Nascita e primi anni
Maria Caccialanza nacque il 21 settembre 1856 nella cascina Bosco Valentino a Gera di Pizzighettone in provincia di Cremona, dove suo padre, Giuseppe, lavorava la terra e si prendeva cura della stalla di proprietà della famiglia Squintani; la madre, Geltrude Pecorari, si occupava della casa e della crescita dei quattro figli. Maria, la primogenita, ricevette il Battesimo sette giorni dopo la nascita, al fonte della parrocchia di San Rocco a Gera.
Quanto ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana, da un foglietto manoscritto si sa che ricevette la Prima Comunione a Gera in un anno non precisato. La Cresima, invece, le fu impartita il 9 agosto 1863 nella parrocchia di San Patrizio a Regona di Pizzighettone dal vescovo di Cremona monsignor Antonio Novasconi, secondo quanto consta dai registri parrocchiali.
Rimasta orfana di padre quando aveva solo quattro anni, il 25 agosto 1860, non poté frequentare la scuola elementare, perché il suo aiuto era necessario a casa. Il parroco-arciprete di San Bassiano a Pizzighettone, don Giuseppe Grossi, e le sorelle Merlo, maestre d’asilo a Regona, si interessarono del suo caso: il primo le trovò un posto a servizio da due anziani fidati; le due sorelle, invece, le diedero i primi elementi per la lettura e la scrittura. Maria trascorse quindi così la sua giovinezza, tra gli impegni del lavoro, maturando un intenso spirito di sacrificio e un carattere buono ma serio, che le conquistava molte amicizie.
L’arrivo di don Vincenzo Grossi
Nel 1873 giunse a Regona il nuovo parroco, don Vincenzo Grossi, fratello di don Giuseppe. Resosi conto della situazione di abbandono in cui si trovavano le ragazze nelle parrocchie di campagna, ma anche delle difficoltà dei suoi confratelli sacerdoti, e del degrado spirituale in cui si trovavano molti di loro, iniziò a pensare a un istituto religioso che si prendesse a cuore, in forma sussidiaria, di queste problematiche.
Le prime ad aderire a questo progetto furono alcune giovani donne che ricorrevano a lui per la confessione e la direzione spirituale. A loro, dal 1884, si aggiunse Maria, che fu assegnata al nucleo di Pizzighettone, poi a quello di Regona. In entrambe le destinazioni si fece ben volere soprattutto per la sua umiltà e amabilità.
Inizia l’esperienza di Figlia dell’Oratorio
Maria, come tessitrice e maestra di ricamo, si dedicava ad insegnare questa arte gratuitamente alle ragazze del paese, curandone nel frattempo la formazione religiosa, insegnando catechismo, e insieme alle altre suore le accompagnava a partecipare alla vita liturgica della parrocchia e le intratteneva la domenica pomeriggio con giochi vari.
Il nome della nuova istituzione, che in quei primi tempi iniziava appena ad abbozzarsi, si delineò come “Figlie dell’Oratorio”. Non indicava tanto il luogo privilegiato del loro operato, l’oratorio, quanto il modello spirituale ben preciso a cui don Vincenzo desiderava si riferissero: san Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell’Oratorio. La sua ardente carità, la semplicità e l’immediatezza del tratto e la letizia spirituale o, come don Vincenzo Grossi preferiva chiamarla, la “giovialità”, dovevano essere le caratteristiche che distinguevano le nuove suore dalle altre già presenti in diocesi.
Per avvicinare meglio le giovani non dovevano avere alcun segno religioso esterno, ma questo non escludeva che dovevano essere religiose serie e convinte. Maria, insieme alle altre “sorelle”, ricevette come regola un adattamento di quella della Compagnia di Sant’Angela Merici. Per questo motivo, le aderenti all’Istituto erano inizialmente dette Mericiane.
A Ponteterra
Nel 1883 don Vincenzo venne inviato come parroco a Vicobellignano, ben distante dalla parrocchia di Regona intorno a cui si era appena avviata questa nuova forma di vita religiosa. Riconoscendo in Maria capacità umane e spirituali che rispondevano bene al suo progetto di espansione, pensò di trovare un luogo più vicino a lui per impiantare una nuova comunità, della quale Maria sarebbe diventata la superiora.
Così, il 15 agosto 1889, venne aperta la casa (chiusa quasi cent'anni dopo, il 31 luglio 1986) nella parrocchia di San Gerolamo a Ponteterra, poco distante da Vicobellignano. Il parroco don Pietro Vezzoni e sua nipote Tersilla, maestra elementare, furono ben contenti di riceverla insieme a un’altra suora.
Le caratteristiche di suor Maria
Suor Maria riusciva a conquistare le giovani con il suo abituale e soave sorriso, la squisitezza della sua carità e l’ascolto attento. Il suo tratto amabile favoriva la loro confidenza e anche se le sue parole o i suoi consigli erano essenziali, si allontanavano da lei con l’animo rasserenato e con la sicurezza che quanto aveva loro suggerito veniva da Dio.
In paese, poi, era molto amata per la capacità di ricomporre i dissidi tra le famiglie e per la sua sensibilità alle situazioni di povertà. Perfino il pastore protestante che operava lì riconosceva le sue doti.
