Celestina Gilardoni nacque a Clavesana, in provincia di Cuneo, il 20 novembre 1893. Era la terzogenita di Bernardino Gilardoni, direttore di una fabbrica, e Clementina Movà. Ricevette la Cresima a sette anni, nella città di Carrù, ma fece la Prima Comunione il 26 marzo 1904 nella chiesa di San Giovanni a Bellagio, la cittadina di origine dei suoi genitori.
A causa di un nuovo trasferimento della famiglia, Celestina fu inviata a studiare nel collegio della Scuola Tecnica Tellier di Aosta, dove si diplomò, nel 1910, con ottimi voti. Nello stesso anno i familiari decisero di tornare definitivamente a Bellagio, dove lei fu assunta come maestra, dopo aver frequentato i corsi preparatori. Intanto si specializzò a Milano, conseguendo nel 1915 il diploma presso la Scuola Magistrale Sacchi per operatrici d’infanzia.
Durante gli anni dello studio, Celestina iniziò a porsi il problema dello stato di vita. Aderì subito alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica, che in quegli anni si andava espandendo in tutt’Italia. Si sentiva inoltre attratta dallo stile di vita francescano, tanto da entrare in contatto con le suore Francescane Missionarie di Maria e da aver scelto, come confessore, padre Ireneo Mazzotti, dei Frati Minori Conventuali (fu poi fondatore dell’Istituto secolare Piccola Famiglia Francescana; per lui è in corso il processo di beatificazione).
Tuttavia, proprio mentre era sul punto di entrare, ricevette il rifiuto da parte della madre, ormai anziana, che le fece notare come in paese ci fosse ancora bisogno di lei. Celestina obbedì, ma non smise di pregare per quella questione, come sicuramente fece durante il suo pellegrinaggio del 1925, a Roma, Assisi e Pompei, insieme ad alcune compagne di associazione.
L’anno successivo, nel mese di agosto, la giovane maestra partecipò a un corso di Esercizi spirituali nell’istituto San Carpoforo di Como. Il predicatore era don Giovanni Folci, l’Assistente ecclesiastico per l’Azione Cattolica della Valtellina. Nato a Cagno nel 1890, dopo l’ordinazione sacerdotale era stato nominato parroco della frazione di Valle di Colorina, ma poco dopo venne chiamato alle armi. Diventato cappellano militare, visse insieme ai suoi soldati la disfatta di Caporetto, a seguito della quale fu deportato in Germania; solo nel 1919 poté rimpatriaree tornare in parrocchia. Per onorare le sofferenze dei soldati e dei prigionieri, aveva fatto erigere il Santuario di Gesù Divin Prigioniero.
Celestina chiese di lui a una sua compagna, nativa di Valle di Colorina, che glielo presentò: era rimasta tanto colpita dalla sua presentazione del sacerdozio cattolico da decidere di aderire alla sua iniziativa di creare un gruppo di anime che sostenessero le vocazioni sacerdotali «dall’alba al tramonto», come diceva lui, ossia dall’infanzia fino all’età avanzata.
Don Giovanni fu molto esigente con lei, ma due mesi dopo se la vide di nuovo davanti, con il medesimo intento. Forse per metterla alla prova, scrisse un questionario e le disse di rispondere in tutta sincerità, mettendosi in preghiera davanti al Tabernacolo del Santuario del Divin Prigioniero. Le risposte, anche se con non poche lacrime, furono tutte positive.
A settembre furono quindi accolti, nella canonica ristrutturata, i primi sette bambini che vi avrebbero frequentato il preseminario. Per prendersi cura di loro, Celestina partì il 29 novembre 1926 e, insieme a tre compagne, si stabilì in una stanza sul lato destro del Santuario. Nel gennaio 1927 fu aperto l’asilo parrocchiale, seguito da un laboratorio di taglio e cucito, dove alle ragazze del paese venivano anche forniti rudimenti di economia domestica.
