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La Santa Sindone

Festa: 4 maggio

La Sindone è un lenzuolo di lino, tessuto a spina di pesce, delle dimensioni di circa m 4,42 x 1,13, contenente la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocefissione. L'immagine è contornata da due linee nere strinate e da una serie di lacune: sono i danni dovuti all'incendio avvenuto a Chambéry nel 1532. Secondo la tradizione si tratta del Lenzuolo citato nei Vangeli che servì per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro. Questa tradizione ha trovato numerosi riscontri dalle indagini scientifiche sul Lenzuolo e la probabilità che la Sindone sia autentica è altissima. Certamente la Sindone, per le caratteristiche della sua impronta, rappresenta un rimando diretto e immediato che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù. Per questo Papa san Giovanni Paolo II l'ha definita "specchio del Vangelo". L'Arcidiocesi di Torino celebra ogni anno in data 4 maggio la memoria liturgica della Santa Sindone.



Al vaglio della scienza
La Sindone è un lino di colore giallino che misura cm 442 per cm 113 e reca impressa l’immagine frontale e dorsale di un uomo che è stato flagellato, coronato di spine, crocifisso e trafitto da una lancia al costato dopo la morte, proprio come descritto nei Vangeli.
Da quando la Sindone è stata fotografata per la prima volta da Secondo Pia, nel 1898, molti scienziati hanno cominciato a interessarsi di questo particolare lenzuolo, che la Chiesa cattolica venera come telo funerario di Gesù. Il negativo fotografico del Pia aveva rivelato il positivo dell’immagine umana impressa sulla stoffa e questo permise ai medici legali di condurre una sorta di autopsia virtuale del cadavere non più presente nel Telo.
Nel 1978 una cinquantina di scienziati e ricercatori di diverse nazioni, prevalentemente statunitensi appartenenti allo STURP (Shroud of Turin Research Project, Progetto di Ricerca sulla Sindone di Torino), hanno condotto una investigazione scientifica multidisciplinare sulla reliquia, cosa che non era mai accaduta in passato. Essi fecero prelievi, misure e analisi sulla Sindone per 120 ore consecutive. I risultati di tale ricerca fornirono ampie conferme dell’autenticità della Sindone e costituiscono ancora oggi una solida base scientifica.

Il nascondimento dei primi secoli
I Vangeli sinottici parlano di una Sindone, mentre Giovanni usa il termine othonia, teli, e menziona anche un sudario che viene ritrovato a parte nel sepolcro. Non solo i Vangeli canonici, ma anche molti degli apocrifi descrivono il corredo funerario di Gesù.
I primi secoli della Sindone sono stati di nascondimento, per il pericolo che la preziosa reliquia potesse essere distrutta durante le persecuzioni contro i cristiani o le lotte contro le immagini. È altamente probabile che nei primi secoli sia stata piegata in modo da mostrare solo il volto e sia stata occultata a Edessa, nel sud-est dell’attuale Turchia.
Per questo periodo, un notevole aiuto viene non solo dai documenti scritti, ma anche dallo studio della somiglianza tra il volto sindonico e la maggior parte delle raffigurazioni di Cristo conosciute nell’arte, sia orientale che occidentale, come Mandylion, Veronica o Volto Santo. Tale somiglianza è evidente e non può essere attribuita a un puro caso; deve essere il risultato di una dipendenza, mediata o immediata, di un’immagine dall’altra e di tutte da una fonte comune, che verosimilmente doveva essere la Sindone.

L’itinerario verso l’Europa
Il Mandylion, che con ogni probabilità era la Sindone ripiegata, viene portato a Costantinopoli nel 944 e qui il telo deve essere stato riaperto, mostrando l’intero corpo. C’è la notizia dell’esistenza della Sindone a Costantinopoli nel 1204, quando la vede il crociato francese Robert de Clari durante il saccheggio della IV crociata. E’ molto probabile che in quell’occasione sia stata portata in Francia da un altro crociato, Othon de la Roche, un antenato di Jeanne de Vergy. Questa nobildonna era la moglie del primo possessore ufficiale della Sindone a Lirey (Francia), Geoffroy de Charny, a metà del XIV secolo.
Nel 1453 la nobildonna Marguerite de Charny, discendente di Geoffroy de Charny, non avendo eredi affidò la reliquia al Duca Ludovico di Savoia e a sua moglie, Anna di Lusignano, che la conservarono a Chambéry. Nel 1578 il venerato Lino fu trasferito a Torino.
Durante la seconda guerra mondiale, la Sindone fu nascosta nell’Abbazia di Montevergine (Avellino) dal 25 settembre 1939 al 28 ottobre 1946.
Nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997 un incendio minacciò la Sindone, ma i Vigili del Fuoco riuscirono a portare in salvo la reliquia.
Negli ultimi anni si sono succedute alcune solenni ostensioni. Quella del 2015 abbraccia un lungo periodo, dal 19 aprile al 24 giugno.

