928.
Mario eredita dai genitori, semplici contadini, una fede gioiosa e genuina, che negli anni dell’adolescenza lo porta a scegliere la vocazione religiosa, alle cui radici sta la testimonianza e la preghiera di un parroco santo, don Quirico Gesuelli. Con il suo programma di vita “Ama e fa amare Gesù”, è lui il coltivatore attento e premuroso di quel germe e forse anche il primo a mettere il ragazzino in contatto con la spiritualità agostiniana. I maceratesi vanno spesso in pellegrinaggio a Tolentino e la sua famiglia non fa eccezione. A furia di frequentarlo, un bel giorno Mario chiede di fermarsi nel convento annesso al santuario, tra gli Agostiniani che qui hanno una numerosa comunità: per questi ultimi sarà il più bell’acquisto del secolo; per lui, invece, la strada per la santità. Qui trova un priore, padre Nicola Fusconi, che ha tutti i carismi per modellare il convento e farlo progredire; qui, soprattutto, trova in San Nicola il faro spirituale che illuminerà tutta la sua vita.
Nel convento di Tolentino è diffusa la convinzione che i Fratelli sono un po’ come “le mamme del convento”: fermandovisi per tutta la vita, fra Mario ne diventa anche l’indiscusso punto di riferimento. La sua presenza continua in chiesa, in sacrestia o nel chiostro, finisce per far sì che turisti e pellegrini, che ininterrottamente approdano ai piedi di San Nicola, finiscano per identificarlo con il santuario e con il convento, al punto che, specialmente negli ultimi anni, chi arriva a Tolentino lo fa non solo per il Santo, ma anche per vedere e parlare con fra Mario. Che, come frate converso, ovviamente non confessa e non assolve, ma diventa il depositario di un’infinità di confidenze, di grazie ricevute, di malattie e di problemi familiari da affidare all’intercessione di San Nicola, confidando però nella “raccomandazione” dell’umile fraticello, che ha promesso di pregare per tutti e che del santo sa parlare così bene, tanto da sembrare in stretta intimità con lui.
Ed è stata forse proprio quest’ultima ad aver affinato negli anni la sua capacità di comunicazione e ad aver accresciuto la quantità delle sue nozioni storiche, artistiche e della tradizione orale, tanto da renderlo un’indiscussa autorità in materia. Non però solo “cicerone”, piuttosto custode di una memoria viva e una devozione secolare, non dimentica di insegnare le “precedenze”, richiamandole anche con forza non appena si accorge che l’attenzione e la commozione dei pellegrini sono indirizzate più a San Nicola (la cui, per lui, veneratissima statua in quell’occasione diventa solo più “un pezzo di coccio”) che non alla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia; oppure, come a volte accade nei matrimoni, quando la mondanità e il rumore hanno la prevalenza sulla centralità del sacramento celebrato. Eccezion fatta in queste occasioni, l’ilarità di fra Mario è proverbiale, espressa anche sotto forma di barzellette che una radio locale riesce a sfruttare e diffondere ritagliando uno spazio serale tutto per lui, che ben presto diventa il programma più seguito e atteso dai radioascoltatori.
Testimone prezioso di accoglienza, condiscendenza, premurosa attenzione ai problemi e alle difficoltà di ognuno, fra Mario Gentili si spegne il 2 maggio 2006, dopo un anno di lento declino. È più che probabile che da allora sia impegnato a far sorridere gli angeli con le sue barzellette, però a Tolentino i pellegrini, che gli riconoscono di “aver custodito come un tesoro lo scrigno di grandi emozioni” continuano a cercarlo ed a sussurrargli: “Mai sei mancato al saluto, al sorriso, alla battuta. Sei cresciuto con noi e continui a camminare con noi. Grazie!”, mentre gli raccomandano: “Parla con Dio di noi, perché Egli possa guardarci con la benevolenza con cui tu ci guardavi”.
Autore: Gianpiero Pettiti
Il 2 maggio del 2006, a Tolentino, si compiva il tempo di fra Mario dopo un anno di malattia alla quale si era adattato con fatica, perché in poco tempo lo aveva costretto a ridurre quasi del tutto la sua intensa attività, che da sempre riempiva la sua giornata.
La sua malattia era apparsa subito a tutti noi nella sua gravità e quindi chiaramente anticipatrice dell’evento temuto e puntualmente verificatosi nel giro di un anno. Quanto accaduto è ovviamente simile a tante storie che tutti conosciamo ma, nel caso specifico, dato il personaggio che era fra Mario, il fatto ha avuto sui confratelli, familiari e quanti lo conoscevano una forte risonanza emotiva.
Fra Mario non era uno dei tanti frati agostiniani presenti a Tolentino; era la presenza stabile e veramente “simbolica” della Città e del suo Santuario dove trascorreva tutta la sua vita e con cui si sentiva e veniva percepito in totale simbiosi.
Ovviamente la sua scomparsa ha suscitato in tutti una sensazione di incolmabile vuoto e un grande dolore, lo stesso lacerante strappo che la morte sempre provoca quando ci priva di persone care e preziose.
L’affetto e il vivo ricordo hanno prodotto una serie ininterrotta di significative manifestazioni da parte di coloro che avevano percepito il senso di quella presenza come credibile testimonianza di fede, di appartenenza alla Chiesa e del carisma agostiniano nel quale fra Mario totalmente si identificava.
La perdita di fra Mario ha toccato intimamente chiunque lo aveva incontrato, anche perché conoscerlo voleva dire accoglierlo nel proprio cuore ed entrare nel suo.
La sua morte, collocata nel piano e nei doni della Divina Provvidenza, è ora chiaramente percepita come un’ulteriore grazia da saper sfruttare con le risorse della fede cristiana. Fra Mario dunque non è certamente perduto, non è assente e tanto meno ci è stato tolto. Con la sicurezza della nostra fede lo sentiamo in quel singolare rapporto che è possibile solo in Cristo e che, vissuto come Comunione dei santi, forma la ricchezza della Chiesa, viva e feconda, nelle tre possibili condizioni dei suoi membri: la gloria raggiunta, la purificazione da completare dopo la morte e il pellegrinaggio dell’uomo nel tempo e sulla terra.
