Bernardina Floriani nacque a Rovereto l’8 settembre 1603 in una famiglia della piccola borghesia, il padre era un pittore abbastanza noto. Della numerosa figliolanza sopravvissero solo Bernardina e Giovanni, futuro violinista a Salisburgo alla corte del principe vescovo. Era una devota famiglia cattolica, Bernardina non mancava di frequentare le funzioni e il catechismo domenicale. La svolta nella sua vita avvenne incontrando il servo di Dio Tommaso da Olera, un cappuccino dalla personalità straordinaria. Sulla scia di Lorenzo da Brindisi il suo ordine religioso si era diffuso in buona parte d’Europa sin dall’epoca del concilio: il convento di Rovereto era stato fondato nel 1575. Il frate vide in Bernardina un’anima d’eccezione, nonostante avesse solo 13 anni. Da frate laico non poteva confessarla, ma ne diventò maestro e, due anni più tardi, ne accolse il voto privato di castità. Per venti anni Bernardina continuò a vivere in casa come laica consacrata: assistette il padre durante la malattia e, dopo la morte, mantenne la madre e se stessa facendo la maestra. Una vita la sua che pareva ordinaria, nascondeva però carismi stupefacenti. Aveva grazie mistiche, colloqui con Dio, la Vergine e i santi, e il dono delle stimmate. A queste consolazioni soprannaturali si alternavano però la fatica di tenerle occultate e momenti di profonda aridità. Inoltre la sua condizione sociale era anomala per quei tempi in cui una donna doveva sposarsi o entrare in monastero. La situazione si complicò con lo scoppio della peste, nel 1630, e la morte, l’anno successivo a Innsbruck, di fra Tommaso. La cura degli appestati costrinse Bernardina ad uscire dall’anonimato. Si disse che faceva miracoli, divenne motivo di venerazione per alcuni e fonte di maldicenze per altri. Scrisse che quelli furono anni di «tribolazioni, persecuzioni, mormorazioni che giunsero a toccare l’onor mio, cosa da me tanto aborrita». Finalmente, l’intervento di una nobile vedova, Sibilla Fugger Lodron, le permise, nel 1642, di avviare un Conservatorio dedicato a S. Carlo per l’educazione di ragazze indigenti. Un’esperienza di vita comunitaria non claustrale che fu poi trasformata in monastero secondo la Regola francescana. In questo modo si soddisfò l’antico desiderio di Tommaso da Olera di far nascere a Rovereto un monastero di Clarisse.
Gli inizi non furono facili. Due religiose vennero dalla Germania per armonizzare la disciplina alla nuova normativa tridentina, ma parlavano solo tedesco ed esautorarono completamente Bernardina dal governo della comunità. La Fondatrice, che l’8 maggio 1650 aveva indossato l’abito delle clarisse col nome di suor Giovanna Maria della Croce, cinque anni più tardi finalmente fu poi eletta badessa.
Bernardina Floriani cominciò a scrivere la propria autobiografia nel 1636, per ordine del confessore. Conosceva il pericolo di quel «tanto scrivere». Temeva costantemente che le sue parole venissero travisate, ma era convinta che sarebbero servite «per la salute di molte anime». Nel 1643 vennero sequestrati gli scritti e fu sospesa dai sacramenti. Difesa dai Gesuiti, fu poi prosciolta. La sua esperienza spirituale si radicava nella quotidiana normalità della vita, nei sacramenti, nella preghiera, nel servizio obbediente e umile. Un giorno Gesù le disse: «Sappi, figliola, che il maggior digiuno, la maggior penitenza e il maggior sacrificio che mi si possa fare sulla terra è amare mio figlio. Tu fai questo e avrai eseguito tutto». Morì il 26 marzo 1673.
Il monastero fu soppresso nel 1782, ma fortunatamente gli autografi della “mistica di Rovereto” sono giunti fino a noi: 5347 pagine che comprendono l’autobiografia, un testamento spirituale, lettere, commenti alla Sacra Scrittura, visioni e rivelazioni, inni e poesie, in un italiano impastato di latinismi e di inflessioni dialettali, ma ricchissimo dal punto di vista lessicale.
Autore: Daniele Bolognini
Nell’epoca in cui visse Bernardina ormai da quasi un secolo la cittadina di Rovereto apparteneva ai domini dell’Impero asburgico, alla diretta dipendenza dell’imperatore, pur facendo parte della Contea del Tirolo, governata per lo più dai figli cadetti dell’imperatore. Un territorio di confine fra il mondo germanico e quello italico che, per le sorti e il successo della riforma avviata dal Concilio di Trento (1545-1563), rappresentava un baluardo strategico contro la penetrazione e diffusione del protestantesimo.
