Il 30 giugno 1960 fu proclamata la Repubblica del Congo dopo l’indipendenza dal colonialismo belga che durava dal 1885. Questo portò caos nel paese e si crearono tre fazioni principali in lotta tra di loro.
La prima era capeggiata da Joseph Kasa Vubu, che divenne Presidente del Congo, le cui truppe erano comandate dal Generale Mobutu; la seconda da Patrik Lumumba, filosovietico; l’ultima da Moise Ciombè che si era autoproclamato leader della ricca provincia del Katanga.
Lumumba, che era stato nominato Primo Ministro, tentava di avvicinare il Congo al regime comunista sovietico ma fu assassinato su mandato di Moise Ciombè appoggiato dal presidente Kasa Vabu e dagli ex occupanti belgi.
In seguito a tale evento scoppiò una sanguinosa guerra civile.
Il numero di vittime aumentava a dismisura e l’ONU decise di inviare i propri caschi blu per cercare di ristabilire la pace nel paese. L’Italia partecipò alla missione con dieci velivoli della 46ema brigata di Pisa che avrebbero dovuto collegare i vari presidi ONU sparsi sul vastissimo territorio congolese…
È un pomeriggio africano, uno come tanti. Il rumore dei motori di due aerei che si avvicinano cattura l’attenzione di un gruppo di ribelli fedeli a Lumumba che da tempo seminavano il terrore nella regione.
Spaventati dal fatto che si potesse trattare dei parà mercenari di Ciombè, fecero irruzione nella mensa ONU, dove si erano recati i nostri soldati dopo aver scaricato i loro aerei. Gli italiani erano disarmati e non avevano idea della tragica fine che si stava avvicinando.
Gli sfortunati aviatori furono catturati e selvaggiamente picchiati. Il primo a morire fu il tenente medico Francesco Paolo Remotti, che dopo aver tentato la fuga fu ucciso a colpi di mitra.
Successivamente, i 12 superstiti, ormai tramortiti, furono caricati su un camion assieme al cadavere del loro compagno, per essere trasportati in città, dove furono orribilmente massacrati, e dove la folla inferocita fece scempio dei loro corpi.
Dopo tanti anni da questo episodio, è triste pensare che anche oggi muoiono soldati e missionari di tutte le nazioni al fine di rendere il nostro mondo un mondo senza conflitti, senza terrorismo, un mondo dominato dalla pace. Perchè persone così non vanno mai dimenticate e le loro famiglie vanno sostenute ed aiutate, anche se nulla potrà mai colmare un vuoto così grande come la perdita di una persona cara. Francesco Paolo Remotti, morto a Kindu in quel tragico episodio, fu un alunno dell’Istituto Massimo e dimostrò, come del resto i suoi 12 compagni, di avere una forza e un coraggio interiore senza pari.
Remotti era un aspirante medico missionario e dopo la scuola aveva frequentato il secondo collegio per aspiranti medici missionari di Parma. In attesa di essere destinato ad un ospedale di missione aveva accettato di fare parte come medico degli equipaggi italiani in Congo.
Lasciò la moglie 27enne, anch’essa medico, e tre creature, Davide di tre anni, Andrea di due, e Daniele di tre mesi.
Un episodio che mi ha particolarmente colpito è il fatto che dopo la tragedia, la moglie acquistò un orologio e lo spedì a un cappellano dell’aeronautica militare che si trovava in Congo, pregandolo di consegnarlo ad uno dei congolesi dell’aeroporto di Kindu. Il suo fu un gesto per dimostrare che non provava alcun odio nei confronti dei compatrioti degli assassini di suo marito.
Ma soprattutto fu un gesto che ci fa capire quanto la fede e la speranza possano tirarci su in qualsiasi momento difficile e quanto possano renderci forti. Ed è sicuramente un esempio da seguire.
I tredici aviatori italiani furono decorati con la medaglia d’oro al valor militare nel 1994.
La motivazione del conferimento della medaglia alla memoria di Francesco Paolo Remotti è la seguente:
“Ufficiale medico incaricato dell’assistenza sanitaria al personale militare impiegato nel quadro della partecipazione italiana partecipazione all’intervento di intermediazione delle Forze dell’ONU nell’Ex-Congo,al fine di verificare le condizioni sanitarie in cui operavano gli equipaggi di volo, chiedeva ed otteneva di partecipare ad una missione trasporto aereo, pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, ma fiducioso nei simboli dell’organismo internazionale e convinto della necessità di anteporre la costruzione della nascente Nazione all’incolumità personale, sopraffatto da un’orda di soldati sfuggiti al controllo delle forze regolari, percosso gravemente sotto la minaccia delle armi, pur protestando la nazionalità italiana e la neutralità delle parti, preso in ostaggio, veniva fatto oggetto di continue nuove violenze e barbaramente trucidato, offrendo la propria vita per la pacificazione dei popoli e destando vivissima commozione nel mondo intero. Luminoso esempio di estrema abnegazione e di silenzioso coraggio fino al martirio. Kindu, 11 novembre 1961”.
I resti dei caduti furono ritrovati nel 1962 e riposano oggi nel Sacrario edificato in loro onore nell’aeroporto militare di Pisa.
Il Dott. Remotti riposa a Roma, la sua città.
Autore: Francesca Pagano
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