+ Lahore, Pakistan, 15 aprile 2015
Nauman Masih, ragazzo pakistano di religione cristiana, venerdì 10 aprile 2015 è stato aggredito nei pressi del negozio dove lavorava come apprendista sarto. Dopo aver dichiarato di essere cristiano, è stato cosparso di cherosene e bruciato vivo. Trasportato al Mayo Hospital di Lahore, ha subito un’operazione di chirurgia plastica, ma, contrariamente alle previsioni, non è sopravvissuto. È morto alle 14 del 15 aprile 2015; aveva tra i tredici e i quattordici anni.
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Non è facile essere cristiani in Pakistan, nemmeno se si è giovani. Lo ha dimostrato un ragazzo, Nauman Masih, il cui nome si è aggiunto alla crescente lista di persone uccise o duramente perseguitate perché hanno affermato di essere cristiane.
Figlio di Rafaqat Masih e di Sazia Bibi, Nauman ha perso il padre per un problema ai reni, mentre la madre si è risposata. Da allora, è stato cresciuto da uno zio paterno, Nadeem Masih, e da sua moglie, che considerava come i suoi veri genitori. Loro non gli hanno fatto frequentare la scuola, ma l’hanno mandato come apprendista nella bottega del sarto Munir Masih, a Lahore.
Venerdì 10 aprile 2015, all’ora della preghiera comunitaria islamica, il ragazzo stava andando in negozio, quando è stato fermato da due uomini col volto coperto, a bordo di due motociclette, che hanno iniziato a insultarlo. Alle loro domande sulla sua identità e su quale religione praticasse, ha risposto di essere cristiano. A quel punto, gli insulti sono aumentati: dapprima è stato schiaffeggiato quattro volte, poi uno dei due gli ha versato addosso del cherosene, mentre l’altro gli dava fuoco con un fiammifero acceso; compiuto l’atto, sono andati via.
Col corpo in fiamme, Nauman ha subito cercato un modo per salvarsi. Notato un mucchio di sabbia, ci si è gettato dentro, rotolandosi per estinguere il fuoco. Un negoziante lo ha aiutato, buttandogli addosso altra sabbia con una pala, poi lo ha condotto in un negozio vicino, dove è stato raggiunto dal suo datore di lavoro e ha atteso, ormai privo di conoscenza, di essere trasportato in ambulanza al Mayo Hospital, sempre a Lahore, che però non dispone di un reparto per i grandi ustionati.
I medici che l’hanno preso immediatamente in cura hanno affermato che il ragazzo era coperto di ustioni per il 55% della superficie del corpo. Tuttavia, per alcuni istanti si è ripreso, rilasciando alcune dichiarazioni alla polizia e alla British Pakistani Christian Association. In quest’ultimo caso, ha affermato di non avere inimicizie con nessuno e di non aver sospetti sull’identità dei suoi aggressori. Ciò nonostante, il giornale «Express Tribune» ha riportato un’affermazione del nonno di Nauman, il quale ipotizzava che il mandante fosse proprio lo zio, che voleva impadronirsi della casa ereditata dal padre. Va pur notato che una tattica analoga era stata messa in piedi per nascondere i reali motivi dell’uccisione del ministro Shahbaz Bhatti.
Alle 23 del 10 aprile, Nauman è stato trasferito nel reparto di Medicina generale. Il 15 aprile ha subito un’operazione di chirurgia plastica, dopo la quale i medici hanno dichiarato che c’erano il 50% di possibilità che sopravvivesse. Tuttavia, alle 14, è stato dichiarato morto. Secondo le fonti, aveva tra i tredici e i quindici anni. Il suo funerale, al quale hanno partecipato circa duemila persone, si è svolto nella chiesa cattolica di Sant’Ignazio nel distretto di Shera Kot, a Lahore.
Secondo l’avvocatessa Aneeqa Maria Anthony, coordinatrice della organizzazione non governativa «The Voice Society» intervistata da «Vatican Insider», il crollo delle condizioni del ragazzo dopo l’apparente recupero desta sospetti. Quanto alle questioni familiari, le esclude drasticamente, ipotizzando invece un atto di ritorsione per il linciaggio di due musulmani avvenuto dopo gli attentati alle chiese di Youhanabad, il 15 marzo.
Davvero, come ha dichiarato papa Francesco nell’omelia del 21 aprile 2015, accennando anche al caso di Nauman, la Chiesa di oggi è Chiesa di martiri: «Loro soffrono, loro danno la vita e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza».
Autore: Emilia Flocchini
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