Ruolo privilegiato di baluardo svolgevano gli Ordini religiosi, in particolare ebbe un’incidenza profonda il carisma francescano per la sua capacità di intessere rapporti di intensa familiarità e condivisione con la popolazione sia cittadina sia rurale. La vita di Bernardina e la sua vocazione personalissima e singolare vi si intreccerà strettamente e provvidenzialmente soprattutto nel momento del suo incontro con il fratello laico cappuccino Tommaso da Olera, oggi beato, figura particolarmente rappresentativa dell’evangelizzazione francescana, che esercitò una notevole influenza religiosa soprattutto in Tirolo, dove era notissimo per la vita e fama di santità. Bernardina fin da bambina mostrò un’inclinazione spontanea e sensibile all’educazione religiosa che andava ricevendo in famiglia e in parrocchia, fino a manifestare una precoce vocazione alla vita religiosa. Negli anni seguenti, però, quasi dimenticò il suo proposito di amore totale al Signore: cominciò a frequentare giovani sue pari e ad affezionarsi ai passatempi praticati con esse. Ma quando Bernardina aveva circa tredici anni, avvenne l’incontro personale con fra Tommaso, che giungerà a incidere in maniera decisiva sui suoi propositi infantili, ancora ingenui ed oscillanti. Fra Tommaso orientò le scelte fondamentali della sua esistenza e lo scopo storico della sua vocazione verso la fondazione di un monastero di clarisse a Rovereto. Tale progetto però incontrò non poche difficoltà perché Bernardina, non appartenendo alla nobiltà e non avendo grandi disponibilità economiche, non possedeva lo status di fondatrice. Iniziava così per lei un percorso verso la monacazione lungo e non lineare, nonostante relazioni che si sarebbero rivelate provvidenziali, fra cui quella con i conti del Tirolo, con Sibilla Fugger, moglie del conte Lodron, e con il cenacolo spirituale che si riuniva nella casa della famiglia Simoncini. Negli anni trenta un’epidemia di peste che devastò pesantemente anche Rovereto, già provata dai danni della guerra dei Trent’anni ancora in corso, vide Bernardina (che pure aveva svolto un’intensa attività assistenziale nei confronti dei poveri e dei malati, mentendo sempre uno stile di vita ritirato), circolare liberamente in città, posta in una sorta di quarantena per via del contagio, per prendersi cura degli appestati. Da quel momento la fama della sua carità e dei suoi carismi di guarigione non fece altro che crescere, creando attorno a lei una rete di consensi e di appoggi, insieme però anche a mormorazioni e opposizioni. Fra coloro che le dettero sostegno ci furono anche i francescani riformati, dando inizio a un legame stabile e duraturo che avrebbe accompagnato Bernardina per tutta la vita. Fu proprio uno di loro, padre Eufemio di Miglionico, che per primo diede a Bernardina l’obbedienza di mettere per iscritto le sue esperienze mistiche.
Intanto proprio sul piano mistico una serie di visioni andava rafforzando in Bernardina la determinazione a realizzare il progetto del monastero. Fra tante emerge quella della notte del 2 agosto 1637, quando Bernardina vide in sogno santa Chiara: Chiara chiese a Bernardina di farsi clarissa e poi le passò il pastorale affidandole l’Ordine delle Clarisse e dicendole: volio lasiare il carico a te della mia religione.
Nel viaggio di orazione che Bernardina aveva ormai intrapreso vari anni prima, Dio, che andava sempre moltiplicando nell’anima sua le grazie, la stava conducendo verso il vertice dell’esperienza mistica. La consegna che aveva fatto a Dio di tutta se stessa la spinse fino alla conformazione a lui anche nel corpo, con il dono delle stimmate. Bernardina, comprendendo che Dio voleva farle un tale dono, segnandola col sigillo della sua misericordia, gli chiese e ottenne che non apparissero esteriormente, perché non voleva essere oggetto di attenzioni ambigue. Le stimmate le si impressero nel cuore, ma durante tutto il corso della sua vita spesso ne sentì la corrispondenza anche nelle mani e nei piedi.
Frattanto nel 1642 si iniziò a trattare seriamente la fondazione del monastero di santa Chiara in Rovereto grazie a Sibilla Fugger Lodron che, rimasta vedova senza figli, poté disporre dell’ingente patrimonio ereditato e acquistò casa Simoncini, attigua alla chiesa di San Carlo. Il 12 maggio vi entrarono Bernardina con la madre ed alcune altre compagne, raggiunte pochi mesi dopo dalla stessa Sibilla, dando inizio a una vita ritirata secondo una forma che avrebbe dovuto portare a buon esito le trattative con le autorità ecclesiastiche per ottenere il riconoscimento di monastero.