Col passare del tempo si attenua la dolorosa emozione provata per la sua morte ma aumenta la consapevolezza di valori che rimangono ed evidenziano quanto egli ha seminato, consentendoci di coglierne il messaggio e la ricchezza.
Questa chiara percezione mi spinge a esternare ciò che sento da un punto di osservazione particolarmente significativo: una conoscenza cinquantennale, una convivenza trentennale, una scambievole, affettuosa amicizia, una motivata sintonia sulle cose più importanti della vita. In questa lunga vicinanza, fisica e spirituale, si sono maturati molti motivi di stima e di devozione.
Sicuramente fra Mario è per tutti noi un grande dono, una lampada che il Signore ha collocato sul moggio. Tacere o dimenticare sarebbe mettere ostacolo, o per lo meno ritardo, al piano di Dio manifestatosi attraverso una luce che Lui stesso ha acceso. Noi abbiamo avuto la grazia di incontrare un uomo e un religioso tanto maturo, con cui abbiamo condiviso valori importanti della nostra vocazione.
La terra e la famiglia, le sue radici
Fra Mario, apparso a tutti noi come una grande figura, è vissuto all’insegna di ciò che è minimo: piccolo di statura, cosa sulla quale amava benevolmente ironizzare, originario di un piccolo paese, Colmurano, in Provincia di Macerata.
Poche centinaia di persone raccolte in un gruppo di case appollaiate attorno al campanile, con la piazzetta antistante sulla quale si affacciano la chiesa parrocchiale e la residenza comunale, che costituiscono il centro dell’abitato e il punto di massima confluenza: la domenica per la Santa Messa e durante la settimana per il mercato.
A pochi chilometri si incontra l’altro comune, abbastanza più grande e dal nome più risonante, Urbisaglia, nobilitata da molti richiami di epoca romana.
Un po’ più lontano, invece, si trova la città di Tolentino, “grande” in proporzione ai più piccoli centri e che fra Mario, fin da bambino, associava all’idea del viaggio più impegnativo da farsi, per lo più a piedi, e di un nome molto celebre che lo attirava con particolare fascino: san Nicola. E intuiva bene, perché san Nicola sarebbe diventato la stella della sua vita.
La casa natale era in campagna, in quel piacevole declinare di colline che caratterizzano l’entroterra maceratese prima di arrivare, un po’ più internamente, alle propaggini dei Monti Sibillini che ben si scorgono da Colmurano.
Il nascere e il vivere in campagna per fra Mario non ha significato solo una connotazione geografica ma la condizione esistenziale di una esperienza positiva e bella che ne ha segnato profondamente l’animo e il cuore, come facilmente si poteva intuire dai suoi coloriti racconti.
Tra le parole che gli uscivano spesso dalle labbra e gli facevano brillare gli occhi, con una luce che dava vita a tutto il suo volto, c’era il racconto dell’esperienza della terra, nel contesto umile e genuino della vita contadina, come era abbastanza comune fino a cinquant’anni fa nelle Marche e in tante regioni d’Italia. I campi, la terra, l’erba, lo zappare e il vangare, il seminare e il mietere erano il suo vocabolario per parlare di cose concrete e immediate che costituivano la ricchezza fondamentale di un certo genere di vita.
La sua era una famiglia di agricoltori, composta di persone semplici ma piene di dignità. I suoi erano genitori di quelli che ti fanno capire la serietà e la bellezza del matrimonio, affatto spiazzati dai sacrifici e dalle difficoltà della vita, con un livello religioso profondo, intenso e positivo, con uno stuolo di figli che hanno saputo conservare il clima di quelle preziose radici.
I frutti di un prete santo
Un piccolo paese vuol dire anzitutto una parrocchia. La gente sostanzialmente è quella che si riconosce comunità di fede nella propria chiesa attorno al parroco. La vita è scandita soprattutto dai rintocchi del campanile. In questo contesto è ovvio che la figura del prete diventa un punto di riferimento fondamentale per tutti e il filtro delle attese e delle speranze, delle gioie e dei dolori della gente.
Quando fra Mario era bambino, Colmurano aveva la fortuna di avere un prete davvero singolare, di quei preti che costituiscono la forza decisiva della Chiesa, perché sono capaci di entrare e rimanere nell’anima della gente offrendo loro la possibilità di sostanziali equilibri umani e di una forte esperienza di Dio. Uomini capaci di essere amici, fratelli e padri, come è nella condizione propria di quel genere di vita che coincide con la realizzata vocazione di donarsi a Dio per i fratelli.
A Colmurano c’era don Quirico Gesuelli, un prete colto, con un grande cuore di padre e, per esplicita convinta affermazione di fra Mario, un santo, e ciò non tanto e non solo per quello che faceva, ma soprattutto per la sua vicinanza a Dio, cosa che traspariva evidente dal suo modo di vivere e di porgersi. A Colmurano, dove tutti lo ricordano ancora, i parrocchiani hanno voluto la sua tomba in chiesa per sentirselo più vicino.
Il suo motto era: “Ama e fa amare Gesù!”, che è diventato il sottotitolo di un libro, appena uscito, scritto dall’insegnante tolentinate Maurizio Bruè in occasione del cinquantesimo anniversario della morte.
Don Quirico era capace di valorizzare la catechesi, la liturgia e la pietà popolare. Alla sua testimonianza e zelo pastorale si devono tante ottime famiglie e decine di vocazioni sacerdotali e religiose
maschili e femminili. Su di lui, da qualche anno, c’è un movimento che raccoglie attestati sulla sua autentica esperienza di santità quale è ricordata da tanti che lo hanno conosciuto.
