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Córdoba, Argentina, 17 giugno 1923 – Punta de Los Llanos, Argentina, 4 agosto 1976
Enrique Angelo Angelelli Carletti nacque a Córdoba in Argentina il 17 luglio 1923. Entrò in Seminario quindicenne e fu ordinato sacerdote nel 1949 a Roma. Prese da subito coscienza della situazione dei quartieri poveri di Córdoba, le “villas miserias”, e divenne anche assistente spirituale della Gioventù Operaia Cattolica e della Gioventù Universitaria Cattolica. Il 12 dicembre 1960, il Papa san Giovanni XXIII lo nominò vescovo ausiliare di Córdoba; fu ordinato il 12 marzo 1961. Partecipò alle ultime tre sessioni del Concilio Vaticano II. Nel 1968, il 3 luglio, ebbe la nomina a vescovo della diocesi di La Rioja. Se da una parte il suo popolo lo ammirava, dall’altra politici e proprietari terrieri lo osteggiavano. Il 4 agosto 1976 stava tornando in automobile da El Chamical, dove aveva celebrato una Messa in suffragio di don Gabriel Longueville (sacerdote “fidei donum”), padre Carlos de Dios Murias (dei Frati Minori Conventuali) e Wenceslao Pedernera (padre di famiglia), uccisi meno di dieci giorni prima. La vettura, guidata da padre Arturo Pinto, fu raggiunta da un veicolo con a bordo tre militari, poi fu spinta e gettata in un burrone. La versione ufficiale dei fatti era che fosse stato un incidente stradale, ma nel 2010 furono riaperte le indagini, che portarono a una nuova ricostruzione: era avvenuto un omicidio vero e proprio, motivato dalle scelte per i poveri di monsignor Angelelli. La sua causa di beatificazione si è svolta, nella parte iniziale, presso la diocesi di La Rioja dal 13 ottobre 2015 al 15 settembre 2016. È stata successivamente unita a quella dei due sacerdoti e del laico già citati. La beatificazione di tutti e quattro si è svolta il 27 aprile 2019 presso il Parco Cittadino di La Rioja, mentre la loro memoria liturgica cade il 17 luglio, il giorno prima di quello della nascita al Cielo di don Longueville e di padre Murias. Le spoglie mortali di monsignor Angelelli sono venerate nella cattedrale di La Rioja.
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Con disprezzo lo chiamano il “vescovo rosso, comunista, estremista, terzomondista” oppure “Satanelli”, ironizzando sul suo cognome, Angelelli, da cui si deduce la sua origine italiana, perché è figlio di nostri emigranti in Argentina, che campano coltivando ortaggi.
Nato nel 1923 ed entrato in seminario a 15 anni, lo mandano poi a Roma, dove viene ordinato prete nel 1949. Gli fanno prendere la licenza in diritto canonico alla Gregoriana e nel 1951 ritorna a Córdoba; qui matura una spiccata predilezione per i poveri, cominciando a visitare le “villas miserias”, le baraccopoli argentine della zona. Fonda un movimento giovanile, diventa assistente della JOC (Gioventù Operaia Cattolica) e della JUC (Gioventù Universitaria Cattolica), insegna in seminario.
Il 12 dicembre 1960, a sorpresa, il Papa san Giovanni XXIII lo designa vescovo ausiliare di Córdoba. Per la sua ordinazione episcopale la cattedrale si riempie di operai e povera gente come mai si è visto prima, e non certo per caso.
Partecipa alle ultime tre sessioni del Concilio e respira a pieni polmoni l’aria di rinnovamento che soffia nella Chiesa: forse troppa, a giudizio degli ambienti più conservatori, che lo guardano con sospetto, soprattutto da quando nel 1964 ha iniziato ad appoggiare le istanze di alcuni preti su una nuova concezione di Chiesa e di missione, ossia il Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo.
Tanto basta per determinare un suo allontanamento dal governo della diocesi e la sua “destituzione” a cappellano di una congregazione religiosa e bisogna aspettare parecchi mesi e, soprattutto, un nuovo vescovo a Córdoba per assistere ad una sua reintegrazione.
Nel 1968 Paolo VI lo nomina vescovo titolare di La Rioja, nel nord-ovest dell’Argentina, dove inizia, con il suo inconfondibile stile, un servizio pastorale improntato ad un’autentica liberazione dei “riojanos”.
