Cataldo Naro nasce a San Cataldo (CL) nel giorno dell’Epifania del 1951, da una famiglia di contadini, primo di cinque fratelli e una sorella. I genitori, Salvatore e Giuseppina, profondamente religiosi trasmettono ai figli quella sapienza pratica, con cui scandire e discernere il tempo della fatica e del lavoro e quello della preghiera e dell’apertura alla provvidenza divina. In quest’humus che favorisce l’educazione all’ascolto e le sane relazioni, Aldo (com’era chiamato dai suoi) può maturare quel legame con la sua terra e con la sua gente che non verrà mai meno.
In una stagione e in una cultura dove la Parrocchia era il cuore pulsante del paese, e non si avvertiva la non coincidenza tra Chiesa e società che in seguito il Naro storico e studioso avrebbe osservato e analizzato, il giovane Aldo può approfondire la sua vocazione cristiana, trovando quali decisivi mediatori, il parroco della parrocchia del Rosario, don Gaetano Giunta e la signorina Lipani. Il primo fu da Naro stesso definito come «mediatore della vita soprannaturale», mentre la seconda, un’orsolina, lo iniziò alla meditazione e alla vita spirituale. In quegli anni sperimenta una forte attrazione verso il desiderio di santità, opera della grazia divina che iniziava a preparare il suo cuore al cammino del discepolato. Così, dopo la licenza media, nel 1964 il giovane entra nel seminario diocesano, vivendo l’intensa e fervorosa stagione del Concilio. Completerà gli studi teologici a Napoli, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione di Posillipo, retta dai gesuiti.
Tempo di formazione nel quale il giovane Aldo può trovare grazia nell’amicizia con monsignor Giovanni Speciale e don Antonio Giliberto. Alle soglie del sacerdozio, non vede presentarsi dinanzi a sé un traguardo da oltrepassare trionfalmente ma percepisce con forza il peso della croce, la simultanea compresenza di angoscia e gioia, come egli stesso scrive richiamando Von Balthasar, e quindi la necessaria partecipazione del discepolo e della Chiesa alla morte, passione e resurrezione del proprio Sposo e Signore. Primi germogli del martirio spirituale di ogni discepolo.
Dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta il 29 giugno del 1974, don Naro è inviato a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana, per la licenza e il dottorato in Storia della Chiesa. Una sera dell’aprile del 1975 confida a un amico: «A me non resta molto da vivere». Percezione avvertita nitidamente, luogo di quell’esser trovato povero, che spalanca le porte alla misericordia del Signore, ai suoi benefici, e consente alla grazia di completare la sua opera. Al discepolo non è data una sorte diversa dal Maestro, seguire e servire il Signore significa, infatti, come Lui, e come già il popolo nel deserto, farsi povero, itinerante e straniero. Nella diversificata e mutevole esperienza della povertà da abbracciare, qui nella vicenda biografica del giovane sacerdote, essa si presenta come percezione della propria debolezza fisica.
Terminati gli studi, con una tesi monumentale, pubblicata in tre volumi, sulla storia della Chiesa nissena tra le due guerre mondiali, si rende disponibile agli incarichi e alle responsabilità suggerite in diocesi. E ciò segna la graduale maturazione del servizio. Dirige l’«Archivio storico», e prosegue il percorso di ricostruzione della storia della Chiesa di Caltanissetta, colmando così un vuoto storiografico. La relazione fiduciosa con Dio e il progressivo abbandono nelle sue mani, che si percepisce nelle piccole situazioni della vita, è un fatto che interpella sempre il consenso/assenso della mente e del cuore.