Questa eccezionale figura di sacerdote e di parroco influì moltissimo sulla prima formazione cristiana di fra Mario, che confidava di aver ricevuto da lui stesso anche la prima conoscenza di sant’Agostino, spesso citato da don Quirico. Fra Mario sapeva e testimoniava volentieri di avere avuto molto dal suo parroco e ne conservava un tenero ricordo di sincera gratitudine e di profonda ammirazione.
Le radici di una vocazione cristiana
Con una tale famiglia e con un tale parroco c’erano tutte le premesse perché si potesse realizzare qualcosa di più che un buon cristiano.
Uno dei viaggi significativi che compivano spesso quelli di Colmurano era verso Tolentino. Essendo il centro più vicino e più fornito, presentava diversi motivi per frequentarlo: pratiche burocratiche, il mercato, i negozi… ma a Tolentino c’era soprattutto San Nicola e la significativa comunità degli agostiniani, dove in ogni momento si aveva la possibilità di assistere alla Santa Messa e di confessarsi.
Il giovinetto Mario Gentili, pur così radicato e attaccato alla propria terra, pur avendo una famiglia serena e un ambiente parrocchiale ideale, sentì ben presto che la sua vera patria era Tolentino. Dopo essersi consultato con i genitori e con don Quirico, decide di partire per il convento di Tolentino, ove fu accolto da colui che ne fu la colonna portante per un cinquantennio: padre Nicola Fusconi, di cui fra Mario ricorderà sempre la paternità, la benevolenza e l’autorevolezza morale. Nel clima carismatico di una comunità numerosa, giovane e ben guidata, si andava realizzando una mirabile simbiosi tra fra Mario e Tolentino. Per il convento dei frati agostiniani e il santuario di San Nicola il giovane postulante diventerà il migliore investimento del secolo.
Frate “converso”
Oggi questa dicitura, per i più non è neanche comprensibile, per alcuni potrebbe risultare riduttiva o, addirittura, offensiva. Fra Mario, invece, la trovò come la vera dimensione della sua vita, cui non verrà mai meno.
In quei tempi quasi in tutte le comunità c’era qualche fratello converso; a Tolentino ce ne erano stati sempre tanti, anche una decina, e ogni generazione ne aveva sfornato qualcuno singolare e celebre, come nella prima metà del secolo fra Agostino, che a Tolentino ancora molti ricordano.
I fratelli conversi esprimevano il modo più semplice e più umile di essere religiosi o “frati”: non percorrevano l’iter formativo degli studi, quindi non erano diretti al sacerdozio, ma si dedicavano a tutti i lavori di manutenzione del convento, della chiesa e della sacrestia. Avevano una formazione specifica, qualche variante nell’abito. Con la professione diventavano religiosi a tutti gli effetti, anche se, fino alle riforme del Concilio vaticano secondo, non risultavano integrati in tutti i diritti, in quanto non partecipavano al Capitolo conventuale, non votavano e non potevano essere chiamati a nessuno degli uffici della Comunità locale o della Provincia. Tutto questo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare oggi, non mortificava la persona ma, a motivo di una specifica formazione e di una forte spiritualità - sostenuta da preghiera, devozione e umiltà -, portava ad un grande attaccamento alla fede e all’Ordine, producendo persone serene e ricche di autentici valori. Ne sia prova che nei vari Ordini religiosi molti di loro hanno raggiunto la santità, anche quella proclamata dalla Chiesa.
Fra Mario è capitato in un periodo particolarmente felice, specie nel convento di Tolentino. I “fratelli” erano diversi e molto amati dalla comunità, affidati al vice priore per la formazione e organizzazione delle mansioni. Avevano i loro ritmi comunitari, il loro maestro di noviziato e di professorio, le loro particolari funzioni ed esercizi di pietà, i loro turni di lavoro, i loro momenti e luoghi di ricreazione. Caratteristica comune a tutti era l’umiltà, la disponibilità al servizio e l’amore alla casa, soprattutto la stima e la venerazione per il sacerdozio dei confratelli.
Ricordo una significativa definizione che il priore del Seminario di Bologna - Farneto -, padre Giuseppe Giuli, fece nel refettorio per la festa della professione solenne di fra Fernando Giangiacomi (ora missionario in Perù): “I fratelli sono come le mamme dei conventi”. Un’espressione non molto in uso, ma che trovo indovinata ed espressiva nel suo senso più positivo.
Il volto sorridente del santuario
Fra Mario, vissuto a Tolentino per 64 anni, si è formato su misura specifica del convento di San Nicola; uno strumento prezioso per la comunità e per il santuario, nei quali egli si immedesimò e ne rappresentò, davanti alla gente, l’immagine e l’identità. Insieme a padre Tiziano Lombi (benemerito amministratore e custode del patrimonio artistico) è stato l’unico frate a risiedere praticamente per tutto il tempo a Tolentino, se si eccettua un semestre passato al convento di San Giacomo Maggiore a Bologna e i brevi periodi di vacanze estive trascorsi nei diversi conventi delle Marche.
Come tale, è il testimone più accreditato delle varie stagioni del convento tolentinate scandite secondo la successione dei padri priori Nicola Fusconi, Giuseppe Giuli, Agostino Vita, Giuseppe Achilli, Nicola Stollagli e tutti gli altri, i quali non sono ricordati soltanto per le opere che hanno realizzate (e furono tante, se pensiamo alla situazione lasciata dal dopoguerra e alle tante necessità concrete e immediate che via via si sono dovute affrontare), ma soprattutto per il personale carisma e per lo stile specifico che hanno contribuito a dare un volto particolare alla testimonianza del convento e alle attività del santuario.
Fra Mario e Tolentino vuol dire soprattutto fra Mario e san Nicola.
Tutti gli agostiniani che hanno vissuto nel convento di Tolentino sanno che l’esperienza quotidiana è fortemente segnata dalla presenza del Santo per quello che rappresenta con il fascino dalle sue virtù e la gloria dei suoi miracoli.
