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Worrigen, Germania, 5 agosto 1906 – Tirana, Albania, 16 novembre 1946
Don Josef Marxen, di nazionalità tedesca, si mise al servizio della Chiesa di Albania, incardinato nella diocesi di Durazzo. Per le sue origini, fu presto visto come un nemico dalla propaganda del regime comunista. Fu arrestato due volte, ma la prima venne liberato grazie all’intervento dei suoi parrocchiani. La seconda volta, invece, venne condannato a due anni di carcere. Tuttavia, la notte del 16 novembre 1946, venne prelevato dalla sua cella e fucilato in una foresta; aveva 45 anni. Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
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Josef Marxen (al Battesimo, Anton Josef) nacque il 5 agosto 1906 a Worringen, in Germania, quarto dei nove figli di Nikolaus e Maria Marxen. Insieme alla famiglia, ebbe vari spostamenti a Grevenbroich, Bermeshausen e Zemmer.
Nel 1928 Josef entrò nel noviziato dei padri Verbiti a St. Augustin e frequentò nel frattempo l’università di San Gabriele a Mödling presso Vienna. All’incirca nel 1935 lasciò i Verbiti e proseguì la formazione come sacerdote diocesano. Fu quindi ordinato diacono il 3 agosto 1936 a Monaco di Baviera, dove, il 21 giugno 1936, venne anche consacrato sacerdote. Celebrò la prima Messa il 5 luglio seguente, a Breyell.
Nel mese di agosto partì per l’Albania, passando per Roma e imbarcandosi a Bari; il 5 settembre arrivò al porto di Durazzo. Non aveva affatto conoscenze linguistiche, ma era molto più preparato sul piano medico.
Iniziò dunque il suo ministero a servizio della diocesi di Durazzo, prima a Kthellë poi a Perlat, entrambi villaggi del distretto di Mirdita, nel nord dell’Albania. Gli abitanti di Perlat, cattolici da sempre, a distanza di anni ricordavano ancora come un giorno, dopo la Messa, invitò l’intera comunità a casa sua. Un’altra volta, regalò un pallone vero ai bambini, che così poterono giocare a calcio.
Don Zef, come fu ben presto soprannominato, costruì anche una scuola e si adoperò in molti casi come pacificatore delle contese familiari, regolate dall’antica legge del Kanun. Andava di casa in casa prevalentemente a piedi, assistendo i moribondi e curando gli ammalati.
Dal 1942 fu parroco a Jube, vicino a Durazzo. Con la presa di potere da parte dei comunisti, tuttavia, il suo operato cominciò a essere visto con sospetto: era tedesco d’origine e si era formato in Europa, quindi costituiva una vera minaccia per il nascente regime.
Il 2 marzo 1945 venne arrestato a Durazzo e condotto in prigione a Tirana. Il 27 aprile gli anziani del suo villaggio scrissero una lettera per domandare la sua liberazione: «Noi dichiariamo che è stato un valido aiuto per tutti, senza distinzione di religione. Ci ha aiutato con tutti i suoi poteri, per salvare molte persone prima di essere colpito, e attraverso la sua mediazione ha interrotto saccheggi, incendi e altri danni».
Don Zef venne loro restituito, ma dopo un paio di settimane fu arrestato di nuovo. Dopo mesi di torture, venne condannato a due anni di prigione. In realtà, nella notte del 16 novembre 1946, venne prelevato dalla sua cella insieme ad altri due detenuti per essere fucilato. Poco prima aveva lasciato il suo ultimo messaggio a un compagno di prigionia: «Sono felice perché morirò con il ricordo incancellabile di avere celebrato in nome di Cristo delle Messe per gli albanesi».
Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, don Josef Marxen è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016. Dello stesso gruppo fanno parte altri venti sacerdoti diocesani, tra i quali un altro tedesco diventato albanese d’adozione, don Alfons Tracki.
Autore: Emilia Flocchini
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