In questa parrocchia incontrò Ledovina Maria Scaglioni, una giovane desiderosa di consacrarsi a Dio secondo lo stile di suor Maria e che la sostituirà nella guida del nascente Istituto dopo la sua morte.
Alla guida dell’Istituto
Nell’estate 1895, quando don Vincenzo sollevò dall’incarico di “Sorella maggiore” Angelina Cippelletti, al suo posto fu scelta suor Maria. Le suore più giovani l'apprezzarono per le doti umane e spirituali che le avevano valso quell'incarico: semplicità, serenità di carattere sempre uguale, intensa religiosità, spirito di mortificazione solo con se stessa e non verso le consorelle (per le quali riservava le migliori attenzioni, specie a quelle ammalate), dedizione ai sacerdoti e all’apostolato parrocchiale.
Virtù queste che ben supplirono la sua mancata istruzione. Ledovina ricorda una conversazione nel corso della quale suor Maria le fece una confidenza: «Credi, io non so nulla: non fui mai a scuola, ho imparato le vocali e il resto dell’alfabeto come si copierebbe un disegno; perciò non so neppure dove si debbono mettere il punto, le virgole, le iniziali maiuscole o no: quando mi viene in mente, ne faccio qualcuna, metto un punto, una virgola e basta. Qualche volta si vede che me lo ispira il Signore perché faccio giusto, ma molte credo che manchino. Ebbene: pazienza, perché amiamo il Signore!».
Prove fisiche e morali
Un tumore allo stomaco minò definitivamente la sua fibra già delicata. Questa malattia, che lei comprese non si sarebbe risolta, le ispirò di offrire la sua vita per due cause principali: per la sua comunità e per la santificazione dei sacerdoti. Alla fatica della malattia si aggiungevano notizie di sacerdoti poco fedeli alla loro consacrazione e ministero e questo le procurava un profondo dolore: per loro pregava e chiedeva di pregare evitando ogni parola che ne evidenziasse la loro debolezza.
Il vescovo di Cremona monsignor Geremia Bonomelli, a cui don Vincenzo aveva presentato le prime Regole, non diede per alcuni anni alcun segno di risposta; questo impensieriva le suore, anche perché era noto che alcuni sacerdoti non approvavano l’iniziativa di don Vincenzo Grossi. Suor Maria incoraggiava le suore alla fiducia e rispondendo a una di loro disse: «Vedrai, Angelina, che fra un anno avremo l'approvazione del nostro Vescovo». Poi aggiunse: «Io non ci sarò più, sarò morta».
Benché la malattia avanzasse, suor Maria aveva ancora una sorpresa di carità per le sue consorelle. Il giovedì dell’ultima settimana di Quaresima del 1900, tornata da una visita alle case dell’Istituto, le chiamò in cappella. Rimasero senza parole: nonostante la stanchezza, aveva preparato l’occorrente per ripetere con loro il gesto della Lavanda dei piedi.
Gli ultimi tempi e la morte
Sul finire del giugno 1900 inviò una suora dal Direttore (così nell’istituto era noto don Vincenzo) con una lettera per chiedergli di accettare le sue dimissioni. Con un sorriso, lui rispose: «Le dirai che il soldato muore sul campo, con i gradi che ha».
Due mesi dopo, la stessa suora tornò a Vicobellignano per riferirgli che suor Maria era grave e desiderava vederlo un’ultima volta, se fosse volontà di Dio. Intanto, ricevette il Viatico e l’Unzione degli Infermi per mano di don Pietro Vezzoni, alla presenza di tutto Ponteterra.
L’ultimo incontro con don Vincenzo avvenne non appena lui si liberò da un impegno preso in precedenza. Suor Maria, che non parlava da due giorni, riacquistò la parola e si trattenne in colloquio con lui per due ore. Alla fine commentò: «Ho detto tutto quello che desideravo, sono tranquilla».
Morì quindi alle 23.45 del 5 settembre 1900, invocando i nomi di Gesù, Maria e Giuseppe. A neanche un anno dalla sua scomparsa, il 20 giugno 1901, arrivò l’approvazione diocesana dell’Istituto.
Il suo ricordo tra le Figlie dell’Oratorio
I suoi resti mortali, riesumati una prima volta il 3 marzo 1915 e ricollocati nel cimitero di Ponteterra, riposano dall’11 ottobre 1975 nella tomba dell’Istituto a Lodi, dov’era stata stabilita la sede della Casa madre e della Casa generalizia. Poco più di un mese dopo, il 1° novembre, don Vincenzo Grossi veniva beatificato; è stato poi canonizzato il 18 ottobre 2015.
Per suor Maria, invece, data la scarsità delle fonti (sono conservate solo tre sue lettere) e l’assenza completa di testimoni diretti, non è stato possibile avviare nessun processo canonico. Il suo ricordo rimane tuttavia vivo tra le Figlie dell’Oratorio, che hanno ricevuto l’approvazione pontificia il 29 aprile 1926: attualmente sono diffuse, oltre che in Italia, in Argentina ed Ecuador.
Autore: Emilia Flocchini e suor Caterina Margini FDO
|