Il servizio ministeriale e pastorale, attività principale dei religiosi, è ispirato alla figura del Santo e alla fede che i devoti, pellegrini e turisti, testimoniano con una continua presenza: il loro andare in cripta a pregare, il chiedere informazioni o raccontare esperienze di devozione, di favori richiesti e, soprattutto, di grazie ottenute.
Sono spesso testimonianze toccanti che attestano autentica fede e sincera devozione. Sociologicamente parlando esse ci offrono uno spaccato significativo delle più diverse situazioni umane: dolori, disgrazie, difficili situazioni personali e familiari. Tante volte si manifesta la gioia di esprimere la propria devozione e fiducia nel Santo o di raccontare antiche e tramandate storie familiari di devozione, altre volte la soddisfazione di visitare un luogo sacro sempre presente nel proprio cuore.
Una permanenza così prolungata come quella di fra Mario ha arricchito in modo straordinario la sua capacità di comunicazione. Lui era sempre presente in chiesa, in sacrestia, nel chiostro. Tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti.
Si sono create così amicizie durate gli anni, che si sono trasmesse per generazione. Molti venendo a Tolentino per San Nicola venivano anche per incontrare fra Mario, testimone eccellente di accoglienza, di serenità, di fede e di agostiniana spiritualità.
Sono in tanti a cercarlo ancora e, quando vengono a sapere che non c’è più, con spontaneo moto di affettuosa commozione e di sincero rimpianto affermano che per loro fra Mario era una fedele personificazione dello stesso san Nicola. Lo documentano le numerose dichiarazioni lasciate nel Registro dei visitatori durante i mesi successivi alla sua morte. «Se la mitezza avesse un volto, avrebbe quello di fra Mario; se la dolcezza e la bontà avessero un volto, avrebbero quello di fra Mario».
Nella sua prolungata permanenza era diventato un vero conoscitore di tutto quello che si poteva sapere di san Nicola, dell’arte e della spiritualità a lui connesse e di tutte le notizie storiche che raccontano significativamente la presenza agostiniana a Tolentino.
L’accoglienza di fra Mario era caratterizzata da gioia, rispetto, simpatia nell’impegno di trasmettere l’esperienza spirituale del santuario. Nei pochi momenti in cui non aveva persone da intrattenere si dedicava alle varie mansioni di manutenzione: pulire, mettere in ordine, spolverare… ma appena qualcuno arrivava, fosse una singola persona, una famiglia, un gruppetto o una comitiva, lui lasciava tutto e si dedicava al suo lavoro, o meglio alla sua consapevole missione. Salutava sorridendo, domandava la provenienza e non mancava mai di fare qualche cenno alle bellezze artistiche dei loro luoghi di provenienza; spesso si qualificava con le sue battute, intelligenti e piacevolmente spiritose che ispiravano subito la fiducia degli ospiti.
Con premura chiedeva quanto tempo avessero a disposizione, si informava se venivano già da qualche santuario e alla fine non mancava di indicare altri santuari che avrebbero incontrato lungo il loro itinerario, arrivati ai quali immancabilmente si presentavano dicendo: «ci manda fra Mario di Tolentino».
Poi iniziava il suo “accompagnamento” facendoli pregare davanti all’altare del Santissimo Sacramento, cosa a cui teneva moltissimo perché sua premura fondamentale era quella di educare alla fede e particolarmente alla presenza sacramentale del Signore nell’Eucarestia. Se non c’erano in corso liturgie, li faceva sedere sui banchi, oppure li portava nel chiostro o nel Cappellone e cominciava la sua spiegazione che era sempre storica, artistica, pastorale e spirituale. Poi li accompagnava nelle varie tappe che erano: la cappella delle Sante Braccia, la cripta, la sala degli oggetti sacri, il museo del santuario, il presepio e il diorama sulla vita di san Nicola. «Non posso dimenticare la gentilezza con la quale hai accolto noi pellegrini e la pazienza, unita ad un amore profondo verso Gesù e san Nicola, con la quale ci hai dato tutte le spiegazioni. Sono sicuro che, come è accaduto a noi, hai dato a tanti pellegrini momenti di profonda comunione con Dio. Te ne ringraziamo di cuore, mentre ci affidiamo alle tue preghiere».
Molto spesso avveniva che la sua testimonianza di fede, la sua accoglienza e la sua sapienza spingevano alcuni ad aprire il cuore con personali confidenze alla ricerca di luce e di conforto. Fra Mario allora diventava un efficace padre spirituale che sapeva rendersi solidale nella sofferenza e dare la medicina a tutti, riportando poi le confidenze avute nella preghiera personale e comunitaria.
Fra Mario e la cultura
Non sembrerebbe giustificato questo accostamento, perché gli studi ufficiali di fra Mario si limitavano alla licenza elementare. Niente più. Ma non si direbbe tutto. Omettendo questo aspetto certamente verrebbe trascurata una dimensione fortemente significativa della sua personalità.
Fra Mario aveva lo spirito della saggia curiosità, aveva e coltivava molti interessi, stimava la cultura, intuiva ed apprezzava la competenza degli studiosi e di chi ne sapeva più di lui. Coltivava la sua preparazione con tutti i mezzi, sfruttando con premura il tempo che aveva a disposizione. Si era acculturato anzitutto sulle cose religiose e spirituali; seguiva con interesse le conferenze, non gli sfuggiva niente di quello che riguardava le varie branchie della “cultura agostiniana”: sant’Agostino, l’Ordine agostiniano, i personaggi agostiniani, gli scritti degli agostiniani e l’arte agostiniana.
Ogni giorno leggeva L’osservatore romano e L’avvenire e diverse altre riviste; particolare attenzione aveva per i periodici dei santuari e degli Ordini religiosi. Si era specializzato sulla cultura storica, in particolare la storia di Roma e la storia dei papi; divorava i libri d’arte facendosi una straordinaria competenza che talvolta metteva in imbarazzo gli stessi specialisti. Ogni giorno, e appena poteva, frequentava la Biblioteca Egidiana per le sue ricerche e per documentarsi; gli operatori della Biblioteca lo consideravano il lettore più assiduo.
