Il 23 maggio 1792, nacque a d Albisola Marina, in casa Piccone, il quarto di sette figli: venne battezzato con il nome di Francesco Maria Giuseppe.
I genitori, Bartolomeo Piccone, notaio regio di origine nobiliare e donna Maria Caterina, benedissero il Signore per questa nuova vita. Le risorse materiali non mancavano per sostenere la numerosa famiglia e prodigarono tutte le loro cure per dare una onorata sistemazione a ciascuno dei loro figli, assieme ad una educazione umana e cristiana.
Francesco Maria sentì ben presto la chiamata al sacerdozio ed impostò tutta la sua esistenza in modo coerente a questo grande dono di Dio. Una lettera che il suo parroco, don Nicolò Grassi inviò al vescovo Mons. Vincenzo Maria Maggioli in data 16 novembre 1809, per dare le informazioni richieste sulla condotta del giovane Francesco rivela la sua personalità ed il suo stile di vita: “Un giovane tra i 17 e i 18 anni, di vita onesta ed esemplare, educato in ottimi costumi, dedito alla pietà, frequenta assiduamente le celebrazioni liturgiche, partecipa alla dottrina cristiana e alla Parola di Dio, è pure assiduo ai sacramenti ed inoltre, da più di un anno si sente inclinato alla vita ecclesiastica e al sacerdozio”. Questi pochi pensieri definiscono con ammirazione l’animo delicato e nobile del giovane Francesco Maria e lasciano intravedere quale era la sua ricchezza interiore.
Si preparò al sacerdozio frequentando il collegio dei Padri delle Scuole Pie, coltivando diligentemente lo studio, ma soprattutto distinguendosi per la semplicità, la rettitudine di vita e la ricchezza spirituale. Ricevette il suddiaconato il 2 luglio 1814 ed il 28 luglio dello stesso anno il diaconato. L’11 marzo 1815 venne consacrato sacerdote in Savona, coronando il suo sogno di offrire la vita a Dio e di dedicarsi al bene e all’ educazione del popolo, in particolare dei giovani.
La situazione dolorosa in cui si trovavano i figli dei poveri lo faceva profondamente soffrire. Sentì la necessità di impostare il suo apostolato secondo un’esigenza profondamente sociale e cristiana. Iniziò subito a collaborare con il Canonico G.B. Manara nella scuola di carità. Ma sentiva che doveva impegnarsi più fattivamente per l’educazione dei bimbi poveri. Dopo aver pregato a lungo chiese consiglio a Don
Giuseppe Belloro, sacerdote sensibilissimo ai problemi della gioventù, il quale lo accompagnò dal Padre Maurizio Buccelli, sacerdote delle Scuole Pie, che gli propose di istituire una scuola a Varazze, completa in ogni ordine e grado. Don Francesco ne fu entusiasta, ma il progetto fallì, perché il Superiore del Buccelli non gli permise di trasferirsi da Carcare a Varazze. Don Francesco non si senti di realizzare da solo il suo progetto educativo e le speranze poste negli aiuti umani sembravano deluse.
Ma il buon Dio completerà a suo tempo, in modo diverso, l’opera sua, servendosi della continua ed umile disponibilità di Don Francesco. Intanto il giovane sacerdote non rinunciava ad educare i ragazzi poveri. Mentre si dedicava alla predicazione e al ministero delle confessioni, offriva il tempo che gli rimaneva come collaboratore nella scuola di Carità, di cui assunse la direzione, a partire dal 1832, per alcuni anni, cercando di migliorarne il metodo per dare assieme all’istruzione un’educazione umana e cristiana.
Nel 1835 Mons. Agostino De Mari fondò gli Operai evangelici. Si trattava di un gruppo di sacerdoti esemplari per dottrina e virtù, che aveva il compito di predicare le Missioni al popolo e allo stesso clero. Don Francesco vi aderì con entusiasmo ed impegno. Nel 1838, incaricato dallo stesso vescovo predicò gli esercizi spirituali ai confratelli sacerdoti, compito molto delicato perché il clero savonese stava attraversando un periodo difficile. Don Francesco vi mise tutto il suo impegno predicando soprattutto con la sua coerenza di vita. Sono di questo periodo tre meditazioni manoscritte che egli tenne ai sacerdoti sulle doti del confessore, sul buon esempio e sulla presenza di Dio.