Se quindi il suo amore per lo studio e il suo impegno per la ricerca della verità, insieme alla consapevolezza del metodo e delle competenze acquisite, e ancora alla lucidità di un’intelligenza lungimirante, si presentano come possibilità di servizio alla sua chiesa e al suo territorio, egli dovrà altresì assaporare il gusto del rifiuto e delle ostilità. Occasione l’incontro pastorale diocesano su evangelizzazione e promozione umana che riprende il convegno ecclesiale nazionale del 1976. Don Naro vede le due realtà, evangelizzazione e promozione umana come espressione armonica e sinfonica della Chiesa uscita dal Concilio, e denuncia la deriva di una visione dicotomica tra un’evangelizzazione, vista come esclusiva del clero e una promozione umana, relegata in senso tecnico ai laici. Per Naro da quest’ultimi non ci si deve attendere una «concretezza operativa» ma una «lettura sapienziale della realtà e del contesto ecclesiale secondo il Vangelo». Alle problematiche di salute si aggiungono dunque fin da subito le amarezze morali, che «formano» il discepolo a non nutrirsi di applausi e consensi ma ad accogliere la radicalità del Vangelo che si traduce in ogni forma di allergia e fastidio verso le situazioni di inautenticità. Passaggio imprescindibile per don Naro, la centralità del Concilio Vaticano II che egli vede come «un grande evento rinnovatore», dunque non un luogo di rottura né di conservazione ma di rinnovamento e riforma. Come Dossetti, anche lui considera il Concilio «un fatto di grazia», un punto di non ritorno. Com’è stato scritto, nei suoi molteplici studi e interventi traspare un ottimismo roncalliano e quel senso della riforma che avremmo ritrovato in papa Francesco.
Il tempo dell’insegnamento, che avrebbe abbracciato un ventennio, apre una stagione feconda: dagli anni Ottanta ai primi del Duemila. Un’esperienza che inizia con la docenza di Storia ecclesiastica presso l’Istituto teologico Mons. Guttadauro di cui fu anche preside, e continua come insegnante di Religione in un liceo cittadino, e poi come docente di Storia della Chiesa presso la Facoltà teologica di Sicilia, di cui fu anche Preside dal 1996 al 2002. Non solo docente ma anche educatore, insieme allo studio e alla ricerca don Naro affianca la disponibilità al dialogo. Come Preside della Facoltà, istituisce due importanti sezioni di licenza, in Teologia biblica e di Teologia pastorale da aggiungere a quella già esistente di Ecclesiologia.
Nello stesso ventennio dal 1983 al 2003 dirigerà il Centro Studi Cammarata di San Cataldo, gli succederà il fratello don Massimo Naro. Il Centro nasce per approfondire problematiche storiche, sociali ed economiche della Sicilia e del meridione e presta particolare attenzione verso lo studio dei movimenti cattolici e del mondo della cooperazione. Cataldo Naro individua tre pregi prevalenti del Centro: l’aver generato una rete di studiosi sparsi in Italia e anche fuori; la pubblicazione di fonti inedite sulla storia del movimento cattolico siciliano; e il servizio di supporto alla crescita civile e sociale del territorio.
Dentro questa feconda attività di studio e insegnamento c’è il servizio alla sua Chiesa locale. Nel 1989 è nominato segretario del sinodo della sua diocesi, ma dopo solo un anno dà le dimissioni. Tempo di profonde amarezze. Percepisce la priorità del tema della nuova evangelizzazione rispetto a quello della denuncia sociale, e interpreta la stessa sinodalità come la grammatica per poter dire ed esprimere la sinfonia della Chiesa, la sua attenzione alla storia e alle domande pastorali e spirituali dell’uomo contemporaneo. Afferma che «il ripiegamento della Chiesa su se stessa le impedisce di sentire l’ansia missionaria nei confronti del mondo», per poi aggiungere che «in un mondo senza tradizioni, la Chiesa deve trasmettere una tradizione, che è il Vangelo e la sua interpretazione bimillenaria, ma anche l’esperienza spirituale della Chiesa particolare». Rifiuto e ostilità divengono luogo di apprendimento e radicamento nell’umiltà, secondo la Scrittura: «Umiliatevi, sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno» (1 Pt 5,6). La consapevolezza di suggerire strumenti e percorsi necessari diviene così assenso dell’intelletto e obbedienza del cuore al piano e ai tempi di Dio. Senza far venir meno il proprio apporto scientifico, di studio e ricerca al sinodo, don Naro, sente di dover fare un passo indietro. Non si tratta di una rinuncia intesa come un atto etico o eroico ma come un gesto motivato da un surplus di amore e di grazia, che nell’intimo lo chiama e lo educa a una donazione totale di sé. A un’itineranza non geografica ma spirituale, che doveva attraversare il deserto delle umiliazioni, privazioni e malesseri fisici, per lasciarsi condurre alla terra del latte e del miele.