L’ambito nel quale si concentrava con più passione era naturalmente San Nicola e ogni altro argomento connesso. Conosceva pagina per pagina il grosso volume rilegato dal titolo Il sesto centenario di San Nicola, che fu il primo periodico del santuario di Tolentino, pubblicato in preparazione al sesto centenario della morte del Santo celebrato nel 1905 e dal quale tirava fuori una miniera di preziose informazioni e curiosità. Era un innamorato di Roma e ne conosceva sia la storia che gli aspetti più folcloristici e gli aneddoti più divertenti, come pure le vie, i palazzi e soprattutto le chiese e i musei. Teneva in camera un’abbondante collezione di libri sulla storia e l’arte di Roma. Le sue vacanze volevano dire, dopo pochi giorni dedicate ai familiari, girare per Roma e mai se ne saziava; aveva sempre qualcosa da scoprire ed era tutto contento di accompagnare qualcuno.
Aveva dei quaderni in cui raccoglieva appunti sulle cose più rare e curiose. Era diventato una guida ricercata e da diverse parti lo richiedevano per le gite, che lui organizzava solitamente al lunedì perché era la giornata in cui a Tolentino c’era meno da fare e a Roma trovava meno ingorghi. E quando tornava, era quasi sempre senza voce per il gran parlare che aveva fatto. Mai si stancava, mai perdeva la calma e riscuoteva sempre tanto successo e ammirazione per cui si diffondeva la voce dei famosi viaggi: “A Roma con fra Mario”.
I suoi viaggi dovevano essere sempre dei pellegrinaggi; perciò erano qualificati dalla preghiera, anzitutto Lodi e Vespri, alcune devozioni come il Santo Rosario e naturalmente la Santa Messa. Durante il viaggio dava le opportune notizie storiche, artistiche e religiose preparando, con premura e competenza, gli affezionati “clienti” a un fruttuoso e piacevole incontro con le grandi opere d’arte e i vari monumenti.
Se tutta Roma costituiva il suo amore, in modo particolare lo era la Città del Vaticano, di cui conosceva i minimi particolari. Soprattutto sulla basilica di San Pietro, tanto da ottenere il riconoscimento di cicerone ufficiale della basilica per l’Anno Santo del 1975. Si sentiva di casa sia nella basilica che nei Musei vaticani, come pure in Piazza San Pietro. Ogni volta che vi si recava, immancabilmente c’erano persone che lo riconoscevano, lo salutavano e si aggregavano al suo gruppo per ascoltare le sue “lezioni”. Molte persone legate al turismo e all’organizzazione dei pellegrinaggi erano suoi abituali amici. «Nelle gite ai Musei vaticani eri l’unico capace di spiegare ogni cosa con semplicità e chiarezza. Da allora per me sei stato il “frate con i pattini”».
L’apostolato
Un frate converso non dice Messa, non confessa, non predica e non fa scuola: si potrebbe dedurre che non abbia attività pastorale: solo se è un sant’uomo, e questo è il caso, possiamo immaginare la sua opera attraverso la preghiera e l’offerta della sua vita.
Ma fra Mario è la prova che il “consacrato” ha la possibilità di fare molto, di fare bene e con frutto. Altrove si dirà anche quello che sapeva fare, soprattutto con la preghiera e la profonda intimità con Dio. Per ora prendiamo in considerazione quello che compiva come autentico apostolato esterno.
Anzitutto la sua principale attività di accoglienza e di guida nel santuario l’ha sempre fatta e sentita come vero apostolato nell’esplicito intento di coltivare nelle persone l’evangelizzazione, la fede e la spiritualità. Le sue spiegazioni, che partivano da san Nicola, pur contenendo tante informazioni artistiche e culturali, miravano ad essere vere catechesi con al centro Cristo. Consapevole del basso livello di formazione e istruzione religiosa di tanta gente, faceva del tutto per sfruttare, nel migliore dei modi, quella stupenda e piacevole occasione che gli si offriva. In uno dei tanti articoli per il “Bollettino di san Nicola”, ad un anno dalla morte, scrive: «Ho scoperto che la gente è molto più buona di quanto si immagini, ma anche molto bisognosa di catechesi. E così ho compreso l’urgenza di essere apostoli anche quando si danno notizie sulla basilica… I santuari sono luoghi di preghiera, di carità, di ecumenismo, di cultura. Nei santuari giunge gente di ogni genere, anche la più strana! Ma la carità ci dice di accogliere tutti e ogni tipo di povertà… Il santuario di San Nicola si può definire il santuario della preghiera, della misericordia, del suffragio. Durante questi lunghi anni ho scoperto come si presti particolarmente alla catechesi, specialmente per il famoso Cappellone, dove affreschi giotteschi raccontano la storia della salvezza... Vedo gente che chiede una grazia, che piange, che ringrazia, che “spera contro ogni speranza”… Dopo cinquanta anni di servizio nell’accoglienza dei pellegrini posso dire di aver capito che, presentando questo campione della fede e della carità qual è san Nicola, si può testimoniare che Cristo è veramente risorto!».
Altrettanto avveniva, come si è già detto, nella sua frequente attività di guida turistica e di accompagnatore di pellegrinaggi. Fondamentale era per lui l’apostolato alle famiglie, poiché aveva chiarissima l’idea dell’importanza di una sana e serena vita familiare, nutrita dalle virtù umane e dai valori cristiani. Era amico, e anche qualcosa di più, di molte famiglie che, intuendo la sua spiritualità, lo avvicinavano per sentirlo, per pregare con lui e per averlo vicino, cosa che appare chiaramente dalle molte testimonianze raccolte. Una manifestazione particolare della sua ricchezza interiore veniva fuori dal modo con cui sapeva rapportarsi con i bambini e i ragazzi, entrando pienamente in sintonia con la serenità e maturità di un adulto attento nel cogliere il richiamo naturale della purezza e della semplicità, pronto ad offrire il suo gesto paterno e fraternamente accogliente, per riversare sui piccoli le ricchezze umane e spirituali della sua esperienza di uomo e di religioso. «Quel piccolo grande uomo dal sorriso gentile amava raccontare di san Nicola e dell’amore a Gesù soprattutto ai bambini, che chiamava “angeli caduti giù dalla Cappella delle Sante Braccia”».