Si distingue per la sua vicinanza ai lavoratori ed ai contadini, di cui promuove l’organizzazione in cooperative; denuncia l’usura, la droga, le case da gioco e la gestione della prostituzione in mano ai più ricchi e potenti della società “riojana”.
Visita le varie comunità, anche le più sperdute, accompagnato e spesso preceduto dalle diffamazioni e dalle contestazioni dei gruppi conservatori per i quali rappresenta un vero incubo, per la sua franchezza nel parlare e nel denunciare gli abusi. Arrivano addirittura, il 13 giugno 1973, ad interrompere con un lancio di pietre la celebrazione della messa, fomentando contro di lui commercianti e proprietari terrieri, a causa del suo sostegno ai minatori e ai manovali agricoli.
La radio boicotta la trasmissione delle sue messe in cattedrale ed il vescovo reagisce denunciando che «Anche se ci obbligano al silenzio, Cristo parla», mentre dall’ambone tuona senza mezzi termini: «Non c’è nessuna pagina del Vangelo che comandi di essere stupidi, non abbiamo gli occhi chiusi, né le orecchie tappate…».
Mentre si fa sempre più intensa la sua attività a favore dei poveri, spiega: «Io non posso predicare la rassegnazione. Dio non vuole uomini e donne rassegnati. Quello che vuole Dio sono uomini e donne che lottano pacificamente per la vita, per la libertà, non per finire in una nuova schiavitù».
Durante la visita “ad limina” del 1974 alcuni ambienti vaticani gli consigliano di non tornare in Argentina perché è a rischio la sua incolumità fisica, ma è una proposta che neppure prende in considerazione.
Il 20 luglio 1976, come macabro omaggio per il suo compleanno, gli fanno ritrovare, orrendamente massacrati e mutilati, i corpi di due dei suoi preti, il “fidei donum” francese don Gabriel Longueville e padre Carlos de Dios Murias, dei Frati Minori. Il successivo 4 agosto tocca a lui, anche se gli assassini cercano di camuffare il suo omicidio come incidente stradale.
Dalla sua automobile, spinta in un burrone, sparisce una cartellina con carte compromettenti, frutto delle sue indagini sull’assassinio dei due preti. Precedentemente, il vescovo, per ragioni di prudenza, ne aveva spedito una copia in Vaticano: qui papa Francesco le ha fatte cercare e pervenire all’attuale vescovo di La Rioja, monsignor Marcelo Daniel Colombo, costituitosi parte civile contro i presunti assassini.
I documenti sono risultati determinanti per condannare all’ergastolo, il 4 luglio 2014, due alti ufficiali dell’esercito, gli stessi che qualcuno aveva visto sparare il colpo di grazia alla testa del vescovo dopo il simulato incidente.
Una volta che la giustizia umana ha fatto il suo corso, la diocesi di La Rioja ha avviato la causa di beatificazione per monsignor Enrique Angelelli. Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 21 aprile 2015, l’inchiesta diocesana è stata quindi aperta il 13 ottobre dello stesso anno e si è conclusa il 15 settembre 2016.
La sua causa è stata successivamente unita a quella dei già menzionati don Gabriel Longueville e padre Carlos de Dios Murias, ai quali era stato aggiunto Wenceslao Pedernera, padre di famiglia, ucciso il 25 luglio 1976.
L’8 maggio 2018, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, allora Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui monsignor Angelelli e i suoi compagni venivano dichiarati ufficialmente martiri, anche se, informalmente, erano già noti come i “martiri di El Chamical”.
Il vescovo che voleva avere «un orecchio al vangelo e un orecchio al popolo» (secondo una frase che gli è stata attribuita) e che chiedeva di «continuare ad attuare il Concilio e continuare la promozione integrale dei “riojanos”» è quindi stato beatificato con i suoi compagni il 27 aprile 2019 presso il Parco Cittadino di La Rioja, nella celebrazione presieduta dal cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in qualità d’inviato del Santo Padre. La memoria liturgica di tutti e quattro cade il 17 luglio, il giorno prima di quello della nascita al Cielo di don Longueville e di padre Murias.
Autore: Gianpiero Pettiti ed Emilia Flocchini
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