L’animo generoso e sensibile di Don Francesco era però continuamente tormentato dalle condizioni sociali dei poveri. Quel lontano progetto del “corpo di scuole”, pensate con una metodologia nuova gli stava sempre nel cuore. Tuttavia si staccò dal suo patrimonio e, dopo la morte del padre, cedette tutto al fratello Gio Batta, conte di Sardegna. Ne ricevette in cambio una rendita vitalizia che gli servirà per il suo sostentamento e per le opere di carità. Questo distacco dalle ricchezze pone in luce la fisionomia del sacerdote. Don Francesco era uomo schivo e modesto, non amava apparire. Uomo umile, agiva costantemente accompagnato dalla preghiera. La ricchezza della sua spiritualità si richiama direttamente alle fonti della fede, ossia al Vangelo e alle opere dei Padri della Chiesa. Ma quello che più meravigliava in Don Francesco era la sua testimonianza di vita, tutta imperniata nella dolcezza, nella bontà e nella semplicità. Per questo da tutti era chiamato “l’Apostolo del buon esempio”.
Fin dal fonte battesimale i suoi genitori l’avevano affidato alla Madonna, ponendogli come secondo nome Maria e la devozione alla Vergine Santa caratterizzò tutta la sua esistenza. Si affidava totalmente al suo amore materno e nei momenti difficili sentiva la sua presenza come forza e sicurezza. La sua vita fu un costante esempio di carità vissuta nella fatica del quotidiano, alimentata dal Vangelo e dalla presenza di Dio, sentito come Padre ed Amico. Nelle sue meditazioni esortava all’equilibrio interiore, all’umiltà. Non credeva alla bontà di chi si chiude in se stesso. Cercava di essere di aiuto al prossimo con l’esempio, la dottrina, il consiglio e le opere di carità fraterna. Era profondamente convinto che la testimonianza della propria esistenza fosse la migliore esortazione: ”Come il cibo prende il gusto dal sale, così chiunque si accosta a te, prenda il gusto della vita eterna”. Apostolo del buon esempio, la sua esistenza non ebbe nulla di straordinario, ma il sapore dell’eterno nelle piccole cose.
Nell’ incontro provvidenziale con la giovane Battistina Vallerga, assunta in qualità di domestica, di cui Don Francesco ben presto conobbe le qualità e le virtù. Nacque e si realizzò il progetto della fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Vergine Immacolata, Serve dei poveri, per l’educazione dei fanciulli e dei giovani ed il servizio a domicilio per le persone bisognose di conforto e di assistenza.
L’ anziano sacerdote comprese che Dio si manifestava in una giovane semplice e povera ed intravide il “Sì” della Vergine affinché i poveri potessero ancora ascoltare la “Buona Novella” e all’Immacolata affidò il germoglio di quell’opera nascente, che diventerà grande nel Signore.
Nel 1871, don Francesco Piccone, ormai malfermo in salute, vene accolto ad Albisola Mare ed assistito dalle sue Suore, che lui chiamava “i suoi angeli”. Il 25 gennaio 1874 moriva. Il vuoto lasciato dalla sua scomparsa fu grande. Veniva a mancare con lui il consigliere e la guida sicura, e specialmente l’esempio costante di una parola vissuta.
Tutte le suore sentirono che un santo era passato in mezzo a loro.
La causa di beatificazione venne introdotta a Genova dal Cardinale Bertone il 21 giugno 2006 ed è tuttora in corso.
PREGHIERA
Signore, Dio di bontà e di misericordia,
Tu che hai scelto i poveri come portatori
del tuo messaggio di salvezza
ed hai voluto essere presente soprattutto
in coloro che hanno vissuto e vivono
ai margini dell'esistenza umana,
ascolta ancora il grido di intercessione
di Don Francesco Piccone
che è andato in cerca di Te
proprio là dove nessuno si ferma,
dove regnano ancor oggi la povertà,
l'infermità e la miseria delle tue creature.
Concedimi, se è conforme alla tua volontà,
la grazia che chiedo con piena fiducia,
nella speranza che il tuo Servo fedele
sia presto glorificato anche su questa terra.
Amen.
Autore: Suor Maria Angelica Gerbino
Note:
Per maggiori informazioni:
Figlie di M.V.Immacolata
Via Gavotti, 2 - 17100 Savona
Tel. 019829705 - Telefax 019856633
E-mail: ist.fmvi@tin.it
|