Sull’esempio di Gesù, dal suo gesto trasparivano la stima e il rispetto per i piccoli. Ma la stessa attenzione dedicava anche per i giovani: un’età delicata, di fronte alla quale molti sacerdoti, insegnanti, educatori e genitori si trovano spiazzati. Fra Mario, ben lontano dagli atteggiamenti giovanilistici di tanti preti e frati, si presentava per quello che era, porgendosi senza complessi e senza sofisticate strategie. Qualcuno lo ha definito: «Un amico di tutte le occasioni».
Una realtà particolarmente vicina alla sensibilità di fra Mario erano i “Gruppi di preghiera”. L’esperienza era iniziata con la pratica del Mese di Maggio, per la quale era molto ricercato, riuscendo ad accontentare anche più richieste al giorno. Molte di queste esperienze del maggio mariano diventarono in seguito gruppi di preghiera familiare, con incontri periodici di amici, gruppi di ascolto della Parola o di sensibilità liturgica o di particolari devozioni durante l’anno. L’avere fra Mario vicino dava alla gente sicurezza perché lui con semplicità e fervore alzava il tono di tutto il gruppo, come molti ricordano con rimpianto.
Nel contesto del suo apostolato, anche per rilevare un suo comportamento di lucidità e di equilibrio, risulta molto significativo il rapporto che aveva con i gruppi ecclesiali. È nota tra i religiosi la storia di confratelli che sono entrati in questi gruppi verso i quali hanno manifestato un’appartenenza e un attaccamento più che al proprio Ordine. Fra Mario era aperto alla conoscenza e all’incontro con tutti. A Tolentino ha frequentato la comunità dei neocatecumenali e tra questi si era fatto molti amici ed estimatori, ma ha sempre tenuto a precisare che un gruppo di appartenenza e una comunità di vita lui ce l’aveva già ed era il convento agostiniano. Partecipava con interesse a tutto ciò che poteva ma senza togliere nulla al suo impegno primario di religioso agostiniano. Prendeva le cose buone ma per aggiungerle a quello che già possedeva, senza lasciarsi condizionare da altri aspetti che riteneva estranei alla sua vita.
Il profilo umano
Fra Mario era l’immagine vivente del tipo umile, libero, sereno e lucido, motivato ed entusiasta. La sua umiltà era anzitutto la stima e il rispetto per gli altri, dei quali sempre rilevava per prima cosa il bene, anche quando era impossibile tacere o negare evidenti limiti o difetti. Aveva il senso del proprio limite, che viveva con consapevolezza e accettazione, assolutamente estraneo a ogni pensiero di presunzione o di supremazia verso chiunque.
La sua libertà gli derivava dal non lasciarsi turbare interiormente da nessuna cosa che potesse accadere in sé o attorno, perché dotato di una stabilità di carattere tale da non doversi vendere a nessuno e da non dover avanzare diritti su nessuno.
La sua serenità nasceva da una coscienza pura, scevra da doppiezze e sotterfugi, perché quello che
era e che pensava trapelava sempre dalla sua bocca e dal suo viso. Non era certamente ingenuo; sapeva dare precisi giudizi anche severi, quando era il caso, ma mai con il disprezzo o il compiacimento per i mali altrui. Aveva consapevolezza di quello che era e che voleva, vedendo chiaro quanto avveniva attorno a sé in semplicità di cuore e con onestà di coscienza.
Credeva nel dono della vita e nella sua vocazione, convinto della sua collocazione nella Chiesa e nella società. Per questo, nelle cose che faceva ci metteva tutto se stesso, certo che era quello che doveva e sapeva fare senza cedimenti di interesse e di tono. L’entusiasmo era una sua caratteristica che nasceva da una gioia di fondo; il suo animo e la sua visione della vita erano pienamente positivi; tutto ciò che vedeva di bello e di buono lo convinceva e lo coinvolgeva, sapendolo riconoscere serenamente anche negli altri.
Questo suo stile produceva simpatia e ammirazione in tutti coloro che lo avvicinavano, perché, nella sua spontaneità e serenità, non aveva pregiudizi che lo condizionassero o lo rendessero sfuggente.
«Fra Mario è la dimostrazione di come Dio si serva delle persone semplici per fare cose grandi».
La sua spiritualità
Se con la spiritualità vogliamo riferirci al suo modo di vivere il livello più alto della vita dobbiamo cominciare con il dire che suoi punti fermi sono stati la fede, collegata alla speranza e alla carità, il rapporto con Dio e l’espressione della sua religiosità vissuta concretamente. La sua spiritualità trovava fondamento nell’esperienza cristiana e, soprattutto, nella Parola di Dio.
Gli piaceva ascoltarla, leggerla, meditarla, e ne concepiva il valore base per l’esperienza cristiana. Altro punto era l’Eucarestia, la Santa Messa, vissuta quotidianamente come esigenza di vita e con grande gioia e devozione nel servirla o nell’assistervi. Nel ricevere la Santa Comunione trovava la carica positiva per tutto quello che era e che faceva.
Da questa esperienza fondamentale nasceva, di conseguenza, l’adorazione eucaristica che viveva con intensa partecipazione. Trascorreva gran parte del tempo libero in silenzio davanti al tabernacolo, tutto preso da quello che doveva comunicare o raccomandare per le tante persone che confidavano nella sua preghiera.
La devozione alla Madonna era una sua grande forza, soprattutto nei titoli agostiniani della Consolazione e del Buon Consiglio, della Grazia e del Soccorso. Ne frequentava i santuari, più o meno celebri, nei quali attingeva le sue migliori esperienze spirituali.