A livello nazionale sarà chiamato a svolgere i servizi di consulente per il progetto culturale della Cei e membro del consiglio di amministrazione del quotidiano Avvenire e del comitato scientifico delle Settimane sociali. Giunge quindi la chiamata all’episcopato, come arcivescovo di Monreale, che don Naro non interpreta come il compimento di un cursus honorum ma come un tempo nel quale abbracciare ancor più profondamente e definitivamente la croce, come «occasione» per perdere la propria vita e non per salvarla (Mt 16,25), per darsi e farsi tutto a tutti (1 Cor 9,22), fino alla fine. Poco meno di quattro anni ma di grande fecondità: dal 14 dicembre del 2002, giorno della sua ordinazione episcopale al 29 settembre 2006, giorno della morte, Cataldo Naro compie la visita pastorale, la riorganizzazione delle parrocchie, due lettere pastorali, convegni per catechisti e insegnanti di religione, un progetto pastoral-pedagogico destinato ai più giovani per aiutarli a maturare la disponibilità a resistere cristianamente alla mafia, dialogo con l’islam, e tanto altro ancora.
Nelle parole del motto episcopale, la cifra di quanto aveva personalmente sperimentato nella fede: «Mi ricorderò delle misericordie del Signore» (cf. Is 63,7), espressione che richiama il grande amore e la grande bontà di Dio, la sua compassione e il sollievo offerto nelle tribolazioni, le stesse da lui sofferte nel corpo e nello spirito. È ricordandosi del Signore, infatti, che è possibile rinnovare l’incontro con Lui. Dirà all’amico padre Vincenzo Sorce: «Ricordati sarai sempre accompagnato dalla croce per seminare speranza tra i poveri». Nell’esercizio del ministero appare disponibile verso tutti ma lascia trasparire quell’inevidenza del discepolo, ormai matura, fatta di umiltà, povertà e nascondimento.
Ed ecco delinearsi l’ulteriore passaggio, arduo e anche inquietante da comprendere, culminato in quell’epilogo già preannunciato nel suo testamento spirituale: il tempo della solitudine e dell’abbandono, dell’incomprensione e delle ostilità, della superficialità che egli percepisce tutt’intorno. Indebolito per il venir meno di quel conforto umano e spirituale della stessa comunità ecclesiale, è reso straniero, forestiero anche nel suo sacro palazzo. Come in esilio, senza più certezze e sicurezze umane, ma solo affidato a Dio (cf. Dt 29,3-4). Nuovamente angoscia e gioia. Passione da cui la Chiesa non può sottrarsi ma luogo in cui risplende la luce della resurrezione gloriosa di Cristo. Soffermandosi sui mosaici della sua cattedrale, ricordava, richiamando Romano Guardini: «Non si può amare la Chiesa senza ammirarla», si tratta cioè di «vivere nello sguardo», nel sano rapporto tra ascolto e visione.
L’ultima fatica di immediata e convinta risonanza ecclesiale nazionale, quella della vicepresidenza del comitato preparatorio a Verona 2006, che si aprì nel ricordo commosso del vescovo Naro e della sua amata e apprezzata collaborazione, decisiva per dare volto al convegno.
La storia di Cataldo Naro è la vicenda di un uomo che ha amato la sua Chiesa. Della vita della Chiesa, lo storico Naro, è stato cantore attraverso le categorie della verità, della bellezza e della santità ma anche esigente censore, in modo profetico, a riguardo dei ritardi e delle carenze. Ma tutto sempre nel segno dell’amore. Nella consapevolezza che, come amava ripetere Naro, Dio non ci abbandona, ha misericordia di noi, si ricorda di noi, come noi di Lui e in questa reciprocità «c’è un appuntamento che Dio fissa per ogni generazione […] e al quale non possiamo mancare».
Autore: Giovanni Chifari
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