Nel medesimo periodo venne a trovare don Giovanni suo zio, don Carlo Sonzini, sacerdote della diocesi di Milano (per lui è in corso il processo di beatificazione), per sincerarsi della bontà di quell’iniziativa. Ne fu tanto convinto da tornare, nel mese di giugno, per incoraggiarlo a tenere regolari elezioni per designare la superiora, o meglio, la “sorella maggiore” della comunità: risultò eletta Celestina.
L’8 dicembre 1930 le giovani volontarie, ridotte di numero per la morte di una delle prime, Pierina Varischetti, professarono i voti religiosi nelle mani di monsignor Alessandro Macchi, vescovo di Como: nascevano quindi le suore Ancelle del Divin Prigioniero. Celestina, in quella circostanza, cambiò nome in suor Maria della Santissima Trinità. Il 30 novembre 1931 il vescovo tornò per la professione solenne: col rescritto di quattro anni dopo dava loro piena approvazione a livello diocesano.
Pur in mezzo alle numerose incombenze della comunità, dell’asilo e del preseminario, suor Maria non dimenticava mai il primato della preghiera. Ogni giorno faceva almeno mezz’ora di adorazione silenziosa, ma spesso, anche durante la notte, andava a far visita a Gesù nel Tabernacolo. Ogni azione della giornata era da lei vissuta con questo spirito: «Devo santificarmi per quelli che Gesù, lo Sposo mi ha dato, che sono I SUOI PREDILETTI [in maiuscolo nell’originale]», ovvero per i sacerdoti.
Nel secondo capitolo generale, il 6 ottobre 1942,fu nominata come nuova Superiora Suor Maria del Crocifisso. Suor Maria della Santissima Trinità iniziò quindi il suo “anno di revisione”, come lo chiamava il Padre fondatore, durante il quale fu di fatto messa al margine dell’organizzazione della comunità religiosa, ma colse l’occasione per pregare ancora di più. Al termine di quel periodo, venne nominata maestra delle novizie.
Al termine della seconda guerra mondiale, nel settembre 1945, suor Maria accettò di sottoporsi a visite mediche presso l’Istituto Neurologico di Milano, perché il suo piede destro non si muoveva bene. Qualche mese dopo, il problema si estese al piede sinistro e nemmeno il ricovero al Policlinico di Milano portò miglioramenti: a fine maggio 1946 le fu diagnosticata una paralisi progressiva e incurabile.
A fine anno si stabilì nell’infermeria della Casa madre, lasciando l’incarico di maestra delle novizie, mentre la paralisi si estendeva agli arti superiori, impedendole di continuare la cronaca della casa, tanto preziosa per il racconto degli inizi dell’opera di don Giovanni Folci.
Ormai impedita anche nell’uso della parola, ma ugualmente lucidissima, ricevette l’omaggio di numerosi ex-allievi il 14 settembre 1947, poi peggiorò. Nell’agosto 1948 fu ricoverata in clinica, ma il mese dopo, sia perché a disagio con l’ambiente confortevole sia perché ormai grave, fu riportata a morire a Valle di Colorina. Arrivò ormai agonizzante e, alle 2 di notte del 7 settembre 1948, cessò di vivere.
I suoi resti mortali, sepolti nel cimitero di Valle di Colorina, furono riesumati negli anni ’70 del secolo scorso: tuttavia, a causa di un’alluvione, risultarono mescolati e indistinguibili rispetto a quelli di altri defunti.
Le Ancelle di Gesù Crocifisso, come oggi sono chiamate, costituiscono, insieme ai Sacerdoti di Gesù Crocifisso e ai collaboratori laici, l’Opera Divin Prigioniero, detta anche Opera Don Folci. Il suo scopo è quello di formare sacerdoti e cristiani santi, per rendere santo tutto il popolo. L’attenzione è rivolta in particolare ai sacerdoti, che, secondo un’espressione continuamente ripetuta dal Padre fondatore (morto nel 1963 e Venerabile dal 2015), devono essere interamente dediti a «dare Dio alle anime e le anime a Dio».
Autore: Emilia Flocchini
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