Il Mese di Maggio era il suo momento di grande esperienza personale e di generoso apostolato. Alla devozione mariana seguiva quella verso i santi, specialmente quelli agostiniani, nei quali ritrovava e venerava l’identità della propria vocazione e riconosceva autentici modelli da imitare.
La sua carità
Il suo stile di vita era improntato alla bontà, anzitutto quella riconosciuta come dono di Dio e poi quella che esercitava verso Dio e verso il prossimo. L’esperienza di Dio lo rendeva capace di vedere le cose nel modo più giusto e positivo. Di qui sgorgava la sua bontà d’animo che si riversava con squisiti gesti di generosità verso tutti.
Questo era il terreno su cui nasceva la sua disponibilità, il suo servizio senza riserva e senza risparmio; mai sapeva negarsi a chi gli chiedeva qualche favore, contento di rendersi utile e di giovare a tutti.
Il suo amore verso Dio, da cui sentiva di aver ricevuto tutto, produceva in lui anche attenzione e generosità verso coloro che erano nel bisogno. Sull’esempio di san Nicola si era creata una piccola organizzazione e, per non trovarsi sprovvisto della possibilità di aiutare i bisognosi, aveva predisposto nel retrosacrestia una cassapanca dove riponeva vestiti e scarpe, che riceveva in dono o che altri avevano scartato, per poterli offrire ai poveri che si rivolgevano a lui.
La sua carità era anche l’ornamento più bello e più evidente del suo vivere in comunità. Il convento di Tolentino ha sempre avuto una comunità numerosa, essendo casa di accoglienza vocazionale, di formazione e di studio. Quando si è in tanti certamente si capisce che non si è tutti uguali; ciascuno è al suo grado di maturità, ciascuno riceve dall’altro, ma anche ciascuno pesa sull’altro. Fra Mario, mosso da bontà e serenità interiore, se la cavava sempre bene. Non aveva nemici o avversari e nessuno poteva essergli nemico o avversario. Docile, umile, sereno, rispettoso e generoso, sapeva farsi semplicemente dono a tutti, onorando tutti e servendo tutti.
Scrive un religioso, oblato di Maria Immacolata: «Sono rimasto colpito dal suo eterno sorriso, dal suo impegno, dal suo coraggio nel lavoro. Fra Mario è presso il Maestro che ha saputo servire con gioia, devozione, semplicità e amore degli altri».
La sua preghiera
Fra Mario è stato definito da tutti un uomo di preghiera. Pregava spesso, sapeva pregare con semplicità e intensità. Molte volte pregava da solo ma gli piaceva anche pregare con la comunità conventuale e con i fedeli.
Raccomandava a tutti la preghiera come mezzo efficace per ottenere e per donare. Pregava molto per quanti glielo chiedevano confidando ciecamente nella sua bontà. Aveva spesso la corona in mano, a volte si raggomitolava e rimaneva lungo tempo in silenzio e meditazione. I suoi spazi nei quali pregare erano tutti i luoghi nei quali trascorreva la giornata: anzitutto la chiesa e principalmente la cappella del Santissimo Sacramento, il Cappellone dove i dipinti hanno fissato un’atmosfera densa e illuminata di cristiana spiritualità, nell’oratorio di San Nicola dove immancabilmente chiudeva la sua giornata anche quando rientrava tardi dal suo apostolato di catechesi e di preghiera. Naturalmente un luogo privilegiato per pregare era la cripta del Santo, dove la preghiera è visibilmente ispirata da san Nicola, col quale poteva colloquiare raccontandogli tutte le vicende umane per le quali veniva richiesta la sua preghiera e l’intercessione del Santo. Sapeva pregare, normalmente in ginocchio, spesso a mani giunte e in un suo caratteristico gesto con la testa fra le mani come ci sembra di rivederlo ancora.
Le arrabbiature di fra Mario
I santi si arrabbiano? Certo, c’è anche un modo santo di arrabbiarsi. Un tipo come lui, così calmo e controllato, non aveva mai moti di istintività, non aggrediva, non insultava e non mancava mai di rispetto a nessuno.
Eppure qualche volta si arrabbiava; va subito detto che le sue non erano le arrabbiature di chi perde il controllo prendendosela indebitamente o sproporzionatamente con qualcuno, mosso dall’ira o dal disprezzo. Il suo, piuttosto, era sdegno che nasceva dallo zelo per le cose di Dio e per i valori irrinunciabili.
Si creava questa situazione quando la gente dimenticava che la chiesa è abitata da Qualcuno che andava innanzitutto rispettato e adorato, quando vedeva alcuni commuoversi davanti ad una statua (lui diceva “un pezzo di coccio”) e poi ignorare la presenza del Signore nell’Eucarestia. Si arrabbiava quando la gente faceva della chiesa una piazza, quando, in certe circostanze, come nei matrimoni, la folla, distratta e irriverente, faceva della chiesa un salotto mondano dimenticando il sacramento che vi si celebrava.
Si arrabbiava anche quando vedeva un ostentato fanatismo religioso che anteponeva la forma alla sostanza o, peggio, i santi a Dio. Nel suo volto, turbato e rattristato, si leggeva lo zelo per la casa di Dio e per le verità e i valori fondamentali della fede cristiana.
L’ilarità di fra Mario
Non credo si debba tralasciare un aspetto, ben diverso ma veramente caratteristico, nel quale molti lo riconoscevano davvero simpatico e originale. A fra Mario piaceva moltissimo scherzare, servendosi di battute, giochi di parole e anche barzellette.
La sua era un’allegria piacevole ma controllata, pronto ad intervenire di fronte a modi di parlare che eccedevano l’educazione, il buon senso e la virtù. Questo poteva capitare qualche volta con i gruppi turistici, dove qualcuno, non comprendendo il livello nel quale si esprimeva e manteneva fra Mario, si lasciava andare a espressioni non accettabili.