Nonostante la buona fama di cui godeva Bernardina, molte furono le mormorazioni su di lei e le opposizioni che incontrò, fino all’apertura di un’inchiesta inquisitoria contro di lei, nel timore di deviazioni eretiche. Bernardina si trovò isolata, ma non si abbatté, rifugiandosi nella preghiera e nella frequenza ai sacramenti. Gli scritti di Bernardina passarono al vaglio dell’Inquisizione e l’esito fu la sua completa assoluzione, anzi gli stessi teologi esaminatori delle sue opere la invitarono a continuare a scrivere affinché le tante misericordie di Dio non rimanessero sepolte. Inoltre l’assoluzione poneva le condizioni per il riconoscimento canonico della fondazione come monastero dell’Ordine di Santa Chiara Il Papa (13 settembre 1645 e 7 agosto 1646) le concedeva la facoltà di redigere delle Costituzioni da affiancare alla regola di Urbano IV per le clarisse. Era stata di nuovo santa Chiara, in una visione a confermarla in questa direzione, svelandole che non voleva che assumesse la sua prima regola, ma quella dei pontefici, perché bisognosa di riforma. E chiese a Bernardina di avere di mira tre cose particolari: la perfetta povertà, l’orazione e meditazione della vita e passione del Signore, e la pace e la concordia delle sorelle, invitandola a incominciare a lavorare nella vigna del Signore con cuore virile.
Dunque Chiara chiede a Bernardina di essere fedele al carisma, suscitato attraverso di lei nella Chiesa, di una vita in santa unità e altissima povertà nel fondamento di Dio-Amore, rivelato dal Figlio facendosi povero e morendo in croce per gli uomini.
Il 27 marzo 1647, iniziarono i lavori di edificazione del Monastero di Rovereto, intitolato a S. Carlo. L’8 maggio 1650 Bernardina, insieme alle sue compagne, prese l’abito religioso, assumendo il nome di Giovanna Maria della Croce. Negli anni seguenti fu eletta abbadessa della comunità. La conferma autorevole all’opera di Giovanna Maria fu nel 1665 l’approvazione da parte della Sede apostolica delle sue Costituzioni, che riconoscevano come centro vitale della vita fraterna il tesoro della santa povertà, così come chiestole da santa Chiara
Gli ultimi anni furono per Giovanna Maria sicuramente i più sereni, vissuti nella grata consapevolezza della vocazione realizzata. Visse dunque nascosta, ma intanto, come già era successo a Chiara e alle sue sorelle, la sua fama cresceva. Divenne sempre più una voce molto ascoltata e ricercata dai grandi e dai piccoli. Giovanna non si risparmiò e profuse il suo impegno non solo nelle vicende del suo monastero, ma dell’intera Chiesa.
Intessuto nella fitta trama ecclesiale del suo tempo, si collocò anche il suo impegno a favore dell’erezione di nuovi monasteri, che dovevano inserirsi e veicolare l’azione riformatrice della Chiesa postridentina. Nel 1668, grazie ancora una volta al sostegno degli Asburgo, riuscì ad avviare la fondazione di un monastero, da intitolarsi a Sant’Anna, a Borgo Valsugana. Nel 1672 gran parte del complesso era pronta e Giovanna Maria progettava di recarvisi personalmente almeno per la fase iniziale dell’avvio della vita comunitaria. Ma le sue condizioni di salute si fecero critiche e sorella morte la colse il 26 marzo 1673, domenica delle Palme. La sua morte fu annunciata col suono delle principali chiese e della torre civica della città, come si soleva fare solo per la morte del Papa, del principe vescovo, dell’imperatore e del conte del Tirolo. Era un riconoscimento dei suoi concittadini a quanto il Signore aveva operato con la sua vita.
Due anni dopo, il vescovo di Trento aprì la fase diocesana del processo di beatificazione, i cui atti ottennero, nel 1733 il beneplacito di papa Clemente XII per l’introduzione della causa di beatificazione e canonizzazione. Da quel momento Giovanna Maria venne dichiarata venerabile.
Gli scritti autografi della venerabile Giovanna Maria della Croce, di proprietà della parrocchia San Marco di Rovereto, sono custoditi nell’archivio dell’ex monastero San Carlo, attualmente sede dell’“Istituto Venerabile Giovanna Maria della Croce”. I manoscritti sono conservati in 16 cofanetti a forma di libro.
Per iniziativa del professor Claudio Leonardi, la SISMEL (Società Internazionale per lo studio del Medioevo Latino) di Firenze ha avviato il progetto di pubblicazione dell’intero corpus.
Autore: Monastero San Damiano di Borgo Valsugana
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