Un lino pregiato
I fili usati per realizzare la Sindone sono filati a mano: infatti presentano un diametro variabile. La tessitura è a “spina di pesce” (3/1), una lavorazione già nota nell'area medio-orientale ai tempi di Gesù. Come tessuto, la Sindone può risalire benissimo al I secolo d. C., dato che in antiche tombe egizie (Beni Assan) si trovano raffigurati telai idonei a produrre tale tipo di stoffa. Nella necropoli di Antinoe (Alto Egitto, inizio II sec. d. C.) sono stati trovati tessuti analoghi a quello della Sindone.
È documentata sia la presenza della struttura del tessuto spinato 3/1 attraverso il ritrovamento di tali tessuti a Krokodilô (Egitto, Mar Rosso) risalenti al periodo 100-120 d. C., sia la speciale tipologia della struttura della cimosa per il periodo intorno alla nascita di Cristo, nei ritrovamenti di tessuti a Masada, in Israele.
La cucitura longitudinale, che unisce una striscia laterale al telo sindonico, non è usuale. Anche per questa particolare cucitura si trovano confronti con frammenti di tessuto dai citati ritrovamenti di Masada.

Il test del 14C
Il 21 aprile 1988 dalla Sindone fu prelevato un campione di tessuto per sottoporlo alla datazione con il metodo del radiocarbonio. In base a questa analisi, la Sindone risalirebbe al medioevo, a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d. C. 
Numerose obiezioni sono state mosse da vari scienziati, che ritengono insoddisfacenti le modalità dell'operazione di prelievo e l'attendibilità del metodo per tessuti che hanno subito vicissitudini come quelle della Sindone. È stata inoltre dimostrata la disomogeneità dei tre campioni: secondo il test statistico di Pearson (chi quadro) esistono 957 probabilità su 1000 che la data radiocarbonica ottenuta non sia quella dell'intero lenzuolo.
Interessanti analisi sono state condotte dal chimico Raymond N. Rogers del Los Alamos National Laboratory ( USA), il quale ha riscontrato incrostazioni di coloranti e fibrille di cotone nel lino proveniente dalla zona del prelievo per l’analisi radiocarbonica. Il chimico statunitense conclude che il campione usato per la radiodatazione non era rappresentativo del tessuto sindonico originale per l’esistenza di un rammendo.
Per verificare l'antichità di un tessuto esistono però anche altri metodi. L’Ing. Giulio Fanti, professore associato di Misure Meccaniche e Termiche presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, ha sottoposto alcune fibre della reliquia a due datazioni chimiche, basate sulla spettroscopia vibrazionale, e a una datazione meccanica multiparametrica. Tutte e tre le datazioni risultano compatibili con la data del I secolo d.C.

I pollini e altre microtracce
Negli anni ’70 il criminologo Max Frei scoprì nella Sindone l’esistenza di granuli di polline provenienti da piante desertiche che fioriscono in epoche diverse in Palestina; altri di piante della Turchia dell’Est; altri dei dintorni di Costantinopoli; altri ancora di specie esistenti in Francia e in Italia. Ciò confermò le verosimili tappe storiche della reliquia.
Le specie identificate da Frei sulla Sindone sono 58: di queste, 38 crescono a Gerusalemme ma non esistono in Europa e tra esse 17 sono tipiche e frequenti a Gerusalemme e dintorni. Ciò prova la provenienza palestinese di questo lenzuolo. È da sottolineare l’importanza della presenza sulla Sindone dello Zygophillum dumosum, che cresce solo da Gerusalemme verso sud in Israele, in una parte della Giordania e al Sinai.
Le analisi di Frei sono state successivamente confermate da altri botanici. La palinologa Marzia Boi, analizzando la lista dei pollini trovati sulla Sindone da Frei e osservando le fotografie da lui pubblicate, ha notato la presenza delle piante più usate per realizzare costosi balsami, che venivano impiegati negli antichi riti funerari del Medio Oriente.
Baima Bollone ha identificato sulla Sindone alcune particelle di aloe e mirra, soprattutto nelle zone macchiate di sangue. Sono stati anche rinvenuti frammenti di terriccio in corrispondenza della punta del naso e del ginocchio sinistro. In altri campioni di materiale terroso, prelevati dalla Sindone in corrispondenza dei piedi, è stata individuata aragonite con alcune tracce di impurezze; campioni prelevati nelle grotte di Gerusalemme sono risultati essere molto simili, dato che contenevano anch'essi aragonite con le stesse impurezze.