Questa sua capacità di piacevole ed edificante umorismo nasceva da una serenità di fondo e dal senso piacevole della vita, dell’amicizia e dei rapporti umani. Il suo viso era ben disposto all’allegria e la sua bocca sempre pronta al sorriso. Molti lo apprezzavano per questa sua caratteristica, ben rara anche tra persone qualificate e colte, di saper divertire attraverso lo scherzo intelligente ed educato; veniva spesso ricercato per ascoltare le sue battute e barzellette, che a volte sapeva anche improvvisare di fronte a gente incontrata per la prima volta, suscitando subito grande simpatia.
La stessa rete televisiva locale di Tolentino, per un certo periodo, aveva riservato un piccolo programma serale tutto dedicato a fra Mario, invitato a presentare le sue storielle comiche e le sue barzellette che trovavano molto gradimento tra gli ascoltatori. Anche in queste circostanze fra Mario mostrava la sua maturità e serenità. Ben lungi dal sentirsi un personaggio o dal vantarsi per la “popolarità” che gli veniva offerta, scherzava su stesso e conservava la sua abituale semplicità.
Le sue virtù
Una testimonianza di vita si caratterizza per le virtù che si manifestano umamente e spiritualmente. Il cristiano che cresce sperimentando la misericordia divina e impegna le sue deboli risorse come corrispondenza ai doni di Dio, acquisisce una costante abitudine a compiere atti di bontà che costituiscono la manifestazione più significative della sua virtù. Fra Mario ci è apparso a tutti un uomo equilibrato ma soprattutto virtuoso per il livello raggiunto con il suo impegno nel corrispondere alla Grazia divina. Da qui il suo fascino.
Non è difficile elencare le virtù che corrispondono al suo stile di vita. Anzitutto la semplicità di cuore, secondo il più genuino dettame evangelico. La libertà interiore, senza condizionamenti psicologici o pressioni esterne. Non aveva nulla da nascondere a nessuno. Aveva l’umiltà e la serena consapevolezza di se stesso, senza alcuna presunzione da avanzare. Una naturale mitezza, che gli impediva atteggiamenti irosi o aggressivi. Era paziente e capace di adattarsi alle situazioni esterne. Con gratuità si offriva agli altri senza pretese personali, sempre disponibile e servizievole nei confronti di tutti.
La sua eredità
Fra Mario è ora sottratto al nostro sguardo ma la sua testimonianza, la sua eredità e la sua presenza rimangono ben evidenti nel bene seminato, nel ricordo grato di tanta gente, porzione di quel tesoro della Chiesa che è il frutto del bene di tutti i buoni in unione al tesoro dei santi e, in particolare, ai meriti infiniti di Gesù Cristo.
Continuano ad arrivare, numerose e toccanti, le testimonianze di gratitudine. Il suo sepolcro, presso la cappella funebre degli agostiniani nel cimitero di Tolentino, è continuamente visitato con segni espliciti di stima e di devozione. La gente non lascia solo fiori e luci ma anche messaggi di caloroso affetto ed esplicite richieste di preghiere e di mediazione. «Parla con Dio di noi, perché Egli possa guardarci con la benevolenza con cui tu ci guardavi». Colpiscono le testimonianze di bambini e ragazzi, espresse anche con significativi disegni che celebrano la bontà di fra Mario.
Molti conservano la sua foto o qualche suo ricordo e tutti sentono chiaramente che ricordarlo, onorarlo e invocarlo vuol dire imitarlo, continuando, sul suo esempio con uno stile di vita che sia di lode a Dio, fecondo di opere buone e a servizio della Chiesa, ciascuno secondo la propria vocazione.
Dov’è fra Mario?
«Caro fra Mario, amico carissimo, mi manchi molto e ti ho sognato la notte che sei andato in Cielo. Guardaci tutti da Lassù!».
«Mai sei mancato al saluto, al sorriso, alla battuta. Sei cresciuto con noi e continui a camminare con noi. Grazie!».
Le tante testimonianze che pervengono al santuario sono una evidente lode a Dio ispirata dalle virtù e dai meriti del piccolo fra Mario, il fraticello che in quest’ultimo secolo ha tanto contribuito a far rivivere la figura di san Nicola e ad avvicinare a Gesù. «Eri il piccolo sole in mano al Grande Sole di san Nicola».
Tanti gli amici, sparsi ovunque, che dopo la morte hanno manifestato il bisogno di dire, di raccontare e di testimoniare come egli «abbia custodito come un tesoro lo scrigno che racchiude grandi emozioni». La lampada accesa non va spenta, non va nascosta ma va posta in alto perché continui ad illuminare. Scorrere queste testimonianze significa prendere atto dei doni, delle virtù e dei meriti di fra Mario, uomo e religioso agostiniano.
Per tutto questo possiamo dire con certezza che fra Mario è e rimane con noi. Un bel dono che continua a farci il Signore che ora premia la bontà di questo suo servo e incoraggia noi a invocarlo e a imitarlo. «Speravamo tanto di incontrarti in basilica, ma ora sappiamo che sei là dove volevi andare, vicino al tuo san Nicola… Ma sei anche qui, ora e sempre».
Preghiera
O Dio, che ti compiaci di rivelarti ai piccoli e ai semplici, ti ringraziamo perché hai voluto arricchire la famiglia agostiniana con la testimonianza, le virtù e i meriti di fra Mario, uomo limpido e trasparente, religioso esemplare e generoso nell’offrire amicizia sincera e calorosa accoglienza.
Noi ti lodiamo e ti benediciamo nel riconoscere in lui un vero discepolo di Cristo, figlio di sant’Agostino ed emulo di san Nicola.
Ti preghiamo perché il tuo Nome Santo, onorato dalle sue opere in vita, venga glorificato ora dalla sua intercessione in cielo e dal frutto dei tuoi prodigi in terra.
Accetta la nostra preghiera che ti presentiamo avvalorata dalla sua fraterna mediazione. Per Cristo Nostro Signore. Amen!
Padre Nostro… Ave Maria… Gloria al Padre…
(Con approvazione ecclesiastica)
5 gennaio 2008
† Claudio Giuliodori vescovo di Macerata
Fonte:
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www.framariodatolentino.it
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