Le caratteristiche dell’immagine

L’immagine dell’Uomo della Sindone non è dovuta a sostanze applicate sul tessuto, ma all’ingiallimento delle fibrille superficiali della stoffa stessa, il cui numero per unità di area determina la maggiore o minore intensità della figura. La colorazione giallina è il risultato di una disidratazione e ossidazione che penetra solo per 0,2 millesimi di millimetro. Queste osservazioni sperimentali escludono la possibilità che l’immagine possa essere stata prodotta con pigmenti, con metodi chimici o con il riscaldando del tessuto, perché in questi casi la colorazione si sarebbe diffusa in profondità nella stoffa.
È stato trovato solo un cristallino di cinabro, che è da considerarsi un reperto accidentale. L'esame di tutta la Sindone con la fluorescenza ai raggi X non ha rilevato alcun pigmento di pittura, quindi nemmeno cinabro; questa sostanza non può essere responsabile della colorazione delle macchie rosse, peraltro certamente composte da sangue, semplicemente perché non è presente.
Bisogna considerare che molti artisti hanno copiato dal vero la Sindone e quindi la presenza occasionale di pigmenti non è inaspettata; anche perché quasi sempre le copie venivano messe a contatto con l'originale per renderle più venerabili.

Gli esperimenti con il laser
La figura umana visibile sulla Sindone è una proiezione verticale del cadavere su un piano orizzontale: c'è una corrispondenza in verticale fra il corpo e i punti corrispondenti dell'immagine. Esiste una correlazione fra l'intensità della figura e la distanza tela-corpo, che permette l'elaborazione tridimensionale dell’immagine.
Il telo ha avvolto un vero cadavere: le macchie di sangue sono dovute al contatto diretto con le ferite di un corpo umano. Sotto le macchie di sangue non esiste immagine del corpo: il fenomeno che ha impresso la figura umana sulla Sindone è avvenuto dopo che il sangue si era decalcato sul tessuto stesso e ne aveva attraversato lo spessore.
Nel corso degli ultimi decenni si sono tentate molte strade per spiegare come si sia formata l’immagine sindonica. In modo particolare, le caratteristiche chimiche, la superficialità e la sua assenza sotto le macchie di sangue hanno privilegiato l’ipotesi che una esplosione di luce potesse essere alla sua origine.
Molte prove sperimentali sono state fatte a questo scopo, ma solo ultimamente l’utilizzo di laser a eccimeri potenti e con impulsi di breve durata hanno dato risultati interessanti. Infatti, con laser ad eccimeri che emettono nell’ultravioletto si è ottenuta una colorazione giallina e superficiale. I risultati ottenuti sono compatibili con l’immagine sindonica e le sue caratteristiche.

Le analisi del sangue
All’inizio degli anni ’80 due scienziati statunitensi, John H. Heller e Alan D. Adler, e uno italiano, Pierluigi Baima Bollone, direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Torino, giunsero, indipendentemente tra loro, a dimostrare la presenza di sangue sulla Sindone. È interessante notare che le fibrille di alcune zone adiacenti alle macchie di sangue sono rivestite di una sostanza proteica giallo oro, che è risultata essere siero. Ciò è stato confermato anche dalle fotografie all'ultravioletto, che mostrano aloni di siero attorno alle tracce della flagellazione e ai margini dei coaguli di sangue. Le impronte sanguigne sono quindi dovute al contatto con sangue coagulato, nel quale si possono osservare le fasi della formazione della crosta e dell'essudato sieroso. È dunque innegabile che un vero corpo umano è stato avvolto nel lenzuolo. Le fibre delle zone macchiate di sangue sono cementate insieme dal fluido viscoso che penetrò fino al lato opposto del tessuto.
Dopo l'identificazione generica, Baima Bollone giunse a dimostrare che si trattava di sangue umano appartenente al gruppo AB. Altre importanti scoperte rese note dal medico torinese riguardano le macchie ematiche dei piedi, in corrispondenza delle quali ha localizzato un globulo rosso e alcune cellule epidermiche umane.

L’indagine medico-legale
Dallo studio della Sindone alcuni medici deducono che fino a poco prima della morte fluiva sangue dalle ferite e che il corpo è stato avvolto nel lenzuolo non più tardi di due ore e mezzo dopo la morte. Il sangue presente sulla Sindone è colato verso il basso lungo le braccia, il corpo e le gambe di un uomo appeso a una croce; si è coagulato sulla sua pelle ed è anche fuoruscito con le caratteristiche di sangue post-mortale dalla ferita del costato.
Il breve tempo di permanenza del cadavere nel lenzuolo è testimoniato dall’assenza di segni di putrefazione. Vicino alle labbra mancano tracce di gas ammoniacali, che sarebbero certamente presenti nel caso di inizio di putrefazione. Generalmente questa comincia circa 40 ore dopo la morte. Il processo di putrefazione viene accelerato quando ci si trova in presenza di grandi ferite e di focolai contusivi, come nel caso dell'Uomo della Sindone.
Per avere un decalco del sangue sulla stoffa come quello osservato sulla Sindone, il corpo deve essere stato a contatto con il lenzuolo per circa 36-40 ore. In questo tempo un ruolo importante deve essere stato svolto dalla fibrinolisi, che provoca il ridiscioglimento dei coaguli. Resta inspiegabile come il contatto tra corpo e lenzuolo si sia interrotto senza alterare i decalchi che si erano formati.


Autore:
Emanuela Marinelli


Fonte:
Credere

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Aggiunto/modificato il 2015-05-17

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